AMERIGO TOT 1909-1984
AMERIGO TOT 1909-1984
‘quel maledetto magiaro’ a cura di Alessandra Diana Critelli
Mario Adda Editore
Amerigo Tot 1909-1984 ‘quel maledetto magiaro’
organizzazione tecnica e realizzazione allestimento | szervezés
Bari, Agenzia Centrale Banca Carime 28 maggio-28 giugno 2013 a cura di | kurátor Alessandra Diana Critelli
assicurazione | biztosítás Moschetti Broker - Axa Art materiale comunicazionale | grafika Pubblicità & stampa, Modugno (Ba)
Mostra sostenuta e promossa da | a kiállítást támogatta és létesítette
con il patrocinio di | a Magyar-Olasz Kulturális Évad 2013 védnökségével
in collaborazione con | együttműködve a
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ringraziamenti | köszönet Un sentito ringraziamento a tutti i collezionisti privati per la gentile collaborazione e concessione dei prestiti. Si ringraziano inoltre quanti a vario titolo hanno fornito il loro contributo per la realizzazione della mostra e del catalogo e in particolare: | Köszönet a magángyűjtőknek amelyek kölcsönzésükkel segítettek a kiállítás létrehozásában. Ezen túl a gegítségükért külön köszönetet szeretnénk kimondani: Sergio Buoncristiano, consulente d’arte Cooperativa Synchronos del Musma Judit Cziráki, erede di Amerigo Tot Giovanni Cataluccio, Istituto di Cultura Italiana a Budapest Francesco Di Benedetto, Direttore Agenzia Centrale di Banca Carime di Bari Rosanna Di Pinto, Responsabile Ufficio Immagini e Diritti, Musei Vaticani Federica Gegnacorsi, Coordinatore Collezione Farnesina Arte Contemporanea, Ministero degli Affari Esteri, Roma Daniel Köster, Direttore della Galleria Koller di Budapest György Lukács, Consigliere culturale del Ministero degli Affari Esteri a Budapest Saverio Mattia, Responsabile Staff Pricing e Pianificazione Commerciale di Banca Carime di Bari Tutto lo Staff dell’Agenzia Centrale di Banca Carime di Bari diretto da Franceco Di Benedetto
catalogo | katalógus
autori dei testi | a szövegek szerzői Giacomo Lanzilotta Alessandra Diana Critelli Christine Farese Sperken Pietro Marino traduzione italiano-ungherese | forditások Veronika Harmath referenze fotografiche | fotó referenciák Archivio Alessandra Critelli Archivio fotografico Amerigo Tot Archivio fotografico Galleria Koller Archivio fotografico generale d’Ateneo, Università degli Studi di Bari Archivio fotografico dei Musei Vaticani Archivio fotografico del Museo MUSMA Archivio fotografico Villa Ottolenghi Giuseppe Ciliberti Francesco Saverio Colella Beppe Gernone
‘maledetto magiaro’, espressione del suo amico e maestro Angelo Zanelli, apparentemente negativa, che ben definisce il carattere volitivo di Tot: in V. Stagnani, Quel “maledetto magiaro”, in “Nel Mese”, rubrica Mostre, 1985. „Ez z istenverte magyar”, olaszról nehezen fodítható, úgy tűnik negatív de olaszban barátságos kifejezés Angelo Zanelli barát és tanárjától, de mégis kifejezi Amerigo Tot különleges karaktervonását: V. Stagnani, Ból, az istenverte magyar, a „Nel Mese”, kiállítások rubrikában, 1985
ISBN 9788880820000 © Copyright 2013 Mario Adda Editore - via Tanzi, 59 - Bari Tel. e Fax +39 080 5539502 Web: www.addaeditore.it e-mail:
[email protected] Tutti i diritti riservati. Impaginazione: Sabina Coratelli
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Amerigo Tot Il suo Tavoliere e la sua Puglia in mostra a Bari presso l’Agenzia Centrale di Banca Carime Già nel dicembre del 2010, in occasione del 60° Anniversario di attività dell’Agenzia Centrale di Bari, Banca Carime festeggiò l’evento ripercorrendo – attraverso l’avvenuto restauro delle sculture di Amerigo Tot presenti nella sede centrale – e ricordando una storia che prende avvio nel 1950 con l’inizio dell’operatività della prima filiale nonché sede centrale della Cassa di Risparmio di Puglia, divenuta nel 1991 Caripuglia S.p.A., confluita nel 1997 in Banca Carime oggi nel Gruppo UBI Banca.
La rapida affermazione della Banca portò, pochi anni dopo la fondazione, alla realizzazione di una nuova e prestigiosa sede in Via Calefati, al civico 100, su progetto del celebre Architetto Saverio Dioguardi, sede che tuttora ospita l’Agenzia Centrale di Bari di Carime. Nel solco di una consolidata attenzione ai valori culturali e di vicinanza al territorio, Banca Carime per l’occasione promosse, all’interno della storica sede, il restauro conservativo del pregevole bassorilievo in cotto e il portale in bronzo Il Tavoliere, costituito da dieci grandi formelle, opere fra le più significative e conosciute del famoso scultore ungherese Amerigo Tot (19081984), chiamato in quei primi anni cinquanta a completare l’intervento architettonico della sede con un importante ed illuminato apporto decorativo. Tali pregevoli opere scultoree rappresentano, infatti, ancora oggi un’importante testimonianza storica ed artistica, patrimonio culturale della Città di Bari e dell’intero Mezzogiorno. Per questo su proposta di una giovane ricercatrice e storica dell’arte, la dott.ssa Alessandra Critelli, abbiamo aderito ad un progetto di Mostra sul noto scultore ungherese con una raccolta di testimonianze e alcune opere provenienti da collezioni private che provano il passaggio in Italia ed in Puglia, in particolare, di Amerigo Tot, artista versatile e maestro di immagini plastiche che richiamano spesso l’agognata libertà.
Infatti, Tot con l’avvento del nazismo nel 1933 lasciò la sua Ungheria e Budapest per trasferirsi a Roma; la scoperta del Rinascimento italiano rappresentò un’esperienza determinante per la formazione artistica di Tot. Negli anni settanta insegnò scultura all’Accademia di Belle Arti di Bari e fu protagonista della vita intellettuale ed artistica di numerosi circoli culturali baresi dell’epoca, oltre che artefice di una produzione che trova tracce indelebili proprio in questa Mostra che ha il merito di portare alla conoscenza del grande pubblico numerose testimonianze della sua vivace, realista, feconda produzione scultorea e grafica.
In tal modo, abbiamo voluto ripercorrere alcune impronte incancellabili di un artista e di uno scultore eclettico, poliedrico, persino ribelle e dall’evidente richiamo, nel suo stile e nelle sue espressioni artistiche, alle migliori scuole mitteleuropee. Anche questa occasione è stata colta da Banca Carime per aprire la sua storica sede barese alla Città ed ai cultori del bello, a conferma di come da tempo la Banca ha voluto assumere una propria ragione d’essere ed operare nel favorire la promozione e la divulgazione della cultura unica base che può ridare nuovo vigore all’auspicata crescita economica e sociale del nostro Sud.
prof. avv. Andrea Pisani Massamormile Presidente di Banca Carime
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Amerigo Tot e la Galleria Koller La Galleria Koller, giunta al suo sessantesimo anniversario, celebra la sua attività e gli artisti che ha ospitato e ha visto affermarsi negli anni. Quella che è oggi la Koller nasceva a Budapest nel 1950 col nome di “Associazione degli Artisti Incisori”, segnando il riaffermarsi della grafica ungherese del dopoguerra. Per l’Ungheria erano stati anni difficili come lo erano stati per gli artisti che dall’Associazione fondata da György Koller si erano sentiti accolti e protetti. Oggi la galleria continua la sua funzione ospitando mostre ed esposizioni di opere classiche e contemporanee. Nel 2010 con la collaborazione degli eredi di Amerigo Tot, ed in particolare grazie a Judit Cziráki, è stata creata la stanza commemorativa dedicata allo scultore in quella che per anni era stata l’abitazione-studio dell’artista ungherese, durante i suoi brevi ritorni in patria. La stanza, al terzo piano della galleria, accoglie solo parte dell’opera omnia dell’artista, distribuita nelle varie collezioni permanenti del territorio. In essa sono presenti, tra le altre, opere in bronzo come il bozzetto dell’Apoteosi del seme, una grande opera realizzata per l’Università Szent István a Gödöllő, il Lottatore in pensione, la Sonnambula, una versione in terracotta della Madonna di Csurgo, dell’Ultima cena e un rilievo Le tre Grazie in ceramica. È inoltre esposto materiale documentario d’eccezione: fotografie in cui l’artista appare in momenti casuali che ne rivelano lo spirito e l’habitus, anche dépliant e locandine storiche di mostre, alcuni attrezzi della sua arte e una cartolina di auguri di Papa Paolo VI inviata all’artista in occasione del Natale. Questo 2013, Anno della Cultura Italiana in Ungheria e della Cultura Ungherese in Italia, rappresenta una straordinaria opportunità per approfondire le relazioni e le conoscenze tra i nostri popoli ed i nostri Paesi. Bene si inseriscono, in questo reciproco scambio all’insegna della cultura, la mostra su Amerigo Tot sostenuta e ospitata dalla Banca Carime nella sua Sede Centrale di Bari e quella successiva in Ungheria, progettata e sostenuta dalla Galleria Koller. Un grazie ai collezionisti di Bari, agli amici e a quanti hanno creduto nell’opera e nel lavoro di Tot, che rendono possibile, per la prima volta, la fruizione e la conoscenza di opere scultoree e grafiche di artista di fama mondiale.
Daniel Köster
Direttore della Galleria Koller
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2. Stanza della memoria. Budapest, Koller Gallery
3. György Koller, Károly Reich e Amerigo Tot, ca.1980
SOMMARIO
Il primo tempo di Amerigo Tot: dal Bauhaus alla Città Eterna...................................13 Amerigo Tot korai időszaka: a Bauhaustól az örök városig Giacomo Lanzilotta
Amerigo Tot 1909-1984.........................................................................................................21 Amerigo Tot 1909-1984 Alessandra Diana Critelli
Amerigo Tot e il suo rapporto con l’Università degli Studi di Bari. ...........................93 Amerigo Tot kapcsolata a Bari-i Egyetemmel Christine Farese Sperken
Amerigo, l’eros come energia dell’arte...........................................................................107 Amerigo, az erosz mint a művészet energiája Pietro Marino
Antologia. .............................................................................................................................113
Antológia
Bibliografia...........................................................................................................................133 Bibliográfia
Referenze fotografiche.......................................................................................................138 Fotó Referenciák
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Legenda: laddove mancano indicazioni su materia, tecnica e ubicazione non è stato possibile reperire tali informazioni. Le didascalie non altrimenti specificate si intendono riferite ad Amerigo Tot quale autore delle opere. Magyarázat: ahol hiányzanak információk technikáról, méretről nem lehetet felderíteni az adatokat. A nem pontosított szövegek forrása mindig Amerigo Tot. 12
Il primo tempo di Amerigo Tot: dal Bauhaus alla Città Eterna Amerigo Tot korai időszaka: A Bauhaustól az Örök városig Giacomo Lanzilotta
Davvero singolare e per certi versi romanzesca l’avventura biografica e artistica del primo tempo della vita di Amerigo Tot, ma se vogliamo perfettamente inserita nel solco di una tradizione o forse una leggenda, che nell’immaginario collettivo associa alle sue origini ungheresi il mito plurisecolare del nomadismo gitano, a piedi o con mezzi di fortuna, in giro per l’Europa, costantemente volto alla ricerca e alla conferma della sua creatività. A scorrere quelli che sono stati i suoi trascorsi giovanili e le esperienze che ne hanno costituito la sua formazione d’artista, emergono subito le molteplici contraddizioni di un percorso che lo ha visto frequentare maestri e scuole dei più differenti – se non del tutto opposti – orientamenti, anche politici, tra avanguardisti e conservatori, degenerati e accademici, e poi classici, classicisti, astratti e figurativi. Dopo gli studi di grafica a Budapest, alla scuola superiore delle arti applicate, lo ritroviamo osservante discepolo di Klee e MoholyNagy a Dessau, per poi passare un’esperienza di fonditore nella bottega parigina di Aristide Maillol, avvenuta nel mezzo della pausa estiva delle lezioni al Bauhaus; giusto il tempo di assistere al declino della Repubblica di Weimar e alla chiusura dell’istituto, per mano dei nazisti, ed eccolo a Dresda, da Otto Dix, suo nuovo maestro di pittura. Come poter concepire allora, dopo tanta affinità col grande esponente della Neue Sachlikeit e le mille successive peripezie che portano Amerigo Tot a Roma, altrettanta disinvolta familiarità con un Angelo Zanelli, che per l’epoca non rappresentava certo un campione di progressismo? A tutto ciò vanno pure aggiunti – e non sono pochi – i prestiti formali acquisiti dai grandi scultori del passato, dal Rinascimento a ritroso fino alla statuaria etrusca e della Grecia arcaica. L’insieme che se ne ricava è un complesso incoerente dei riferimenti estetici più disparati, che nella formazione del giovane artista potrebbero amalgamarsi non meno facilmente dell’acqua con l’olio di oliva: cioè destinati per sempre, con tutti gli sforzi del caso, a convivere senza nulla condividere.
Igazán rendkívüli és bizonyos szempontból kalandosan romantikus Amerigo Tot életének korai életrajzi és művészeti időszaka, de tökéletesen beleillik abba a hagyományba, vagy inkább legendába, amely a kollektív képzeletben összeköti magyar gyökereit a vándorló nomád több évszázados mítoszával: gyalogszerrel, vagy amivel éppen adódott bejárta Európát, folyamatosan saját kreativitásának kutatása és megerősítése felé fordulva. Ha végignézzük ifjúkorát és tapasztalatait, amelyek művésszé formálódását alakították, rögtön feltűnik többszörösen ellentmondásos életútja, amelynek során a legkülönbözőbb iskolák mestereihez járt, időnként teljesen ellentétes politikai irányultságúakba is az avantgardtól a konzervatívig, vagy az amatőrtől az akadémiáig, a klas�szikustól a klasszicistáig, az absztraktól a figuratívig. A Budapesti Képzőművészeti Főiskolán végzett grafikai tanulmányai után a Dessaui Bauhausban Klee és Moholy-Nagy figyelmes tanítványa volt, majd az iskola nyári szünete alatt Aristide Maillolnál egy párizsi műhely öntőjénél szerzett tapasztalatokat. Ott volt a Weimari Köztársaság hanyatlásánál és az intézet nácik miatti bezárásánál majd Drezdában találjuk őt, ahol Otto Dix lett festő mestere. Hogyan érthetjük meg Amerigo Tot nagymértékű azonosulását a Neuse Sachlikeit kiemelkedő képviselőjével, majd ezernyi viszontagságot követően, amelyek őt Rómába vezetik, a hasonlóan magabiztos bensősséget egy bizonyos Angelo Zanellivel, aki a korszaknak egyáltalán nem éppen haladó képviselője volt? Mindehhez hozzá kell adjuk a reneszánsztól visszanyúlva egészen az archaikus görög és az etruszk szobrászatig a múlt nagy szobrászaitól átvett, kölcsönzött – és nem is kevés – formákat. Ebből az egészből egy összefüggéstelen, teljesen eltérő esztétikumú összességhez jutott, amelyek a fiatal művész formálódásában talán még az olívaolajnál és a víznél is nehezebben tudtak elkeveredni: az lett ennek az elegynek a rendeltetése, hogy örökké egymás mellett éljenek az elemei anélkül, hogy egymással bármit megosztanának. Valójában hihetetlen élete könnyebben érthető válik an13
In realtà il suo incredibile vissuto può essere con più agevolezza compreso alla luce della stessa natura cosmopolita ed eclettica di cittadino europeo figlio del suo tempo, nato suddito di sua maestà l’imperatore asburgico Francesco Giuseppe, poi cittadino ungherese, infine italiano, anzi romano d’adozione. L’uomo fin dal principio ha dimostrato una coerenza e una statura morale integra, senza compromessi, antifascista che ha patito più volte il carcere e ha combattuto in prima linea nella Resistenza; l’artista, diversamente, ha partorito creazioni di formidabile disparità stilistica, eppure tutte figlie della stessa mano. Per così dire, nella loro eterogeneità le opere di Tot non rappresentano altro che lo sviluppo naturale di quella eterogenea molteplicità di riferimenti che ne hanno caratterizzato la formazione. A Dessau il ventiduenne Tot giunge come vincitore di una borsa di studio nel 1931, subito dopo avere scontato tre mesi di carcere per la sua partecipazione a una manifestazione antifascista contro il regime di Horty. Al Bauhaus è attirato per gli studi di grafica e di incisione, mentre i temi plastici costituiscono ancora un interesse collaterale, basato essenzialmente sugli aspetti storici. Il suo entusiasmo lo porta a muoversi, in mancanza di mezzi migliori, a piedi alla volta della città tedesca. È il primo pellegrinaggio dell’artista gitano alla ricerca della verità. Quel poco che è sopravvissuto delle sue prime esperienze pittoriche, opere perdute documentate da vecchie immagini in bianco e nero, denotano in maniera esplicita l’adesione al verbo del Bauhaus, a quella libertà di ricerca che la scuola offriva, oscillanti tra il formalismo geometrizzante di un Klee – come l’Autoritratto nel caffè (fig. 4), il Blu nel blu (fig. 5) o il Grigio nel grigio (fig. 6) – e l’astrattismo libero e puro di un Kandinsky in Un miliardo di anni luce (fig. 7). Se pure il documento iconografico sopravvissuto non ci consente una più esaustiva disamina dell’impostazione cromatica di quelle composizioni, non si può essere tuttavia lontani dall’intuire delle soluzioni tonali in piena sintonia con la cultura che le ha prodotte. La storia della sua formazione professionale si sarebbe potuta a questo punto fermare qui, concludendosi nell’ambito della scuola di Dessau: ecco che invece di sentirsi appagato, lo studente ungherese del Bauhaus approfitta della sospensione estiva delle lezioni per partire alla volta di Parigi. Niente di strano a prima vista in un viaggio verso la ville lumière, incontrastata capitale delle arti e della cultura europea; ma non sono le avanguardie e i suoi artisti 14
nak fényében, hogy mint korának európai - egyszerre kozmopolita és ekletikus természetű- állampolgára, Ferenc József habsburg császár alattvalójaként született, majd magyar, végül olasz, sőt tiszteletbeli római állampolgárrá vált. Ember volt, aki a kezdetektől következetességet és kompromisszumok nélküli erkölcsi tartást mutatott, antifasiszta, aki többször börtönbe került, az Ellenállás első soraiban küzdött; olyan művész volt, aki egyébként pedig félelmetesen páratlan stílusú alkotásokat hozott létre, mégis mindez egy kéz műve volt. Úgyis mondhatjuk, hogy Tot egymástól eltérő művei, nem mást képviselnek, mint azoknak az összefüggéseknek a különféle sokszínűségét, amelyek az ő formálódását meghatározták. 1931-ben a 20 éves Tot egy ösztöndíj nyerteseként jutott el Dessauba, rögtön azután hogy háromhavi börtönbüntetésre ítélték egy Horthy-rendszer ellenes antifasiszta megmozduláson való részvételéért. A Bauhausba a metszetek és a grafikák tanulmányozása vonzotta. A plasztikus témák, amelyek ekkor még legfőképpen történelmi szempontokon alapultak, inkább másodlagos érdeklődést jelentettek még csak számára. Lelkesedése odáig vitte, hogy jobb híján elgyalogolt a német városba. Ez volt a vándor művész első igazságkereső zarándokútja. Az a kevés, ami fennmaradt az első festői próbálkozásaiból, elveszett alkotásai dokumentációjának feketefehér régi képei, eléggé kifejező módon jelzik a Bauhaus eszméjéhez való tartozását, ahhoz a kutatói szabadsághoz, amelyet az iskola kínált. Ezek a művek Klee geometriai formalizmusa - mint az Önarckép a kávéban (4. ábra), a Metszet egy utcáról (5. ábra), vagy a Szürke a szürkében (6. ábra) című művei - és Kandinsky szabad és tiszta absztraktizmusa között ingadoztak, mint az Egy milliárd évnyi fény (7. ábra) című képe. Ha a fennmaradt képzőművészeti alkotások dokumentációja nem is teszi lehetővé ezeknél a műveknél a színhasználat alaposabb tanulmányozását, nem nehéz megérezni a tónusok megoldásainak teljes összhangját azzal az ő alkotói kultúrájával. Művészi képzésének története ezen a ponton, a Dessaui iskolával lezárulva véget is érhetett volna, de nem érte be ennyivel, a Bauhaus magyar diákja kihasználva az órák nyári szünetelését Párizsba indult. Első ránézésre semmi különöset nem találhatunk a ville lumière- be történő utazáson, Párizs vitathatatlanul az európai kultúra és művészetek fővárosa, de nem is annyira haladó úttörői és művészei keltették fel Tot figyelmét, mint inkább a 70 éves éveiben járó, de még energiával teli Aristide Maillol szobrász atelier-je.
che attraggono l’attenzione di Tot, quanto piuttosto l’atelier di scultura del settantenne – ancora pieno di energie, all’epoca – Aristide Maillol. Maillol non doveva essere proprio uno degli scultori più aggiornati, almeno tra quelli che c’erano in giro per Parigi, e probabilmente le sue idee migliori le doveva già avere espresse più d’una trentina di anni prima, a seguito delle sue frequentazioni con l’amico Paul Gauguin. Dalla sua progressiva disintossicazione dall’accademismo più retrivo alla scuola di Cabanel, Maillol aveva iniziato a sviluppare, al volgere del secolo, un’idea di figura femminile mitica e carnale al contempo, sintesi di richiami alle lontane culture delle civiltà arcaiche mediterranee: volumi sinuosi, donne rotondette sviluppate in forme monumentali. Appunto, quel che attirava Tot non era altro che ciò che la produzione del vecchio scultore franco-catalano esprimeva allora, così pregna di fascino un poco antico e un poco esotico. Era di fatto ciò che cercava, una sorta di conferma all’idea di scultura che aveva in testa in quel dato momento storico: umana, eterna, monumentale. Nella bottega di Maillol egli si presta come fonditore, esperienza che determina in quei pochi mesi il suo decisivo avvicinamento all’arte plastica e alle sue tecniche: una parentesi istruttiva, senza immediati sviluppi produttivi, per poi tornare allo studio delle arti grafiche alla ripresa dei corsi del Bauhaus. Si è detto che non resta molta documentazione dell’attività artistica del nostro alla scuola di Dessau, frequentata fino alla sua chiusura e seguita per un altro breve periodo al successivo trasloco di questa a Berlino, con un singolare intervallo di un paio di mesi circa, dall’ottobre 1932, durante il quale Tot si imbarca come mozzo a bordo di un mercantile in giro per il Baltico. Insoddi4. Autoritratto nel caffè, 1931 sfatto poi di ciò che restava
Maillol nem feltétlenül volt egyike a legfelvilágosultabb szobrászoknak, legalábbis azok közül akik Párizsban megfordultak, valószínűleg a legjobb ötleteit már 30 évvel azelőtt megvalósította amikor Paul Gauguinnal barátkozott. Maradi irányultságától a későbbiekben megtisztulva a századfordulón a Cabanel iskolájában Maillol távoli archaikus mediterrán civilizációs kultúrákra emlékeztető misztikus, de ugyanakkor érzéki női alakot fejlesztett ki: a nőket kanyargós, kerekded formákban, hatalmas méretekben formálta meg. Mindaz, ami Tot-ot vonzotta, nem volt más, mint az öreg frank-katalán szobrász egy kissé antik, kissé egzotikus bűvölettel átitatott alkotómódja. Valóban ez volt, amit keresett, egyfajta megerősítése annak a humánus, hallhatatlan és monumentális szobrászati elképzelésnek, ami a fejében élt abban a történelmi pillanatban. Maillol műhelyében felajánlotta munkáját, mint öntő, amely tapasztalat abban a néhány hónapban a szobrászművészethez és annak technikáihoz való közeledését meghatározták. Tanulságos kitérő volt, bár nem volt közvetlen hatással alkotói érésére, ezután visszatért a Bauhaus-nál folytatott grafikus művészeti tanulmányaihoz. Már említettük, hogy nem maradt fenn nagy dokumentáció művészeti tevékenységéről a dessaui Bauhaus iskolában, amelybe egészen bezárásáig és még azt követően annak Berlinbe való költözése után egy kis ideig járt. Egyetlen rövid, pár hónapos szünet volt közben, amely alatt 1932 októberétől Tot a Balti tengert járta egy kereskedőhajó fedélzetén hajósinasként. Később, csalódott abban, ami a berlini Bauhausból maradt és a náci megszállás alatti megpróbáltatásai miatt Drezdába költözik, Otto Dix művészeti iskolájába. Rövid idejű megálló volt, de óriási jelentőségű, amelynek során, új tanára buzdítására újból festeni 15
del Bauhaus berlinese, agonizzante sotto il continuo assedio nazista, si trasferisce a Dresda, alla scuola di Otto Dix. Fu un soggiorno breve ma assai significativo, durante il quale, incoraggiato dal suo nuovo maestro, riprende a dipingere e allestisce la sua prima mostra personale presso la galleria Brücke, simbolico suggello a chiusura di un fase della vita, quella di Amerigo Tot (anzi, Imre Toth nell’idioma ungherese) fino a questa parte pittore. Come è noto, seguirono i drammatici eventi che portarono il 10 febbraio 1933 all’arresto di Tot, che con altri aveva opposto resistenza ai nazisti che volevano catturare Dix, alla conseguente deportazione presso il campo di concentramento di Zwickau. Di qui, dove riesce a evadere, incomincia la fuga a piedi verso una meta sicura, passando clandestinamente i confini della Cecoslovacchia e dell’Austria, verso l’Italia.
kezdett és megrendezte első önálló kiállítását a Brücke Galériában, ezzel szimbolikusan megpecsételve Amerigo Tot (vagy mint magyar nevén ismert Tóth Imre) eddigi, festőről szóló életszakaszának lezárását. Mint az már köztudott, drámai események következtek ezután, amelyek 1933 február 1-én Tot letartóztatásához vezettek, miután másokkal együtt ellenszegült a náciknak, akik Dixet akarták elkapni. Azt követően a Zwickau-i koncentrációs táborba deportálták. Innen sikerült megszöknie majd gyalogosan menekült Olaszország felé, miután illegálisan lépte át Ausztria, majd Csehszlovákia határát. A magyar művész miközben vándorolt, hol, mint egy zarándok, hol, mint a menekülő Renzó, kalandos útja során több állomás között Padovát is érintette, a Szent Antal
5. Blu nel blu, 1931
6. Grigio nel grigio, 1932
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L’avventuroso itinerario dell’artista ungherese, viandante come un pellegrino o come un Renzo fuggiasco, toccò tra le varie soste Padova, cioè la Basilica del Santo. Fu la visione di Donatello a determinare in tal frangente la conferma alla svolta della sua vita, già insinuatasi nell’esperienza allo studio di Maillol e incubata a lungo, infine esplosa. Amerigo Tot, di professione scultore, proseguiva ora il suo lungo viaggio in direzione di Roma. In un primo tempo Tot aveva pensato di fermarsi nella Capitale solo per un breve periodo, per poi seguitare il cammino verso la Sicilia, vaga intenzione subito svanita al contatto diretto con la Città Eterna. Roma, con tutte le difficoltà di adattamento dei primi tempi della sua permanenza, significava l’inizio di una nuova vita professionale, l’occasione continua di un confronto di sé con i grandi exempla della storia dell’arte passata per le sue strade, con le piazze, le chiese, i monumenti e tutto il resto: non meno rapito dalla scultura etrusca che da Michelangelo, dai sorrisi incerti dei Kouroi che dai ritratti ellenistici, dai rinascimentali piuttosto che
Bazilikát. Itt Donatello látásmódja volt az, ami abban a nehéz helyzetben fordulatot hozott életében, amelyet már Maillol műtermében szerzett tapasztalatai során megérzett és hosszan érlelt magában, és amely végül előtört. A szobrász képzettségű Amerigo Tot most már folytatta hosszú vándorútját új célja: Róma felé. Egy időben Tot azt gondolta, hogy a Fővárosban csak egy rövid időre áll meg, majd folytatja útját Szicíliába, ám ez a kósza szándék azonnal elillant, amikor közvetlen kapcsolatba került az Örök Várossal. Róma, minden kezdeti alkalmazkodási nehézség ellenére, egy új szakmai élet kezdetét jelentette, folyamatos alkalmat arra, hogy utcáit, tereit, templomait, műemlékeit és egyéb részeit bejárva, önmagát a művészettörténet nagy „exempla”-ival összehasonlítsa. Legalább annyira el volt kápráztatva az etruszk kultúrától, mint Michelangelótól, a Kuros szobrok félszeg mosolyaitól, mint a hellén arcképektől, a reneszánsz alkotásoktól méginkább, mint a kortársakétól. A fiatal magyar „romanizálódása” során minden ingert összegyűjtött és feldolgozott, mint egy újhitű, aki éppen önmagát alkotja újra. Ott volt az
7. Un miliardo di anni luce, 1932
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dai suoi contemporanei, il giovane magiaro in corso di romanizzazione ogni stimolo raccoglie e tutto assimila, come un neofita alle prese con la ricostruzione di sé. C’è tutta una storia dell’arte da fare propria. La produzione di quel periodo, nell’arco tra 1933 e 1938, costituita prevalentemente di teste e figurine dai soggetti mitologici, pur nelle loro piccole dimensioni manifestano già quell’anelito alla monumentalità che sarà uno dei caratteri distintivi dello scultore maturo, dal Sorriso antico (fig. 8), dall’esplicito richiamo arcaico, ai più ellenizzanti Ritratti virili (fig. 9), alle molteplici versioni delle Menadi danzanti (fig. 1011), quasi in competizione con l’amico Mirko Basaldella. Sono prove che costituiscono il preludio a più grandi composizioni. La prima occasione per la realizzazione di un monumento, lo Scanderbeg nel 1937, fu come è noto un’occasione mancata, a causa della prepotenza del regime che dirottò al Romanelli l’allogazione del concorso già vinto da Tot. Per la prima opera propriamente monumentale, non fosse altro che per le dimensioni, si dovette arrivare al 1940, con il Giudizio universale per la cappella Goldoni al cimitero di Bologna (fig. 12). Un’enorme parete rivestita come foglie d’edera di personaggi intorno a 18
8. Sorriso antico, 1933, argilla
9. Ritratto, 1938, argilla
egész művészettörténet, amit magáévá tehetett. 1933 és 1938 közötti időszakban az alkotásait leginkább mitológiai tárgyú fejek és figurák képezték, mint a kifejezetten archaikus jellegzetességű Antik mosoly (8. ábra), az inkább hellenisztikus Férfi arcképek (9. ábra), illetve a Táncoló menádok (10-11. ábra), amelyet szinte barátjával, Mirkó Basaldellával vetélkedve készített. Ezek még kis méreteikben is megmutatják a monumentalitásra való vágyakozását, ami azután a már érett szobrász egyik fontos ismertetőjegyévé vált. Ezek voltak a bevezető a nagyobb alkotásokhoz. 1937-ben kínálkozott az első alkalom egy nagy műemlék, a Szkander bég lovas szobrának elkészítésére, bár ez nem valósulhatott meg a rendszer erőszakos közbeavatkozása miatt, amely a Tot által már megnyert pályázat megvalósítását hatalmilag Romanellinek ítélte. Az első igazán hatalmas - legalábbis méreteiben - alkotására még 1940-ig várnia kellett, ez volt a Végítélet (12. ábra), amelyet a Bolognai temető Goldoni kápolnájába készített. Ezen a falon, mintha borostyánlevelekkel lenne beborítva, az ítélkező Krisztust személyek veszik körül, aki többek között Hitlert és Mussolinit is a pokolba juttatja; tulajdonképpen nem más, mint a felületet teljesen elfoglaló alakok tömege.
10. Menadi danzanti, 1938, bronzo. Bari, collezione privata
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Cristo giudice, che tra l’altro butta giù all’inferno pure Hitler e Mussolini, nient’altro che la folla di figure occupanti ogni angolo di superficie. Un Tot iperfigurativo dunque, a siglare di lì a poco la sua pausa di riflessione sulle cose d’arte. Una sospensione dovuta, per usare un tono elevato, a cause di forza maggiore. L’Italia, anzi l’Europa è già in pieno conflitto bellico. Sono circostanze che inducono, se non impongono, l’uomo a delle scelte: e il nostro, che già ventenne aveva conosciuto un paio di volte le prigioni nazifasciste, nel 1943 accantona gli arnesi del mestiere ed entra a far parte del CLN. Il suo impegno nella Resistenza durerà fino alla fine della guerra.
Tehát művészeten való elmélkedésének szünetét követően egyértelműen egy abszolút emberábrázoló Totról beszélhetünk. Hogy kissé erősebb kifejezést használjunk, ez a szünet fölötte álló erőszaknak volt köszönhető. Olaszország, sőt Európa már mélyen benne volt a háborús konfliktusban. Ezek azok a körülmények, amelyek az embert döntésekhez vezetik, sőt rákényszerítik: ő, aki húszévesen párszor már megjárta a náci fasiszta börtönöket, fiókba tette eszközeit és belépett a CLN-be. Az Ellenállásban vállalt szerepe a háború végéig tartott.
11. Menadi danzanti, particolare
12. Giudizio Universale, 1940, marmo. Bologna, cimitero della Certosa, cappella della famiglia Goldoni
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*ville lumière- be Fények városa CLN: Il Comitato di Liberazione Nazionale: Nemzeti Felszabadítási Bizottság a menekülő Renzó: utalás Alessandro Manzoni: Jegyesek c. Művének főszereplőjére, akit menekülésre kényszerítenek
AMERIGO TOT 1909-1984 Alessandra Diana Critelli
Poetico e duplice l’itinerario, immaginario e reale, tracciato nel 1969 dal regista magiaro Zoltán Huszárik nell’emozionante cortometraggio biografico dedicato allo scultore Amerigo Tot, suo amico e connazionale.1 Come i grandi viaggiatori dell’arte e della letteratura, per lo scultore ungherese il viaggio non rappresenta la fuga, l’evasione, ma piuttosto un’esperienza all’insegna della leggerezza, della imprevedibilità, connotata da desideri e sogni mutevoli. Le sue frequenti peregrinazioni non sono soltanto fonte di conoscenza delle cose belle disseminate nel mondo, ma significano anche la scelta e la decantazione, a volte faticose, delle loro qualità. Dal ritratto che ne fa Zoltán, mentre penetra nel lavoro di tutti i giorni dello scultore, emerge la figura di un artista pronto a cogliere tutte le bellezze della vita e del mondo, per portarle, in quanto frutto del lavoro umano, nella sua opera. Il cortometraggio è il punto di partenza che coinvolge emotivamente lo spettatore nella vita e nell’opera dell’artista. Le origini italiane di Amerigo Tot restano piuttosto incerte dal momento che, spesso, erano frutto di racconti e aneddoti immaginari dello scultore.2 Pronipote da parte materna di un capomastro muratore italiano (chiamato in Ungheria per la costruzione del castello di Buda), nasce a Féhèrvarcsurgo il 27 settembre 1909. La sua è una famiglia di contadini e trascorre l’infanzia nelle campagne della pianura magiara creando con l’argilla esseri favolosi, ispirati alle leggende popolari, tramandate oralmente fin dal tempo delle migrazioni del popolo magiaro.3 Nel 1927 frequenta a Budapest la Scuola Superiore delle Arti Applicate, dove avrà come maestri Ferenc Helbing e György Leszkovszky e conseguirà il diploma di specializzazione in Grafica. In questo periodo Tot entra in contatto con gli ambienti culturali della capitale e stringe amicizia con Alessandro Bortnyk, l’artista grafico noto nel resto d’Europa per i manifesti eseguiti per la “Modiano”, la famosa fabbrica di carte da gioco nella cui tipografia “Piatnik” apprende le varie tecniche della riproduzione e della stampa. L’artista vive i fermenti politici della nazione e nel 1930 passa tre mesi in carcere, per
A magyar Huszárik Zoltán által 1969-ben rendezett megindító életrajzi dokumentumfilmből egy részletet Amerigo Tot költői és kettős- valós és a képzelt - életútjának szentelt, aki barátja és honfitársa volt.1 Mint az irodalom és a művészetek nagy utazói számára, a magyar szobrásznak sem jelent az utazás menekülést, hanem inkább a könnyedség, a kiszámíthatatlanság jegyében tett változékony álmokkal és kívánságokkal árnyalt tapasztalatot. Gyakori zarándoklatai nem csupán a világban elszórt szép dolgok megismerésének forrásai, de a néha minőségükben való fárasztó letisztításuk választása is. A portréból, amelyet Zoltán lefest, miközben behatol a szobrász mindennapi munkájába, egy olyan művész képe tűnik fel, aki kész az élet szépségeinek befogadására, és hogy azokat, mint egy emberi munka gyümölcsét átvigye műveibe. A dokumentumfilm a kiindulási pont, amely érzelmileg bevonja a nézőt a művész alkotásaiba és életébe. Amerigo Tot olasz származása eléggé bizonytalan, mivel maga a művész kitalált, gyakran mesélt történeteinek és anokdotáinak a gyümölcse.2 Anyai ágon dédunokája egy hajdani olasz kőművesmesternek (akit a Budavári Palota építésekor hívtak Magyarországra), Fehérvárcsurgón született, 1909. szeptember 27-én. Paraszti származású családjával a magyar alföldön töltött gyerekkorában csodálatos alakokat készített agyagból, azokból népi legendákból merített ihletet, amelyeket még a magyar népvándorlás idején szájhagyomány útján örökítettek tovább.3 1927-ben a Budapesti Képzőművészeti Főiskolára járt, ahol Helbing Ferenc és Leszkovszky György voltak tanárai, diplomáját grafikára specializálódva szerezte. Ebben az időszakban Tot kapcsolatba került a főváros kulturális környezetével és barátságot kötött Bortnyk Alessandróval, aki Európa-szerte a “Modiano”-nak, a híres játékkártyagyárnak kivitelezett plakátjairól híres grafikus művész, amelynek tipográfiájából a híres “Piatnik” nyomda átvett különféle nyomtatási és reprodukciós technikákat. A művész a nemzet politikai mozgolódása alatt 1930-ban három hónapot töltött börtönben, amiért részt vett egy Horthy-rendszer4 ellenes megmozduláson. 21
aver partecipato a una dimostrazione contro il regime di Horthy.4 In questi anni fa parte del gruppo antifascista “Munkàs-Kör”, capeggiato da uno dei maggiori artisti ungheresi, il poeta Lajos Kassák.5 Una borsa di studio lo porta al Bauhaus e si trasferisce a Dessau, in Germania, dove ha come maestri il compatriota László MoholyNagy, Vasilij Kandinskij e Paul Klee.6 Nel clima della più importante esperienza della cultura tedesca contemporanea si forma e matura in Tot l’artista. A Dresda si iscrive alla scuola d’arte di Otto Dix, frequentata dai giovani democratici, avversari del nazismo.7 Nello stesso anno è notato da un mercante e gallerista della città che gli offre l’opportunità di esporre le sue opere presso la galleria della “Brücke”. Qui espone anche il maestro dell’espressionismo viennese Oskar Kokoschka e si tiene la prima mostra personale di Tot. L’anno successivo, e precisamente il 10 febbraio del 1933, i nazisti cercano di arrestare Otto Dix, ma alcuni studenti si oppongono, favorendone la fuga. Insieme ad altri studenti anche Tot verrà arrestato e sarà rinchiuso per diversi giorni nelle prigioni della Gestapo. Venne inviato, insieme ad altri 15 studenti di Dix, nel campo di concentramento di “Zwickau” dal quale insieme a due compagni riesce a fuggire.8 Qui inizia un avventuroso percorso, irto di pericoli, che lo porta, a piedi e da clandestino, dalla Cecoslovacchia all’Austria, fino a Roma. Qui, la città che avrebbe dovuto rappresentare solo una tappa di viaggio lo affascina a tal punto che rinuncia a proseguire. Rinuncia, infatti, a raggiungere la Sicilia, dove avrebbe tentato l’imbarco su un mercantile che lo avrebbe portato in Oriente. Nella capitale dorme sotto i ponti, nei giardini del Gianicolo e nell’ospizio Kolping di via Pettinari, finché l’Ambasciata ungherese si interessa all’artista e gli assegna una borsa di studio che gli permette di entrare e vivere all’Accademia di Ungheria, in via Giulia. Roma gli offre tutta la ricchezza dell’arte rinascimentale, in confronto alla quale l’esperienza del Bauhaus gli appare svuotata di significato. Dinanzi ai grandi artisti del Rinascimento italiano, Donatello, Michelangelo ed altri, sente rinnovata la sua formazione artistica. Volto com’era a cogliere tutti gli stimoli e i suggerimenti che potessero influenzare ed arricchire la sua ispirazione, si sofferma anche sulla scultura etrusca. Esegue in argilla una testa d’uomo Sorriso antico (fig. 8) e una scultura in legno Le tre vedove (fig. 13), opere in cui sono chiari gli influssi etruschi e rinascimentali i cui modelli restano patrimonio dell’arte dello scultore che accoglie la classicità trasformandone l’essenza e vivendola con la forza della sua personalità. La scoperta del mondo classico riporta l’ar22
Ezekben az években az antifasiszta “Munkás-Kör” tagja volt, aminek az egyik legnagyobb magyar művész, a költő Kassák Lajos5 volt a vezetője. Egy ösztöndíj jóvoltából a Bauhaus iskolába kerül Dessauba, Németországba, ahol olyan mesterei lesznek, mint honfitársa, Moholy-Nagy László, vagy Vassily Kandinskij es Paul Klee.6 Ebben a kortárs német, kulturális, fontos tapasztalati légkörben alakul ki és érik művésszé Tot. Drezdában beiratkozik Otto Dix művészeti iskolájába, ahová nácizmus ellenes demokrata fiatalok járnak.7 Ugyanabban az évben felfigyel rá a város egyik kereskedője és galéria tulajdonosa, aki lehetőséget kínál neki arra, hogy kiállíthassa műveit a “Brücke” Galériában. Itt láthatóak az expresszionizmus bécsi mestere, Oskar Kokoschka művei is, és Amerigo Tot itt tartja első személyes kiállítását. A következő évben, pontosabban, 1933. február 10-én, a nácik megpróbálják letartóztatni Otto Dix-et, de néhány diák ellenáll, elősegítvén a szökését. Több társával együtt Totot is letartóztatják és napokra a Gestapo börtönébe zárják. Továbbküldik Dix másik 15 diákjával együtt a “Zwickaui” koncentrációs táborba, ahonnan két társával együtt sikerül megszöknie.8 Ezzel újabb kalandos időszak kezdődik, amely alatt gyalogos szökevényként Csehszlovákiából Ausztriába, majd végül Rómába jut. Itt a város, amely csak egy állomást jelentett volna, annyira elbűvöli őt, hogy nem utazik tovább. Lemond arról, hogy eljusson Szicíliába, ahol fel akart volna jutni egy kelet felé tartó hajóra. Az olasz fővárosban hidak alatt, a Gianicolo kertben, illetve a Pettinari utcai Kolping közösségi szálláson alszik, amíg végül a Magyar Nagykövetség érdeklődést mutat a művész felé és ösztöndíjat ajánl neki, ami lehetővé teszi, hogy bejusson a Magyar Akadémiára és ott, a Giulia utcában lakjon. Róma annyi reneszánsz művészeti szépséget nyújt számára, hogy azokkal összehasonlítva a Bauhausban szerzett tapasztalatai semmitmondónak tűnnek. A reneszánsz nagy művészei Donatello, Michelangelo és a többiek jelenlétében megújítva érzi művészi képzését. Olyan irányba fordult, ahonnét össze tudta gyűjteni az összes ingert és ötletet, amelyekből ihletet szerezhetett és gazdagíthatta inspirációját, elidőzik az etruszk szobrászatnál is. Emberi fejet készít agyagból, amelyet Antik mosolynak (8. ábra) nevez és egy faszobrot, a Három özvegyet (13. ábra), a műveken tisztán látszanak a reneszánsz és etruszk hatások. Ezek a reneszánsz modellek a szobrász művészeti örökségének részeivé váltak, befogadja a klasszicizmust, átalakítja lényegét és teljes személyiségével éli át azt. A klasszikus világ felfedezésével a művész nem Görögország fénykorához nyúl vissza, hanem az etruszk világba, a Mediter-
tista non alla Grecia del secolo d’oro, ma al mondo degli Etruschi e alle popolazione del bacino del Mediterraneo e anche nell’utilizzo dei materiali c’è una costante ricerca del grezzo, del primitivo, dell’originario. La permanenza in Italia e in particolare a Roma riveste Tot di italianità, ma è una italianità tutta speciale che sarebbe meglio definire italicità, equivalente, come afferma il Vigorelli, a “una oscura e lunga storia di sedimenti, di contaminazioni, di incroci. Per paradosso si può arrivare a sostenere che questa ideale italicità, più che appuntarsi ai fulgori di Atene e di Roma, trae la somma dei suoi elementi proprio dalle esperienze e anteriori e posteriori a quei fulgori; in parole semplici, l’italicità va assunta, e desunta, all’infuori dei cosiddetti periodi d’oro della classicità greco-romana”.9 Il Vigorelli riconosce quindi in Tot la disposizione a ritrovarsi in una italianità prima sconosciuta. Tuttavia “subiva l’incantesimo solare della classicità, ma rifiutava gli abbagli della romanità. Capì subito che l’Italia è una perenne zona di scavi, ma quel che è genuinamente italico forse è ancora sotto terra. Scoprì la Grecia delle isole, non di Atene; scoprì l’Italia etrusca, non quella imperiale”.10 L’artista procede a ritroso in un viaggio che si identifica in una ricerca delle proprie lontane radici, “quel tanto, o quel poco, di tartarico e di gotico che c’è nel suo sangue”.11 Nel 1935 Tot frequenta l’Accademia di Belle Arti, allievo dello scultore classicista Angelo Zanelli, autore del grande bassorilievo che sormonta la tomba del Milite Ignoto in piazza Venezia, che affettuosamente lo chiamava, per la sua forza e per il suo essere scevro da ogni compromesso, “maledetto magiaro”.12 Nel 1936 nascono I Tori (fig. 14), espressione di un totemismo arcaico e, nel 1939, le Celestine (fig. 15), nelle quali ritroviamo le antiche fanciulle sorridenti 13. Le tre vedove, 1936, legno (korai). Numerose sono
rán térség népeihez és anyaghasználatában is jelen van a durva, a primitív, az eredeti keresése. Olaszországi, különösen római tartózkodása alatt olaszos magatartást vesz fel, de annyira egyedit, amit pontosabb lenne inkább italianicizmusnak definiálni. Ez, ahogyan Vigorelli megállapítja, a letisztulásnak, a megfertőződésnek és a kereszteződésnek megfelelő hosszú és homályos folyamat. Paradox módon odáig juthatunk, hogy azt feltételezzük, ez a fajta ideális italianianicizmus, ahelyett hogy Róma és Athén fényét venné célba, saját összetevőit összegzi tapasztalatai alapján, vagy inkább azok vakító fényeinek az elejét és végét; egyszerűbben megfogalmazva: ez az úgynevezett klasszikus görög-római klasszicizmus aranykorán kívül magára öltött és szerzett italianizmus”.9 Vigorelli tehát felismeri Tot készségét arra, hogy egy előtte ismeretlen italianizmusban megtalálja magát. Tulajdonképpen “a klasszicizmus sugárzó vonzerejétől szenvedett, de elutasította a romanizmus káprázatát. Rögtön megértette, hogy Itália egy véget nem érő ásatási terület, de azt is, hogy a valódi olaszosság még valószínűleg nem bukkant fel a föld felszínére. Felfedezte Görögország szigeteit, de nem Athént; felfedezte az etruszk Itáliát, de nem a császárit.”10 A művész visszafelé utazott az időben, amelynek során magára ismert saját távoli gyökereinek keresésében, “az a sok, vagy az a kevés tatár és gótikus, ami a vérében volt”11. 1935-ben a Szépművészeti Akadémiára járt és a klasszicista Angelo Zanelli szobrász tanítványa lett, aki annak a nagy domborműnek az alkotója volt, amely a Velence téren lévő ismeretlen katona sírján található, és amelyet ereje és megalkuvást nem ismerő létezése miatt Tot szeretetteljesen csak “szörnyűséges magyarnak”12 hívott. 1936-ban születtek A Bikák (14. ábra), amelyek az ősi totemizmust ábrázolják és 1939-ben a Celestina (15. ábra), 23
le opere che si rifanno al mondo classico ed è facile, per chi osserva le opere degli ultimi anni trenta, ritrovare in esse il mondo che le ha ispirate. Intanto l’assimilazione dei canoni rinascimentali della scultura italiana lo allontanano sempre più dall’esperienza del Bauhaus. E, come dal Bauhaus, Tot comincia a distanziarsi anche dallo Zanelli, iniziando a dare volume alle figure, mentre tenta di sfuggire alla suggestione del classicismo del suo maestro che non apprezzava alcuna “sovversione” dei canoni tradizionali. Di Zanelli gli rimarrà la monumentalità che contraddistinguerà tutta la sua opera successiva. La presenza dell’artista in Italia era stata notata da Szerb Antal se nel suo romanzo Utas és holdvilág (Il viaggiatore e la luce della luna), pubblicato nel 1937, aveva parlato di un ungherese incontrato a Roma che vagava per la città.13 Trent’anni dopo infatti il critico Szauder József, storico della letteratura, identificò quel vagabondo del romanzo di Antal con lo scultore Tot.14 In quegli anni il suo nome iniziava ad apparire anche su alcuni quotidiani ungheresi, ma senza troppo rilievo. Solo il 13 ottobre del 1948, sul quotidiano «Magyar Nemzetben»
14. I tori, 1936, bronzo
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amelyekben korai korszakának mosolygó kislányait fedezhetjük fel. Számos mű van, amelyeket klasszikus módon újraalkotnak, aki megfigyeli az utóbbi harminc év alkotásait, az könnyedén felfedezheti bennük azt a mintát, amely azokat ihlette. Közben persze, az olasz szobrászat reneszánsz alapelveinek átvétele egyre inkább eltávolítja a Bauhaustól. Tot még Zanellitől is, úgy, mint a Bauhaustól, kezd távolságot tartani. Egyre nagyobb tömeget adott alakjainak, majd megpróbált mesterének klasszicista befolyása alól kikerülni, aki nem fogadott el semmilyen, a hagyományos értékektől eltérő “lázadást”. Zanelliből a monumentalitás maradt meg, amely megkülönbözteti összes további műveit. Jelenlétéről Olaszországban Szerb Antal írt az Utas és Holdvilág c. regényében, melyet 1937-ben publikált. Arról a magyarról ír, akivel Rómában találkozott, és aki a városban csavargott.13 Harminc évvel később aztán a híres irodalomkritikus Szauder József azonosította a Szerb Antal által említett csavargót, a szobrász Tot-tal.14 Azokban az években neve kezdett feltűnni magyar napilapok-
15. Celestina, 1939, bronzo. Bari, collezione privata
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fu pubblicato un articolo scritto da Fóthl Ernö in onore ban is, de még különösebb hangsúly nélkül. Csak 1948. dell’artista.15 Nonostante Tot iniziasse ad affermarsi per október 13-án a Magyar Nemzet című napilapban jelenik meg egy Fóthl Ernő által írott, a művészt méltató cikk.15 le sue opere in Italia, notizie certe su di lui cominciarono ad arrivare in Ungheria solo a partire dagli anni sessanAnnak ellenére, hogy Tot kezdett művei révén érvényesülni Olaszországban, Magyarországra róla csak a hatvanas ta, dopo il graduale cessare delle tensioni politiche che avevano tragicamente segnato in quegli anni la nazione évek kezdetétől érkeztek hírek, azután, hogy a politikai feszültségek, amelyek azokban az években a magyarországi ungherese.16 helyzetet jellemezték, kezdtek fokozatosan enyhülni.16 Fino al 1938 collaborerà come zincografo presso la tipografia del “Messaggero”. Ha già vinto, l’anno preEgészen 1938-ig gráfikusként közreműködik a “Messaggero” újság nyomtatásában. Az előző évben az albán cedente, il concorso indetto dal Governo albanese per l’esecuzione della statua equestre al condottiero albanese kormány pályázatot írt ki Kasztrióta György, Szkander bég hadvezér lovasszobrának megvalósítására, aki a töGiorgio Castriota Scanderbeg, amico di Hunyadi, l’eroe 17 rök elleni háborúk nagy magyar hősének, Hunyadinak a ungherese della guerra contro i turchi (fig. 16). L’occupazione dell’Albania da parte dei fascisti crea le condibarátja volt (16. ábra).17 A fasiszták azután elfoglalták zioni per capovolgere i risultati del concorso e Tot dovrà Albániát, és ez megváltoztatta a pályázat eredményét, 18 accontentarsi del secondo posto. Totnak be kellett érnie a második hellyel.18 Niente può fermare l’ispirazione dell’artista che conDe semmi sem tudta művészi ihletettségét megfékezni, tinua a lavorare intensamente, con dedizione totale. Nel továbbra is teljes önfeláldozással dolgozott. 1938-ban 1938 Pericle Fazzini lo accoglie nel suo studio romano Pericle Fazzini befogadja őt római műtermébe, ahol, ove Tot lavora come aiuto e la collaborazione finisce premint segéd dolgozik, közreműködése hamar barátsággá sto in un’amicizia fraterna con l’artista marchigiano.19 változik a Marche tartományba való művésszel.19 MegVince il primo “Premio per Giovani Artisti” e crea picconyeri a “Fiatal Művészek Díját” és kisméretű szobrokat le sculture come Menadi danzanti (fig. 10-11) e Giuditta készít, mint a Táncoló menádok (10-11. ábra) és Salomè (fig. 17) e intanto vive intensi rapporti di amicizia con (17. ábra). Eközben élénk barátságot ápol Mirko BasalMirko Basaldella, Corrado Cagli, Afro Basaldella e altri dellával, Corrado Caglival, Afro Basaldellával és más artisti che operano nella caművészekkel, akik a fővárospitale. Lo studio di Fazzini ban tevékenykednek. Fazzifu subito luogo di incontri, ni műterme rövid időn belül di stimoli, di eventi che intalálkozóhellyé válik, olyan fluenzarono la vita artistica ingerek és események helydello scultore. színévé, amelyek a szobrász Nel 1940, gli venne comművészeti életére nagy hamissionato il grande bassotással voltak. rilievo il Giudizio universa1940-ben megrendelték le, per la tomba della famitőle A Végítélet című nagy glia Goldoni a Bologna (fig. domborművet, a Goldoni 12).20 L’opera, di notevoli család síremlékére, Bolodimensioni, copre tutta una gnába (12. ábra).20 A jeparete e si presenta ricca di lentőségteljes méretű, teljes personaggi, tra cui Hitler e falat elfoglaló mű, tele van Mussolini, posti dallo sculolyan személyiségekkel, tore nell’inferno. È evidente mint Hitler és Mussolini, che essa non doveva essere akiket a szobrász a pokolgradita ai fascisti locali che ban helyezett el. Nyílvánvascoprirono presto tra le alló volt, hogy a helyi fasiszták tre, l’effigie del loro capo nem szívesen fogadták, akik e mostrarono la propria avvezetőjük arcképét felfedezversione all’artista e alla sua vén kimutatták ellenszenvüopera. ket a művész és a műve felé. 16. Scanderberg, 1937, disegno per il monumento equestre 26
La sua natura di artista, amante della libertà, portò lo scultore alla totale avversione per ogni forma di oppressione o limitazione dell’individuo e di ogni espressione artistica. La sua schiettezza e intransigenza lo portano nelle file della resistenza italiana e nel 1943, su incarico del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), passa le linee tedesche per compiere azioni di guerra. Dopo un adeguato addestramento, come ufficiale della resistenza italiana, allarga il suo campo di azione con interventi militari in Ungheria e in Jugoslavia, lanciandosi finanche col paracadute. È il suo concreto contributo alla lotta contro il fascismo e il nazismo e, in quanto artista, una significativa risposta ai distruttori del Bauhaus e della cultura contemporanea in Germania. Alla fine del conflitto torna ad immergersi nel suo lavoro, si è liberato definitivamente di ogni influsso rinascimentale, per ritornare agli elementi che avevano costituito il fondamento della sua arte, acquisiti dall’esperienza del Bauhaus. Col passare degli anni, Tot tende ad una rappresentazione esagerata, ipertrofica, delle figure, che culminerà nelle Donne ciottolo e contrassegnerà le opere successive (fig. 18-30). Le Donne ciottolo confermano indirettamente il legame dell’artista con il Rinascimento e implicitamente con il simbolo della fertilità, perché nella forma e nel titolo comunicano un ripiegamento alla “terra” 17. Giuditta, 1938, bronzo che le ha prodotte. Nel loro
Művészi természete, kreativitás és szabadság szeretete folytán Totban ellenszenvet váltott ki mindenfajta elnyomás, vagy a személyiség és a művészi kifejezés korlátozásának bármiféle formája. Őszintesége és rendíthetetlensége az olasz ellenállás soraiba vezették, tisztséget vállal a CLN-ben (Nemzeti Felszabadítási Bizottság), átkel a német frontokon, hogy háborús megbizatást teljesítsen. Megfelelő kiképzés után, mint az olasz ellenállás hivatalos tagja, kiszélesíti akcióterületét, katonai hadműveletekben vesz részt Magyarországon és Jugoszláviában, még ejtőernyővel is leugrik. Ez az ő kézzelfogható hozzájárulása a fasizmus és a nácizmus elleni harcokhoz, és mint művésztől, jelentőségteljes válasz a Bauhaus elpusztítói és a német kortárs kultúra tönkretevőinek. A háborús konfliktus végén ismét belemerül a munkába, végleg megszabadul minden reneszánsz hatástól, hogy visszataláljon azokhoz az elemekhez, amelyek művészetének alapját képezték, és amelyeket a Bauhausnál szerzett tapasztalataiból merített. Az évek múlásával Tot hajlamossá válik az alakokat eltúlzó, túlburjánzó ábrázolásra, amely a Kavicsasszonyban csúcsosodik ki és ettől kezdve megkülönböztető jegye lesz további műveinek (18-30. ábra). A Kavicsasszony közvetetten megerősíti a művész reneszánsszal, és burkoltan a termékenység szimbólumával való kapcsolatát, ezek a művek formájukban és címükben egyfajta meghaj27
18. Donna ciottolo, 1969, bronzo. Bari, collezione privata
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19. Donna ciottolo, 1978, bronzo. Bari, collezione privata
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20. Lunatica, 1969, bronzo. Bari, collezione privata
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ritrarsi stanno quasi a significare l’importanza di essere lást komunikálnak a “föld” felé, amely őket létrehozta. nucleo, forza, come sottraendosi da uno spazio definito Magukba húzódva a magnak, az erőnek a fontosságát per collocarsi in un altro distante e diverso. Il fatto che si fejezik ki, amelyet egy jól körülhatárolt helyről kiszakíttratti di figure femminili non impedisce che esse rappreva, egy másik távoli és eltérő térben helyeznek el. A tény, sentino non se stesse ma un concetto di ritorno nella mahogy női alakokról van szó, nem akadályozza meg, hogy teria originaria. Venturi afferma che, in questo percorrere ezek, ne önmagukat akarják ábrázolni, hanem az eredea ritroso il tempo e le manifestazioni dell’arte, si può inti anyaghoz való visszatérés koncepcióját. Venturi megdividuare una poetica del ritorno alle origini, confermata állapítja, hogy ebben a visszafelé történő utazásban, az dal Saluto al villaggio e Visita in città (fig. 31-33), tutte időben és a művészi megnyílvánulásokban a gyökerekhez opere che dalla forma e dal titolo comunicano un ripiegavaló visszatérés költőiségét lehet felismerni, ezt támasztmento alla “terra” che le ha prodotte.21 ja alá a Falusi üdvözlégy és a Látogatás a városban (31Nel 1946 Tot vince il primo premio a Saint-Vincent 33. ábra), mindkettő formájukból és címükből meghajlást per la scultura, mentre sembra ormai conclusa l’influenza közvetít a “föld” felé, amely őket alkotta.21 1946-ban Tot megnyeri a Saint-Vincent szobrászati esercitata sull’artista dal Rinascimento romano. È tuttadíjat, ezen a ponton már úgy tűnik, lezárul a római revia evidente che essa sia rimasta una componente fondaneszánsz művészre gyakorolt hatása. Mindazonáltal lementale della personalità artistica dello scultore, ormai hetséges, hogy ez mégis megmaradt a szobrász szemédivenuto un vero maestro. Vince il Premio Forte dei Marlyiségének legmélyén, akit akkor már egyhangúan igazi mi per la scultura e dirigerà sino al 1952 una fabbrica di mesternek tartottak. Művészetével megnyeri a Forte dei ceramiche a Vietri sul Mare, in provincia di Salerno.22 Secondo le cronache di quel periodo, lo Scià di Persia, Marmi díjat és 1952-ig egy kerámia gyárat igazgat Vietri in visita a Roma nel 1948, gli commissionò una statua, sul Mare-ban, Salerno tartományban.22 A tudósítások szerint a perzsa sah római látogatása mai realizzata, per un monumento al “Soldato dell’Iran”, során 1948-ban, megbízta egy szobor elkészítéséval, ami da erigersi a Teheran nella piazza dei Ministeri. Lo Scià aveva visitato una mostra di Tot a Ginevra ed era rimasto végül soha nem valósult meg, az “Iráni Katona műemcolpito dalle opere dell’artista, del quale aveva già sentito lékkel, amelyet Teheránban, a Miniszterek terén helyezparlare e di cui ricordava una statua della regina di Attek volna el. A sah korábban látta Tot kiállítását Genfben, lantide apparsa nell’omonimo film del 1932 (fig. 34), inmegérintették a művész alkotásai, akiről már korábban hallott és emlékezett az Atlantide királynő szobrára, terpretata da Brigitte Helm.23 Tot realizzò alcuni disegni amely a hasonló nevű filmben tűnt fel (34. ábra), 1932e un bozzetto: sulla sommità, la statua di un soldato alta 3.50 metri e un baben Brigitte Helm szereplésével.23 Tot samento di 15 metri készített néhány quadrati con bassovázlatot és rajzot: rilievi.Seguì un anno e mezzo di rinvii, di összességében egy scuse e di silenzi 3.50 méteres katonada parte dell’Amszobrot 15 négyzetbasciata iraniana, méteres talapzaton féldomborművekkel. così che l’opera non fu mai realizzata Ezt követte egy, az a causa, probabiliráni nagykövetség részéről halogatásmente, dell’ostilità di una commissione sal, kifogásokkal és di cinque artisti che hallgatással teli év, si recò dall’ora Mimajd végül a mű nistro degli Esteri nem valósult meg, valószínüleg öt műSforza, per invitarlo vész ellenségeskea intervenire e protedése következtében, stare contro la scelta 21. Donne sulla spiaggia, ca. 1970, rilievo su intonaco. Bari, collezione privata akik a Külügymidello Scià.24 31
22. Bagnanti, 1970, disegno. Bari, collezione privata
25. Bagnanti, 1970, litografia
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23. Bagnanti, 1970, disegno. Bari, collezione privata
24. Donne ciottolo, 1970 (?), disegno. Bari, collezione privata
26. Bagnanti, 1970, litografia
La stessa ostilità Tot la riscontrò, l’anno dopo, partecipando al concorso per l’esecuzione del frontone che sormonta la pensilina della stazione Termini a Roma.25 Gli viene assegnata, tuttavia, l’esecuzione dell’opera che lo vedrà impegnato per due anni, fino al 1953, anno dell’inaugurazione. È una delle opere per cui verrà maggiormente ricordato, La Strada ferrata (fig. 35-36). Si tratta del bassorilievo che percorre in tutta la sua lunghezza il fronte della stazione Termini, fortemente allusivo e ricco di fascino.26 Tot, fino a quel momento nomade e pellegrino proveniente da lontano e da paesi diversi, aveva nelle mani un progetto da realizzare che sarebbe rimasto sotto gli occhi di tutti e che ben corrispondeva a ciò che egli si proponeva come finalità dell’opera d’arte: la fruizione pubblica. La Strada ferrata è un groviglio di percorsi che si intersecano frantumandosi in molteplici direzioni
nisztériumnál tiltakoztak a sah választása miatt és közbenjárásukat kérték.24 Ugyanezzel az ellenségességgel találta újból szemben magát Tot a következő évben, amikor a római Termini pályaudvar peronja felé magasodó homlokzat kivitelezésére kiírt pályázaton vett részt.25 Mindenesetre ő kapta meg a megbizatást a mű megvalósítására, amellyel két éven keresztül 1953-ig, a felavatás időpontjáig foglalatoskodott. Megalkotja A vasút (35-36. ábra) című művet, amely egyike gyakran emlegetett műveinek. Erőteljesen szimbólikus és nagy vonzerejű féldomborműről van szó, amely teljes hosszában végigfut a Termini pályaudvaron.26 Tot, egészen addig, mint különböző és távoli országokból jövő nomád zarándok, most egy olyan megvalósítandó tervet készített, amely a nyilvánosság előtt lehetett és amely teljesen megfelel mindannak, amit ő a művészi alkotás rendeltetésének
27. Nudo femminile, 1979, litografia
28. Nudo femminile, 1974, disegno. Bari, collezione privata
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offrendo un concreto significato a sostegno dell’opera: tutti i percorsi diventano possibili spinte verso l’infinito. L’opera, in alluminio, è costituita da grandi lastre segmentate in rilievo, sovrapposte senza soluzione di continuità. La sovrapposizione dei rilievi vuole esprimere il tentativo di un ritorno dall’infinito alla terra.27 È evidente quindi una evoluzione dell’artista verso l’astratto, mentre la figura, per circa un trentennio, resterà espressione di un originario legame realistico con la natura. È interessante la scelta dei materiali nuovi e moderni preferiti ora dall’artista, i quali si differenziano da quelli grezzi delle opere precedenti. Sono ora l’alluminio, il cemento armato, il bronzo. A Roma l’artista fu animato da uno spirito instancabile, sempre pronto ad assecondare le nuove ispirazioni
tartott: a köz hasznának. A Vasút olyan útvonalak kuszasága, amelyek egymást keresztezik és különböző irányú szakaszokra tagolódván a mű támogatására egy konkrét jelentést kínálnak: minden útvonal jelentheti a végtelen felé való lehetséges irányt. A mű nagy alumínium lemezekből áll, amelyek egymást fedő domborulatokra vannak tagolva a folytonosság megoldása nélkül. A lapok egymásra rakása a végtelenből a földre való visszatérés szándékát fejezik ki.27 Nyílvánvaló tehát a művész fejlődése az absztrakt irányába, miközben az alak ábrázolása körülbelül harminc évig a természettel való eredeti realista kötődés kifejezése marad. Érdekes megfigyelni a szobrász által ekkor előszeretettel használatra választott modern és új anyagokat, amelyek már különböznek a korábbi művek durva anyagaitól. Ezek az alumínium, a vasbeton és a bronz.
29. Susanna e i vecchioni, 1955, litografia
30. Nudo femminile, 1979, disegno. Bari, collezione privata
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31. Visita in città, 1948, bronzo, fronte. Bari, collezione privata
32. Visita in città, 1948, bronzo, retro. Bari, collezione privata
33. Visita in città, 1948, bronzo. Bari, collezione privata
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e ad accrescere la sua già vasta produzione artistica. Roma gli si presentava, col suo patrimonio d’arte e di storia, come un grande libro da sfogliare, a cui ricorrere per un costante rinnovamento di sé e dei propri contenuti. La città fu come una seconda patria cui lo scultore si sentì legato come se le sue origini avessero avuto inizio da lì, perché quella era la terra d’origine dei suoi antenati. Naturalmente se non si fosse trattato di un artista come Tot, saldo e fedele ai suoi modi espressivi, il patrimonio artistico che gli si offriva, avrebbe potuto cancellare l’esperienza del Bauhaus. Al contrario, l’identificazione nuova che lo caratterizza non cancella la sua iniziale formazione presso i laboratori di quella scuola. La città che ora ama e considera sua gli si rivelerà ricca di stimoli. Come afferma Vigorelli, il periodo romano determinò una crescita ulteriore della sua espressione artistica: …quel Tot magiaro e di colpo quasi fatto romano avverte appunto nelle viscere, che in quella sua immedesimazione con la terra italiana (pur non placando mai in cuore la sua plumbea desolatezza tzigana che lo addenta e dilania magari di soprassalto, a tradimento), e che in quel ritrovamento e rimescolamento con l’arte italiana, è intervenuta anche una chiamata del sangue: perché, nato da padre di generazione in generazione contadino dell’antica Pannonia, sua madre, Sofia Nasali, è una nipote di un capomastro italiano venuto in Ungheria per la costruzione del castello di Buda.28
È noto che a Roma visse per diversi anni in via Margutta n. 17, sino 36
34. Scena del film Atlantide, 1932
Rómában egy fáradhatatlan, mindig kész szellem életet lehelt a művészbe, hogy az ihleteket kövesse, és a már így is gazdag művészi termését növelje. Róma, összes történelmi és művészeti örökségével úgy mutatkozott előtte, mint valamiféle nagy lapozgatnivaló könyv, amelyhez önmagának és saját tartalmainak folyamatos megújítása miatt újból és újból folyamodik. A város második haza volt számára, amelyhez a szobrász annyira kötődött, mintha a gyökerei ott kezdődtek volna, mivelhogy ősei onnét származtak. Természetesen, ha nem egy olyan művészről lenne szó, mint Tot, aki szilárd és hűséges kifejezési módjaihoz, a művészi örökség, amit a város nyújtott neki, el tudta volna törölni a Bauhausban szerzett fontos tapasztalatait. De éppen ellenkezőleg, benne az új azonosulás, amely őt jellemezte, nem törli el annak az iskolának a műtemeiben szerzett kezdeti képzését. A város, amelyet akkor szeret és a magáénak tart, megmutatja neki ösztönző arcát. Ahogyan Vigorelli írja, a római időszak meghatározza a művészi kifejezésmódjának későbbi fejlődését: …a magyar, és hirtelen római vált Tot érzi legbelül az olasz hazával való azonosulását (még ha nem is tudta soha lecsendesíteni nyomasztó cigányos elhagyatottságát, amely esetenként váratlanul mardossa és marcangolja), magára találását és az olasz művészettel való keveredését, amelybe közbeszólt a vér szava is: apai ágon pannóniai, generációkon át földműves családból származik, édesanyja, Sofia Nasali, egy olasz kőművesmester unokája, aki a Budavári Palota építésekor jött Magyarországra.28
35. La strada ferrata, 1953, alluminio. Roma, frontone della Stazione Termini
36. La strada ferrata, particolare
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al 1960.29 A quei tempi la strada degli artisti appariva più appartata che oggi, poco animata e molto silenziosa. Lì incontrava spesso il regista Fellini, suo vicino di casa, con cui si fermava volentieri a parlare. Furono le osterie i luoghi di incontro e di scambio culturale per artisti e letterati che intorno ai tavoli, riuniti da interessi comuni, discutevano di arte, letteratura, po-
Közismert, hogy Rómában pár évig, 1960-ig a Margutta utca 17. szám alatt lakott.29 Abban az időben a művészek utcája jobban elszigeteltnek tűnt, néptelenebb és nagyon csendes volt. Itt gyakran találkozott a rendező Fellinivel, szomszédjával, akivel szívesen megállt beszélgetni. A fogadók voltak azok a találkozóhelyek, ahol az asztalok körül irodalmárok és művészek cseréltek
37. Amerigo Tot, Dalì, Eva Fischer, ca.1950
38. Amerigo Tot e Carlo Levi, ca.1950
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39. Sasso della ricostruzione, 1951, pietra
litica, affari. Anche lo studio di Tot divenne presto un centro di cultura internazionale, luogo di incontri tra i più noti della città, dove i pomeriggi del sabato, artisti e esponenti del mondo cosmopolita romano, sorseggiando il tradizionale “vin brûlé”, discutevano animatamente di arte. Era un ambiente stimolante che favorì l’inserimento di Tot nell’ambiente culturale ed artistico della capitale e lo portò a collaborare con numerosi artisti locali. Furono vivaci le serate trascorse in compagnia dei personaggi più in vista della cultura del tempo come Lionello Venturi, Carlo Levi, Giuseppe Ungaretti, Jean-Paul Sartre, Alexander Calder e tanti altri (fig. 37-38).
eszmét, akiket a hasonló érdeklődési kör gyűjtött össze, üzletről, politikáról, irodalomról és művészetről beszélgettek. Tot műterme is hamarosan nemzetközi kulturális központtá vált, egyike azoknak a legismertebb helyeknek a városban, ahol szombat délutánonként művészek és a római kozmopolita eszmék képviselői hagyományosan forralt bort kortyolgatva lelkesen művészetről vitatkoztak. Ösztönző környezet volt, amely elősegítette Tot beilleszekedését a főváros művészi és kulturális közegébe és számos helyi művésszel való közreműködéshez segítette hozzá. Élénk estéket töltött az akkori idők közismertebb kulturális személyiségeinek társaságában, mint Lionello Venturi, Carlo Levi, Giuseppe Ungaretti, Jean-Paul
40. Balcone-scultura, 1953, bronzo. Acqui Terme, Borgo Monterosso, Villa Ottolenghi
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Nel 1951 Tot è classificato primo al Premio per la Scultura alla “Mostra della Ricostruzione” con l’opera Il sasso della ricostruzione (fig. 39) ed è anche presente alla XXIV, alla XXVIII e alla XXI Biennale di Venezia. Da questo momento si susseguono per l’artista diverse commissioni di privati: nel 1953 riceve dal conte Astolfo Ottolenghi l’incarico di progettare per la loro tenuta un affaccio scenografico, un balcone-scultura (fig. 40), di grande effetto sulla valle di Acqui Terme;30 a Bari, nel 1956, per la Cassa di Risparmio di Puglia esegue il grande bassorilievo Il Tavoliere (fig. 127-154) e per il Monte dei Paschi di Siena realizza una parete di piani sovrapposti in cemento armato (fig. 41).
Sartre, Alexander Calder és még sokan mások (37-38. ábra). 1951-ben Tot megkapja a fődíjat a szobrászatáért az “Újjáépítés Kiállítása” alkalmával Az újjáépítés köve (39.ábra) című művéért, részt vesz a 24., 28. és a 31. Velencei Biennálén. Ettől kezdve egymást követik a magán megrendelések: 1953-ban Astolfo Ottolenghi gróftól kap megbizatást, hogy tervezzen az Acqui Terme völgyre néző birtokára rendkívül hatásos, díszletszerű homlokzatot, egy szoborszerű erkélyt, (40. ábra);30 Báriban, 1956-ban a Pugliai Takarékpénztár épületére egy nagy féldomborművet Az Il Tavoliere (127-154. ábra), a Siena-i Monte dei Paschi
41. Rilievo, 1966, cemento armato. Bari, Agenzia Centrale Banca Monte dei Paschi di Siena
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42. Ratto d’Europa, 1954, bronzo. Bari, collezione privata
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L’esperienza realistica si pone a fondamento necessario per comprendere l’evoluzione fino all’astrattismo dell’arte di Amerigo Tot. Infatti, dagli anni del dopoguerra, il percorso artistico dello scultore conferma un desiderio di astrazione verso il simbolo che, senza esclusione della figura, la trasformerà in forme non antropomorfiche, ma tuttavia essenziali e reali (fig. 42). In Italia gli si offre una possibilità, quella di unificare tutte le esperienze artistiche che avevano segnato il territorio italiano fin dall’antichità e che finalmente gli appartenevano. Arcaicità e modernità si fondono e finalmente contraddistinguono costantemente l’opera dell’artista. Tot evita infatti di essere sopraffatto dalle forme clas-
Bank részére pedig egymásra rétegelt lapokból álló falat készít vasbetonból (41. ábra). A realisztikus tapasztalat a kiindulási pont, hogy megérthessük Amerigo Tot művészetének átalakulását az absztrakt irányába. Már a háború utáni évektől a szobrász művészi pályája a szimbólumok felé tartó absztraktra való vágyát tükrözi, amely anélkül, hogy kizárná az alakokat, nem emberivé alakítja át azokat, de lényegretörővé és reálissá. (42. ábra) Itáliában lehetőség nyílik számára azoknak a művészeti tapasztalatoknak az összegyűjtésére, amelyek már az antik korszaktól jellemezték az olasz térséget, és amelyek végre hozzá is tartoztak. Ősiség és modernizmus végre stabilan jellemzik a művész
43. Senza titolo, 1960, litografia
44. Senza titolo, 1960, litografia
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45.Senza titolo, 1960, litografia
siche e classicistiche, restando vicino all’astrattismo (fig. 43-48), come difesa della propria personalità, restando lontano dalla forma e da qualsiasi tecnica che ne limitassero l’espressione artistica. Tuttavia il rifiuto del bello e il ricorso alle sproporzioni e alla serialità non ne escludono la presenza che si afferma in una maniera tutta particolare, veramente unica. Questa arte nasce da una tecnica che sa di primitivo e che si distingue da quelle correnti. Per questo è possibile rinvenire anche in L’orecchio della terra, L’occhio della terra, S.M. il Kilowatt e nelle Proteste (fig. 49-52), un’intrinseca bellezza che conferma la visione profonda delle cose, al di là dell’inganno a cui può portare invece una visione su-
alkotásait. Tot próbálja elkerülni, hogy a klasszicista és klasszikus formák uralkodjanak rajta, közel marad az absztrakthoz (43-48. ábra), mintegy a saját személyiségének védelmére igyekszik távol maradni minden olyan formától, vagy bármilyen technikától, amelyek művészi kifejezésmódjában őt korlátoznák. Mindazonáltal a szépség visszutasítása és az aránytalanhoz és a sorozatossághoz való folyamodása nem zárják ki annak jelenlétét sem, amely igazán egyedülálló és elég sajátos módon jelentkezik. Tot művészete abból a primitív jellegű technikából születik, amely az aktuálissal szemben őt megkülönbözteti. Ezért lehet rátalálni a Tiltakozásokban, A föld füle, A föld szeme, Őfelsége a Kilowatt (49-52. ábra), című
47. Senza titolo, 1971, litografia
46. Senza titolo, 1960, litografia
48. Senza titolo, 1975, litografia
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perficiale. Le Proteste vogliono denunciare il rapporto negativo tra l’uomo e la macchina, che ormai fagocita l’elemento umano. È il mondo meccanico che schiaccia la dimensione dell’uomo, privandolo della sua creatività. La “protesta” prenderà corpo anche in altre opere come Macchina inutile del 1962 e Omaggio a Komarov (fig. 53-54), tutte accomunate, nella loro tensione astratta, da un forte senso di drammaticità. Ma l’interesse dell’artista non si ferma agli eventi di cui è testimone, per percorrere a ritroso il tempo e rivivere il desiderio di libertà delle popolazioni oppresse. Animato da questo spirito, vince il concorso per l’esecuzione del monumento ai Fratelli Bandiera. L’opera, nota con il
műveiben arra a tényleges szépségre, amely a dolgok mély látásmódját tükrözi, a megtévesztő, csak felületes szemlélődést megengedőn túlra is. A Tiltakozások a gép és az ember közötti negatív kapcsolatot akarja hangsúlyozni, amely készen áll az emberi elemet beolvasztani. A gépi világét, amely agyonnyomja az emberi léptéket és megfosztja kreativitásától. A “Tiltakozás” testet ölt egyéb műveiben is, mint a Haszontalan gép 1962-ből és a Komarov emlékére (53-54. ábra), mindet az erős drámaiság érzése egyesíti, összeköti absztrakt feszültségükben. A művész érdeklődése nem áll meg azoknál az eseményeknél, amelyeknek szemtanúja volt, hanem visszafelé megy az időben, és újraéli az elnyomott népek szabad-
49. L’orecchio della terra, 1962, bronzo
50. L’occhio della terra, 1969, bronzo e ferro
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51. S.M. il Kilowatt, 1962, bronzo. Tihany
52. Le Proteste – Il difensore della razza, 1960-62, bronzo
53. La macchina inutile, 1962, bronzo
54. Omaggio a Komarov, 1969, bronzo. Pécs
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55. Catena spezzata, 1972, acciaio. Cosenza, Vallone di Rovito
nome di Catena spezzata, è posta sulla collina sovrastante ságvágyát. Ezzel a szellemmel megtestesülve, megnyeri il sacrario del Vallone di Rovito, alla periferia di Cosenza. a Bandiera Fivérek emlékművének megvalósítására kiUna grande catena spezzata, in ferro, posta su un alto baírt pályázatot. A mű, ismertebb nevén az Elszakadt lánc, samento, rappresenta Cosenza külterületén, la mancata unione tra a Vallone di Rovito nord e sud Italia, dopo szentélye feletti domil fallimento della bon lett elhelyezve. spedizione dei FratelEgy nagy elszakított li Bandiera. Il monuvaslánc magas talapmento verrà realizzazatra állítva, amely az to solo nel 1972, dieci Észak- és Dél-Olaszanni dopo il concorso ország közötti egység (fig. 55). hiányát jelképezi, a Per il Palazzo delBandiera fivérek exlo Sport, all’EUR, pedíciójának kudarca Tot crea nel 1960 un után. Az emlékművet grande bassorilievo csak 1972-ben, tíz in ceramica, comévvel a pályázat után posto di centosette valósították meg (55. pezzi, che può essere ábra). 56. I muscoli geometrici, 1960, ceramica. Roma, EUR, Palazzo dello Sport 46
considerato la più grande scultura in ceramica realizzata in Europa (fig. 56). Per celebrare i Giochi Olimpici, su commissione del Comitato Olimpico, realizza alcune litografie dedicate alle varie discipline sportive (fig. 57-60); all’esterno del Palazzetto dello Sport, sempre a Roma, a coronare l’opera degli architetti Vitellozzi e Nervi, la Meteora del ’54 (fig. 61) in cui si colgono i due aspetti dell’infinito già presenti nella Strada ferrata: l’infinito interno e al tempo stesso esterno alla materia, espresso nelle molteplicità delle lastre degradanti e multidirezionali del fregio. Questa visione globale dell’infinito è confermata anche dal Nodo Gordiano del ’54 (fig. 62). L’essenza stessa della struttura prismatica della materia si rivela qui nella formazione cristallina e anche nella tendenza ad esprimere il riflusso verso la terra con uno slancio opposto alla tensione verso l’infinito. Riemergono le esperienze legate al Bauhaus che lo condurranno all’astratto, volto a rappresentare più contenuti che concetti. L’astrattismo di Tot, infatti, non è il comune astrattismo di gran parte del Novecento, ma uno scavo continuo alla ricerca delle linee essenziali della materia, che in lui si fanno dominanti. Ormai molto noto anche all’estero, lo scultore è in Inghilterra e a Parigi nel ’63, dove è invitato dalla rivista francese “Aujourd’hui” ad esporre le sue opere alla galleria “Creuze” insieme ad artisti come Henry Moore, André Bloc, Alicia Penalba e César, nella mostra Actualité de la Sculpture. Ancora figure femminili ipertrofiche, nei primi anni ’60, ad illustrare Sonetti Lussuriosi e I capricciosi ragionamenti del poeta rinascimentale Pietro Aretino (fig. 63-
Az EUR-ban lévő Sport Palotának 1960-ban egy nagy, százhét daraból álló kerámia féldomborművet tervez, amelyet Európában a legnagyobb kerámiából készült szobornak tarthatunk (56. ábra). Az Olimpiai Bizottság számára az Olimpiai Játékok dicsőítésére készít pár rajzot, amelyek különböző sportágakat ábrázolnak. (57-60. ábra). A Sportpalota belsejében Vitellozzi és Nervi építészek művének megkoronázását jelenti ’54-ből a Meteora (61. ábra), amelyben megragadható a Vasútban már jelenlévő végtelen két nézőpontja: a belső végtelen, amely ugyanakkor külső is, a lecsupaszított lapok sokszorosságában és a záródísz sokirányúságában kifejezve. A végtelennek ezt a fajta globális látásmódját igazolja a Gordiuszi csomó ’54-ből (62. ábra) is. Az anyag hasábszerű szerkezetének lényege kristályos képződményben mutatkozik meg és a föld felé való kanyarodás kifejezésében is, a végtelen feszültsége felé irányuló ellentétes lendülettel. Felszínre kerülnek a Bauhaushoz kötődő tapasztalatok, amelyek az absztrakthoz vezetik, hajlamosabb inkább tartalmakat ábrázolni, mint elveket. Tot elvonatkoztatottsága, valóban nem a huszadik század nagy részének általános absztraktizmusa, hanem egy folyamatos kutatás, az anyag lényeges vonalainak a keresésére, amely abban meghatározó lesz. Immár nagyon híres külföldön is, a szobrász ’63ban Angliában és Párizsban található, ahová a francia “Aujourd’hui” magazin hívta meg, hogy kiállítsa műveit a “Creuze” Galériában együtt olyan művészekkel, mint Henry Moore, André Bloc, Alicia Penalba e César, az Actualité de la Sculpture címet viselő kiállításon. Még mindig túlburjánzó női alakokkal illusztrálja a ’60-as évek elején a Parázna Szonettek, Pietro Aretino
57. Il karate,1974, litografia
58. La box,1974, litografia
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66). Del ’61, sono le balaustre in bronzo per lo scalone reneszánsz költő Szeszélyes gondolatmenetek c. művét centrale e i pannelli in rame che rivestivano le pareti della (63-66. ábra). ’61-ben készültek a „Raffaello” luxus óce31 lussuosa nave oceanica “Raffaello” (fig. 67-72). ánjáró falait díszítő bronz panelek és a központi lépcsőLa fama dell’artista è ormai consolidata, come confersor korlátjai. (67-72. ábra).31 mano i suoi viaggi di studio negli Stati Uniti, in Giappone A művésznek immár megszilárdult hírneve volt, amint e in India, fino al richiamo azt az Egyesült Államokba, nella sua terra d’origine. Su Japánba és Indiába tett tainvito del governo ungherenulmányi útjai is igazolják, se, espone cento sculture e míg végül szülőföldje hívta. cinquanta disegni al Museo A magyar kormány meghíMűcsarnok di Budapest. vására száz szobrot és ötven È la prima mostra in terra rajzot állít ki a budapesmagiara di Amerigo Tot. Il ti Műcsarnokban. Ez volt successo è enorme, i visitaAmerigo Tot első kiállítása tori affluiscono da ogni parMagyarországon. A siker te dell’Ungheria e in partióriási volt, a látogatók az colare dal suo paese natale, ország minden részéből Csurgo (Fehérvárcsurgó). jöttek, legfőképpen szülőváPer la chiesa cattolica del rosából, Csurgóról, (Fehérsuo paese crea una statua várcsurgóról). A katolikus della Madonna nello stile egyház számára városának tradizionale, intensa nella elkészít egy Madonna szobrappresentazione del distacrot, hagyományos stílusco del Bambino, già presenban, erőteljes utalással a tito dalla madre (fig. 73). Gyermek anyjától való elIntanto, nel 1970, ricoszakadására (73. ábra). pre la Cattedra di Scultura Közben 1970-ben a presso l’Accademia di BelBari Szépművészeti Akadéle Arti di Bari, incarico che mia Szobrász tanszékének terrà per circa dieci anni. vezetőjévé nevezik ki, ezt In occasione dell’Anno a tisztséget körülbelül 10 Santo, nel 1975, il Vaticano éven át látja el. gli commissiona il martello Az 1975-ös Szentévben 59. La lotta,1974, litografia per l’apertura della “Porta a Vatikán rábízza a „Szent Santa”, la cazzuola per la Kapu” megnyitása alkalchiusura, su cui è impresmából a kalapács, bezása l’impronta della mano rása alkalmából pedig a del Pontefice, il calice e la vakolókanál művek elképatena per la messa di mezszítését, amelybe belevéste zanotte (fig. 74-77) e ana Pápa kézlenyomatát is, a che una serie di medaglie kelyhet és az ostyatartó tácommemorative, compresa lat az éjféli misére (74-77. quella ufficiale per il XII ábra) és egy sor emlékéranniversario del pontificato met, közöttük azt is, amedi Paolo VI con l’immagilyet VI. Pál pápává avane del Pontefice. Nel verso tásának XII. évfordulójára della medaglia il Martello hivatalosan bocsátottak ki, reso con rilevante effetto (78-80. ábra), amelynek plastico (fig. 79-80). Marhátoldalán kiemelkedő60. La Pallanuoto, 1979, litografia. 48
tello, Patena e Cazzuola sono attualmente custoditi presso il tesoro d’arte della Santa Sede.32 L’artista preferì sempre lavorare per opere monumentali: nel 1976 si dedica ad una imponente scultura, realizzata ad Anzio, modificando e modellando un bunker tedesco, rimasto ancora sul luogo dopo il conflitto. Si tratta di un guerriero arcaico, in ricordo degli avvenimenti che ad Anzio avevano causato morte e distruzione tra la popolazione (fig. 84). Tot sentì forte la necessità che l’opera d’arte, nel caso specifico la scultura, fosse destinata al pubblico. Predilesse gli spazi aperti perché solo così, solo all’esterno, l’opera d’arte avrebbe potuto realizzare quel contatto col pubblico che le avrebbe garantito di continuare la sua reale funzione nel tempo, quella di una fruizione senza soluzione di continuità. Questa esigenza era maturata seguendo la lezione dei maestri del Bauhaus, tra cui l’ungherese László Moholy-Nagy. Lo scultore ri-
en térhatásúvá tett pünkösdöt ábrázol. A Kalapácsot, a Vakolókanalat és a Tálat jelenleg a Szentszék művészeti kincstárában őrzik.32 A művész mindig nagyon szeretett monumentális alkotásokon dolgozni: 1976-ban egy impozáns szobrot készít Anzióban, a háborús konfliktus után ottmaradt német bunkert megformázva és átalakítva. Egy régi harcost ábrázol, emlékül azoknak az eseményeknek, amelyek Anzióban az emberek pusztulását és halálát okozták (84. ábra). Tot erős szükségét érezte annak, hogy egy művészi alkotás - ebben a konkrét esetben egy szobor - a közönséghez szóljon. Jobban szerette a nyitott tereket, mert csak így, kívülről tudja megvalósítani a művészi alkotás a közönséggel való olyan kapcsolatát, amely garantálni tudja, hogy az idő múlásával is folytatja valós funkcióját, az élvezeti funkciót az állandóság megoldása nélkül. Ez a fajta igény a Bauhaus mestereinek, többek között a magyar Moholy-Nagy Lász-
61. Meteora, 1954, cemento armato. Roma, esterno del Palazzetto dello Sport
62. Nodo gordiano, 1954, bronzo
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63-66. Illustrazioni per le poesie dell’Aretino, 1964, incisioni
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67-69. Realizzazione dei pannelli per la turbonave “Raffaello”
70. Tot e un pannello per la turbonave “Raffaello”
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71. Balaustra dello scalone centrale e pannelli murali della turbonave “Raffaello”
72. Pannello murale della turbonave “Raffaello”, 1964, lastra di rame incisa. Bari, collezione privata
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73. La Madonna di Csurgó, 1969, bronzo. Città del Vaticano, Collezione d’Arte contemporanea
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74. Martello e Cazzuola,1975, bronzo. Bari, collezione privata
75. Particolare del Martello
76. Particolare della Cazzuola
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77. Patena, particolare, 1975, bronzo. Bari, collezione privata
78. Pietro e Paolo, 1974, bronzo. Bari, collezione privata
79. Ritratto di Paolo VI, 1975, bronzo, recto. Bari, collezione privata
80. Ritratto di Paolo VI, 1975, bronzo, verso. Bari, collezione privata
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81. Pentecoste, 1975, dalla cartella di 7 tavole Anno Santo, litografia. Città del Vaticano, Collezione d’Arte contemporanea
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conobbe infatti la funzione sociale dell’opera d’arte e per questo la considerò destinata non a una fruizione privata, ma pubblica, per una fruibilità più ampia, possibile solo negli spazi aperti, offrendosi alla vista di tutti. A tal proposito Vigorelli sottolinea che: La vera pittura ha sempre cercato i muri, la scultura vera i cieli aperti. Tot, come un antico, vede in grande, opera di
82. L’Ultima Cena, 1976 (?), bronzo. Bari, collezione privata
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ló óráit látogatva érlelődött meg benne. A szobrász felismerte a műalkotás szociális funkcióját, úgy tartotta, hogy rendeltetése nem az egyéni élvezet, hanem a közönségé, a tágabban vett élvezhetőség, amely csak nyitott területeken lehetséges, mindenki számára jól láthatóan. Ezzel kapcsolatban Vigorelli hangsúlyozza, hogy: Az igazi festmény mindig falakat keresett, az igazi szob-
83. L’Ultima Cena, 1946, bronzo. Bari, collezione privata
preferenza in grande. Si massacra in un cantiere, e raramente, o perché costretto, sceglierebbe di lavorare al crespolo, al tavolino: o, se vi lavora, è in sede di progettazione, sognando sul bozzetto di portare presto fuori al sole l’opera monumentale, non di piegarsi e di chiudersi su una statuetta, anche se ne ha fatte, di belle, da tenersi in casa.33
Numerose sono infatti le sculture pubbliche di Tot eseguite sia in Italia che all’estero tra cui: il Salone della Vittoria del Ministero degli Esteri di Roma, decorato con un soffitto ligneo cassettonato (fig. 85-88) e rivestito in stucco dorato che nel motivo a sagome sovrapposte si avvicina molto al fregio disegnato dall’artista per la Stazione Termini di Roma; ancora a Roma il rilievo in bron-
rászat pedig nyitott eget. Tot, mint egy régimódi, nagyban lát, jobban szeret nagy műveket alkotni. Építkezéseken teszi magát tönkre, és csak ritkán, amikor rákényszerül, választaná, hogy állványon vagy asztalnál dolgozzon: vagy ha azon dolgozik, akkor azért, mert éppen tervezési fázisban van, és a vázlatok fölött arról álmodozik, hogy minél hamarabb kivigye az ég alá a monumentális művet és ne zárja be összehajtva egy szobrocskába, mégha készített is ilyenekből sok szépet, lakásban tarthatóakat.33
Valóban számos nyilvános alkotását megtaláljuk Totnak mind Itáliában, mind külföldön készülteket, ezek között: Rómában a Külügyminisztérium aranyozott stukkóval bevont, kazettás famennyezettel díszített (85-88. ábra)
84. Guerriero come difensore della pace, 1976, acciaio. Anzio.
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85. Ministero degli Esteri di Roma, Sala della Vittoria
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86. Soffitto, 1958, legno dorato. Roma, Ministero degli Esteri, Sala della Vittoria
87. Soffitto, 1958, legno dorato. Roma, Ministero degli Esteri, Sala della Vittoria
88. Soffitto, particolare
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89. Rilievo, 1959, bronzo. Roma, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali
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90. Il tagliaboschi
91. La famiglia del tagliaboschi
92. La mietitura
93. L’agricoltura
90-97. Particolari del Rilievo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di Roma, 1955, bronzo
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94. L’anziano taglialegna
95. I lavoratori del bosco
96. L’intagliatore
97. Le ninfe del bosco
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98. Le ninfe del bosco, 1955, bozzetto di una formella del Rilievo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di Roma, gesso dorato. Bari, collezione privata
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99. Lo studio di Tot con i rilievi del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di Roma
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100. Fari, pistoni e semafori, 1959, cemento armato. Roma, Palazzo della Direzione Generale dell’Automobile Club
101. Fari, pistoni e semafori, particolare della cassaforma, 1959, legno
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102-104. Fasi della realizzazione del Monumento al Generale Khatami
105. Tot e il Monumento al Generale Khatami
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106. Tot, il Generale Mirhosseini, la consorte Tatiana e il Monumento al Generale Khatami, 1976, bronzo. Teheran
zo al Ministero dell’Agricoltura (fig. 89-99); il rilievo in cemento Fari, pistoni e semafori nella sede dell’Automobile Club d’Italia (fig. 100-101); il monumento a Khatami a Teheran in Iran (fig. 102-106); Il Kilowatt a Tihany in Ungheria (fig. 51); il Mostro Locomotivo a Bruxelles; il progetto della fontana per l’ospedale di Filadelfia; il mausoleo della corte imperiale dell’Iran. Sono opere che conservano la statura morale, sociale e civile di un artista che con la sua arte segna una unione tra la sua opera e il pubblico al quale essa è destinata. Continuando a preferire le opere monumentali, si dedicò anche a lavori commissionati da privati, soprattutto
Győzelmi Szalonja, amely körvonalas átfedő mintájában közel jár a művész által a római Termini pályaudvar épületéhez tervezett frízhez. Szintén Rómában a Mezőgazdasági Minisztériumban található bronz dombormű (89-99. ábra); az Olasz Autóklub székhelyére készített beton dombormű, a Fényszórók, hengerek, szemaforok (100-101. ábra); a Khatami műemlék az iráni Teheránban (102-106. ábra); A Kilowatt című alkotás Magyarországon Tihanyban. (51. ábra); a Szörny Lokomotív Brüsszelben; a philadelphiai kórház szökőkútjának terve; az iráni birodalmi udvar mauzóleuma. Ezek a művek a művész erkölcsi, társadalmi és civil tartását mutatják,
107. Tot e Al Pacino, 1974
108. Scena del film Il Padrino – Parte II di Francis Ford Coppola, 1974
109, 110. Scene del film La moglie più bella di Damiano Damiani
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americani e svizzeri. In America, dove spesso trascorreva le sue vacanze, conobbe l’attore Robert De Niro. La sua figura forte, di lottatore, interessò i cineasti e diverse furono le sue comparse in alcuni film girati a Cinecittà: Cuore di cane, del regista Alberto Lattuada, del 1976, tratto dal romanzo omonimo di Michail Bulgakov, in cui Tot interpretò il portiere. Nota è la sua partecipazione come guardia del corpo al film Il Padrino (parte II) di Francis Ford Coppola del 1974, prodotto negli Stati Uniti, in cui Tot interpretò il ruolo di un killer silenzioso e intenso. L’artista compare anche tra gli interpreti del film La moglie più bella del regista Damiano Damiani, in cui figurano accanto a lui attori come Ornella Muti, Alessio Orano, Rino Sentieri e altri (fig. 107-110).34 Il suo impegno nell’arte cui si era dedicato per tutta la vita continuò intensamente finché la morte lo colse improvvisa a Roma. Era il 13 dicembre del 1984. Amerigo Tot riposa ora nella sua terra d’Ungheria.
aki művészetével az egységet képviseli saját műve és a közönség között, amelynek azt szánta. Bár továbbra is a monumentális alkotásokat részesíti előnyben, magánszemélyektől jövő megbízásokon is dolgozik, leginkább amerikai és svájci megrendelőktől. Amerikában, ahol gyakran töltötte szabadságát, megismerkedett a színész Robert De Niróval. Erőteljes, harcos természetű alakja felkeltette a filmesek érdeklődését, és különböző, a Cinecittàban forgatott filmekben szerepelt: Alberto Lattuada által rendezett Michail Bulgakov azonos nevű regényéből készült Kutyaszívben, amelyet 1976-ban forgattak, portást alakított. Francis Ford Coppola 1974-ben az Egyesült Államokban készült A Keresztapa (II.rész) című filmben ismert alakítása a testőr szerepében, ahol hallgatag és erős gyilkost alakít. A művész feltűnik Damiano Damiani rendező a Legszebb feleség című film szereplői között is, olyan színészek mellett, mint Ornella Muti, Alessio Orano, Rino Sentieri és mások (107-110. ábra).34 Élete végéig folytatta elkötelezett művészeti tevékenységét, váratlanul érte a halál Rómában 1984. december 13-án. Jelenleg Amerigo Tot földi maradványai szülőföldjén, Magyarországon pihennek.
111. Imre Varga, targa commemorativa ad Amerigo Tot, 1985. Budapest, Koller Gallery
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Tra le opere pugliesi: Il Tavoliere Il primo contatto di Tot con la Puglia avvenne durante la guerra. Sulla via vecchia di Carbonara, a Bari, c’era una villa adibita a centro di smistamento del CLN, di cui l’artista era entrato a far parte. Dopo il conflitto ritornò in città per motivi di lavoro: un’opera da realizzare con la tecnica del graffito, di cui si sono perse le tracce, per l’ex padiglione del Banco di Napoli, presso la Fiera del Levante. Con la stessa tecnica eseguì, a decorazione della sala d’ingresso dell’abitazione di un amico barese, L’ospitalità, con fanciulle che offrono frutta, pane e verdura fino alla lavanda dei piedi, chiaro richiamo evangelico (fig. 112-115). Per la cappella della stessa famiglia realizzò una croce (fig. 116-118) in bronzo con momenti della vita di Gesù tra i più salienti dei Vangeli: Nascita, Gesù tra i Dottori, Battesimo, Calvario, Resurrezione e anche Adamo ed Eva e la Cacciata dal Paradiso. Ritroviamo la stessa iconografia nei bassorilievi che l’artista donò nel 1973 e nel 1977 al Vaticano (fig. 119-121). Sempre a Bari, nel pressi del parco di Largo Due Giu-
A Pugliai művekből: Il Tavoliere Tot első találkozása Pugliával a háború alatt történt. Báriban a régi Szénégető úton volt egy villa, ahol a CLN elosztóközpontja volt, amelybe ő is belépett. A háborús konfliktus után egy munka miatt tért vissza a városba: a levantei Vásárközpontban a nápolyi Bank régi Pavilonjának graffitto technikával készült megvalósítása miatt, amelynek már nincsenek meg a nyomai. Ugyanezzel a technikával kivitelezte egy Bari-i barátja háza szalonjának dekorációját, a Vendégszeretetet, lánykákkal, akik gyümölcsöt, kenyeret és zöldséget kínálnak egészen a lábmosásig, amely egy világos utalás az evangéliumra (112-115. ábra). Ugyanennek a családnak a kápolnájába készített feszületet is (116-118. ábra) bronzból, amelyen Jézus életének a Szentírás által említett legjelentősebb pillanatait örökíti meg: Születés, Jézus a Doktorok között, Keresztelés, Kálvária, Golgota, Feltámadás, Ádám és Éva és Kiűzetés a Paradicsomból. Ugyanazt az ikonográfiát találjuk azokon a domborműveken, amelyeket a művész 1973-ban és 1977ben a Vatikánnak adományozott (119-121. ábra).
112. L’ospitalità, 1955, graffito su intonaco. Bari, collezione privata
113-115. L’ospitalità, particolari
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gno, in un condominio di viale della Resistenza, è collocata, subito dopo l’ingresso, vicino alla portineria, un’opera in acciaio, intitolata La chiglia apula (fig. 122-124), portata da una fonderia romana a Bari, nel 1974, mentre una società di Napoli era impegnata nella costruzione del complesso residenziale cui era destinata.35 Un altro importante lavoro è a Brindisi, realizzato poco prima della morte; si tratta di un bassorilievo destinato al teatro comunale Verdi, progettato dall’architetto Enrico Nespega. È una costruzione moderna con struttura in acciaio, rivestita con lamiere a doghe verticali. Il bassorilievo monocromo, composto da una successione di piani sovrapposti, è inserito nella facciata, e precisamente nella parte sovrastante l’ingresso. Il pannello, Maschere (fig. 125), è realizzato con un impasto cementizio vinato e si presenta con un andamento geometrico modulare. Si rileva il rapporto inscindibile tra l’architettura e
116. Croce, ca.1970, bronzo. Cles, cimitero
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Szintén Báriban, a Largo Due Giugnohoz közeli parkban, az egyik Ellenállás úton taláható társasházban, rögtön a bejárati rész után a portásfülkéhez közel van elhelyezve egy acélból készült műve, A pugliai hajógerinc (122-124. ábra) amelyet 1974-ben egy római öntödéből szállítottak Báriba, miközben egy Nápolyi cég foglalkozott annak a komplexumnak az építésével, ahová szánták.35 Egy másik fontos munkája Brindisiben volt, kevéssel a halála előtt kivitelezte; az Enrico Nespega építész által tervezett Verdi városi színház számára készített domborműről van szó. Ez egy acélból készült modern szerkezet, függőleges lécekből álló lemezekkel borítva. Az egyszínű dombormű egymást átfedő rétegekből áll, és a homlokzatra van illesztve, pontosabban a bejárat feletti részre. A Maskarák (125. ábra), című tábla cementizio vinato elegyéből készült, geometriai elemek jellemzik. Hangsú-
117. La nascita, datazione incerta, calchi in gesso per la croce di Cles. Bari, collezione privata
118. Calvario, datazione incerta, calchi in gesso per la croce di Cles. Bari, collezione privata
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119. Battesimo, 1938, bronzo. Città del Vaticano, Collezione d’Arte contemporanea
120. Calvario, 1959, bronzo. Città del Vaticano, Collezione d’Arte contemporanea
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il rilievo in cui dominano il senso del ritmo e il controllo tecnico della forma. Nella donazione della famiglia Gramiccia-Giannini, al museo MUSMA di Matera, tra le opere è presente anche una litografia di Tot del 1960, Protesta in grigio (fig. 126).36 L’opera che maggiormente testimonia la presenza e l’amore per la Puglia dell’artista, ed in particolare per città di Bari, è il bassorilievo in cotto Il Tavoliere con le dieci formelle in bronzo dedicate alle città pugliesi (fig. 127-148).37 L’opera gli venne commissionata dalla Cassa di Risparmio di Puglia nei primi anni ’50.38 La rapida affermazione della banca portò, pochi anni dopo la fondazione, su progetto del celebre architetto Saverio Dioguardi, alla realizzazione di una nuova e prestigiosa sede
lyozza az építészet és a dombormű elválaszthatatlan kapcsolatát, amelyben a forma technikai vezérlése és ritmusérzéke dominálnak. A Gramiccia-Giannini család által a Materában található MUSMA múzeumnak adományozott művei között van egy Tot litográfia is, 1960-ból, a Tiltakozás szürkében (126. ábra).36 A mű, amely leginkább tanúsítja Puglia, és különösképpen Bari városa iránt érzett szeretét, az a tíz pugliai várost ábrázoló lemezből álló terrakotta dombormű, Il Tavoliere (127-148. ábra).37 A mű elkészítésére a Puglia Takarékpénztár adott megbízást az ’50-es évek elején.38 A bank gyors sikere hozta magával kevéssel a megalapítása után egy új, tekintélyes székhely felépítését a Calefati utcában, a híres építész, Saverio Dioguardi tervei alapján,
121. San Paolo nel Sinedrio, 1977, bronzo. Città del Vaticano, Collezione d’Arte contemporanea
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122. La Chiglia Apula, 1974, acciaio. Bari, complesso residenziale di Viale delle Resistenza
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in via Calefati, sede che tuttora ospita l’Agenzia Centrale di Bari di Banca Carime.39 Con i bassorilievi del 1956, omaggio dell’artista alla terra di Puglia, ci accostiamo a un’umanità sofferente, dedita ai lavori della terra, dove l’uomo e la natura diventano una cosa sola (fig. 149-154). Ciò che Tot rappresenta in questi bassorilievi è il coinvolgimento dell’uomo con la natura stessa che per sua mano si trasforma e l’uomo è parte stessa di quel mutamento.40 Il Tavoliere offre una visione del lavoro universale attraverso i luoghi su cui si è soffermata l’attenzione dell’artista. Sono anni difficili per l’Ungheria, la terra da cui Tot è lontano e che soffre per una libertà negata.41 I bassorilievi rappresentano un’umanità ricca nelle sue componenti arcaiche, attraverso gli elementi primi che la compongono e che l’avvicinano alla sua essenza primaria. L’essenza non può mutare nei secoli, non può essere rappresentata con l’astrattismo, perché, pur restando drammatica, conserva la speranza, e quindi diviene rappresentazione morale. Bene esprime questo concetto Vigorelli quando afferma:
amely mind a mai napig a Carime Bank Bari-i székhelyének a központja.39 1956-os féldomborműveivel, amelyek Puglia régiónak állítanak emléket, közelebb kerülhetünk a szenvedő emberiséghez, amely a földdel végzett munkáknak szenteli magát, ahol az ember és a természet eggyé válnak (149-154.ábra). Tot ezekben a féldomborművekben ábrázolja azt, ahogyan az ember a természet részévé válik, amelyet saját kezével alakít át, és az ember saját maga is részese ennek a változásnak.40 Az Il Tavoliere egyetemes látásmódot kínál, azokon a helyeken keresztül, amelyeken a művész figyelme elidőzött. Ezek Magyarország számára nehéz évek voltak, a föld, amelytől Tot távol élt, szenvedett a megtagadott szabadságtól.41 A féldomborművek archaikus összetevőkben gazdag emberiességet képviselnek, elsődleges alkotóelemeiken keresztül közelítenek kezdetleges mibenlétük felé. A lényeg nem változik századokon keresztül, nem képviselhető absztraktizmussal, mert még ha drámai is marad, megőrzi a reményt, tehát morális ábrázolássá alakul. Vigorelli jól fejezi ki ezt a koncepciót, amikor megállapítja:
È questa la modernità – la contemporaneità – umana ed artistica della gran fascia dei bassorilievi che Tot ha dedicato alle Puglie, alle sue città, al suo tavoliere. Terra e carne, ed
Ez az emberi és művészi modernizmus – a kortársiasság – a domborművek nagy részén, amit Tot Puglia régiónak, városainak szentelt, az ő tavolierenek. Föld és hús, a szimbólumok-
123. La Chiglia Apula, particolare
124. La Chiglia Apula, particolare
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125. Maschere, ca. 1970, cemento armato. Brindisi, Teatro Verdi
126 Protesta in grigio, 1960, litografia
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127, 128. Amerigo Tot e Il Tavoliere
129. Il Tavoliere, 1956, dieci formelle in bronzo. Ingresso della Banca Cassa di Risparmio di Puglia
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anche i simboli hanno un peso terrestre e corporeo; e gli alberi, folti fin quasi a non lasciare intravedere il cielo, sembrano incurvarsi a riparare di più l’uomo, che ne cerca l’ombra, dopo secoli di lavoro. C’è tutta l’antica fatica del Sud, pur tra la fragranza dei bergamotti, in questo incessante scambio tra uomo e natura, tra carne e terra, che investe ogni quadro di questa sua maestà laica, offerta alla terra di Puglia ed a quel suo portentoso “popolo di formiche”.42
nak is van testi és földi súlyuk, és a fák sűrű ágai, amitől szinte nem is látszik az ég, úgy tűnik, meghajlanak, hogy az embert megvédjék, aki századok munkája után lombjukban keresi az árnyékot. Benne van a dél összes régi fáradsága, bergamott illatával áthatva, ebben a fáradhatatlan ember és természet kapcsolatban, hús és föld között, amelyet az ő világi fenségének minden képére ráruház, Puglia földjének és az ő csodás „hangyaszorgalmú népének” ajánlva.42
Il “popolo” che anima i bassorilievi pugliesi di Tot è lo stesso del “popolo di formiche” del meridionalista Tommaso Fiore.43 Quello di Tot, tuttavia, è animato da una speranza di redenzione da un passato di sofferenza, un passato che non si vuole soffocare e annullare, ma che si pone come un precedente stato che non può essere rinnegato. L’invito di Vigorelli è altamente esplicativo in questo senso:
A „nép”, amely Tot pugliai domborművein szerepel, tulajdonképpen a déli származású Tommaso Fiore „hangyaszorgalmú népe”.43 Tot egy szenvedéssel teli múlttól való szabadulás reményével személyesíti meg őket. Ezt a múltat nem akarja megfojtani és megsemmisíteni, inkább úgy határozza meg, mint egy korábbi állapotot, amelyet már letagadni nem lehet. Vigorelli felhívása élénken kifejező ebben az értelemben:
Guardate, guardate bene quelle raccoglitrici di ulivo o quei piantatori di tabacco, là una spigolatrice e qua un pescatore, il figurinaio e il canapiere, ed in una mantenuta severità di rappresentazione avvertirete però un trasalimento, proprio come di un corpo che si risveglia da un lungo sonno e va incontro all’alba, impastato ancora di sudore: e quasi non si distingue, a guardare queste sue figure avviluppate, se è il sudore di quel letargo secolare a lasciarle un po’ intorpidite, o se invece – come tutto fa credere – è già il primo sudore fresco di un lavoro più umano e più sociale, che le scioglie bruscamente e ne sommuove e lacera sotto a un vento nuovo le forme, le mani lunghe come spighe, i capelli astati come ulivi. Ancora e sempre l’uomo e la terra sono un unico intrico: questa è anche la legge naturale della scultura di Tot, e ne è soprattutto la continua, appassionata, mai soddisfatta decifrazione.44
Nézzétek, jól nézzétek meg az olívaszedőket, a dohány ültetőket, ott egy kalászszedőt és itt egy halászt, az agyagozókat és a kenderkötőket, az ábrázolás komolyságának megtartása mellett észlelhettek majd egy mozdulatot, pontosan olyat, amint amikor egy test hosszú álomból ébred, látalál a hajnal, izzadságtól még összeragadva: ha az összegubancolódott alakokat nézzük szinte nem lehet megkülönböztetni, hogy az évszázados téli álom izzadsága az, ami megmerevíti őket, vagy – ahogyan azt elhiteti velünk – ez mát az első friss izzadsága egy emberibb és szociálisabb munkának, amely váratlanul meglazítja, megmozdítja őket és szészaggatja új áramlatok alatt a formákat, a hosszú kezeket, mint a kalászokat, a lándzsás, olíva formájú hajakat. Még mindig az ember és a föld egyetlen kuszasága ez: Tot szobrászatának természeti törvénye egyben, ennek folyamatos, szenvedélyes, soha nem elégedett megfejtése.44
130. Il Tavoliere, 1956, terracotta. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
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131, 132. Ingresso Agenzia Centrale di Banca Carime con le formelle in bronzo, Bari
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133-136. Il Tavoliere, 1956, disegni preparatori
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137-140. Il Tavoliere, 1956, formelle in bronzo. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
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141-144. Il Tavoliere, 1956, formelle in bronzo. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
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I bassorilievi baresi sono la conferma del legame che esiste, vero, manifesto e inconfondibile, tra il mondo arcaico e il mondo moderno, come messaggio positivo per le generazioni future. Sembrerebbe che di colpo Tot senta il bisogno di un ritorno all’antropomorfismo. Non si tratta di un rifiuto dell’astrattismo, ma di una sintesi di entrambi dove il realismo non si oppone all’astrattismo ma lo completa. Infatti i bassorilievi non possono essere ricondotti a una dimensione astratta, separata da una visione realista, ma sono espressione di entrambe. Spesso la critica meno attenta ha visto il Tavoliere come il punto di arrivo e nello stesso tempo di partenza del percorso artistico dello scultore. L’artista, infatti, ha inteso qui cancellare gli elementi dell’astrattismo che avevano caratterizzato le opere precedenti, per passare ad una espressione artistica legata al figurativismo e più propriamente al realismo. Vigorelli nota invece nei bassorilievi baresi una continuità dell’espressione artistica di Tot, ma sempre in fase di sperimentazione, sempre alla ricerca di nuove esperienze ed espressioni artistiche. Egli
A Bar-i domborművek a bizonyítéka annak, hogy az archaikus és a modern világ közötti kötelék létezik, igaz, kézzelfogható és összetéveszthetetlen, mint a jövő generációjának szóló pozitív üzenet. Úgy tűnik, mintha hirtelen Tot szükségét érezné annak, hogy visszatérjen az antropomorfizmushoz. Nem az absztrakt visszautasításáról van szó, hanem mindkettő szintéziséről, ahol a realizmus nem szemben áll az absztraktizmussal, hanem kiegészíti azt. Valójában a domborműveket nem lehet pusztán visszavezethetni egy, a realista látásmódtól különválasztott absztrakt dimenzióra, hanem inkább mindkettőnek a kifejezésére. Gyakran a felületes kritika úgy látja az Il Tavoliere, mint a szobrász művészi életútjának kiindulási és érkezési pontját is egyben. A művész itt már ténylegesen hajlott arra, hogy eltörölje az absztrakt elemeket, amelyek megelőző műveit jellemezték, hogy áttérjen egy a figurativizmushoz és kiváltképpen a realizmushoz kötődő művészi kifejezéshez. Vigorelli észreveszi a Bari-i domborművekben Tot művészi kifejezésének folyamatosságát, de még mindig kísérletezik, mindig az új tapasztalatokat
145, 146. Il Tavoliere, 1956, formelle in bronzo. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
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resta ancorato al carattere unitario della sua arte, lontana da ogni tipo di divisione. Il critico rileva l’impossibilità di incasellare lo scultore in un campo astratto o realista ben definito e riconduce “quel suo particolare astrattismo” ad “un bisogno di primordialità, di elementarità, d’essenzialità”.45 È evidente tuttavia che, pur considerando il valore realistico del Tavoliere, non si può negare il legame con l’astrattismo e con l’informale che è ben manifesto anche nel fregio della stazione Termini. Resta fermo che quello di Tot non è un astrattismo derivatogli dagli insegnamenti dei suoi maestri di Dessau, ma quello arcaico e primitivo o addirittura fuori della storia. Non è un astrattismo teso ad esprimere concetti, ma una presenza reale nella forma e nella forza che da essa si sprigiona. È un modo per restare legato alla terra e alla concretezza, troppo massiccio per esprimersi nella forma di un astrattismo tutto moderno, cosa impossibile per l’artista che vede l’uomo nella sua realtà legato alla storia, alla terra, alla vita di cui resta la più elevata espressione.
és művészi kifejezéseket keresi. Művészetének egységes jellemzőjéhez kötődik, távol mindenfajta megosztástól. A kritikus kiemeli annak lehetetlenségét, hogy a szobrászt egy absztrakt vagy egy jól körülhatárolt realista térben helyezzük el. „Sajátos absztraktizmusát” visszavezeti „az elsőrangúságnak, a nyílvánvalóságnak, a lényegretörésnek szükségességére.45 Mindazonáltal nyílvánvaló hogy még ha az Il Tavoliere valódi értékét figyelembe is vesszük, nem lehet letagadni a kapcsolatot az elvonttal és az informálissal, amely egyértelműen a Termini állomás frízén is megjelenik. Változatlanul helytálló az, hogy Toté nem a Dessaui mesterek tanításaiből származó elvontság, hanem archaikus és primitív vagy egyenesen történelmen kívüli. Nem egy feszes elvontság, amely koncepciókat fejez ki, hanem valódi jelenlét a formában és az erőben, amely magától szabadul ki. Mód arra, hogy a földhöz és a konkrétumhoz kötődjön, túl robosztus ahhoz, hogy teljesen modern absztraktizmusban fejezze ki magát, mindez lehetetlen a művésznek, aki az embert a maga valóságában látja, ahogyan a történelemhez, a földhöz kötődik, és az élethez, amelyet a legmagasztosabban fejez ki.
147. Il Tavoliere, 1956, fregio, terracotta. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
148. Il Tavoliere, 1956, fregio, terracotta. Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime
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149-154. Il Tavoliere, particolari del fregio
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Note
1. Cortometraggio biografico sceneggiato a colori, prodotto e diretto dal regista ungherese Zoltán Huszárik nel 1969, della durata di 18 minuti. 2. Cfr. P. KOVÀCS, A “vilàghir” peremèn, in “Vigilia”, n. 7, Budapest 2002. 3. Le biografie più complete sullo scultore ungherese Amerigo Tot sono in: M. BOLOGNA, Amerigo Tot: sculture dal 1933 al 1976, Edizioni Arco, Roma 1976 e in Amerigo Tot, a cura di G. VIGORELLI, Carte Segrete, Roma 1978. 4. Horty assunse un ruolo sempre più centrale nella vita politica ungherese. Nel 1937 istituì una autocrazia conservatrice: A. BIAGINI, Storia dell’Ungheria contemporanea, Bompiani, Milano 2006. 5. Poeta e pittore ungherese, fu esponente dell’avanguardia culturale del primo ‘900. Fondò le riviste “Tett” (Azione, 1915) e “Munka”(Lavoro, 1926). 6. Uno studio completo e dettagliato sugli avvenimenti che segnarono il percorso e l’evoluzione di Bauhaus è in: H. M. WINGLER, Il Bauhaus.Weimar Dessau Berlino 1919-1933, Feltrinelli, Milano 1972. 7. Otto Dix fu tra i fondatori del gruppo Nuova Secessione di Dresda e diede vita al gruppo Dadaista. Le sue opere furono incentrate su tematiche forti come la guerra, la deformità, il rapporto tra eros e morte, affrontate con crudo realismo. Fu perseguitato dal nazismo e considerato artista degenerato al punto che nel 1932 molte opere del periodo dada e realista vennero distrutte: M. DE MICHELI, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 125-126. 8. Zwickau era un campo di concentramento dipendente dal lager di Flossenburg, al confine tra la Germania e la Cecoslovacchia ove gli internati, tra cui anche italiani, lavoravano nelle officine della Auto Union: cfr. G. CANTALUPPI, Flossenburg, ricordi di un generale deportato, Mursia, Milano 1995. 9. Cit. in Il Tavoliere, a cura di G. VIGORELLI, Editalia, Roma 1956. 10. Ibidem. 11. Ibidem. 12. La notorietà nazionale di Angelo Zanelli, scultore e studioso delle opere rinascimentali, arrivò con la partecipazione al concorso per il fregio del Vittoriano (1909-1911) che lo vide vincente e lo tenne impegnato fino al 1925: L. Testaferrato, G. Caldini, La scultura italiana del XX sec, Il Fiore, Firenze 1984, p. 34. 13. In P. KOVÀCS, A “vilàghir” peremèn, in “Vigilia”, op. cit. 14. Szerb Antal, scrittore e storico della letteratura di fama mondiale, presidente nel 1933 dell’Accademia letteraria ungherese, pubblicò nel 1944 Storia della letteratura mondiale, tutt’oggi testo autorevole, e noto a livello europeo per il suo primo romanzo La leggenda di Pendragon del 1989; Szauder Jòzsef, storico della letteratura, fu docente di letteratura ungherese presso l’università di Roma dal 1971 al 1975. 15. Cfr. FÓTHL ERNÖ, Egy római magyar Szobrász, in “Magyar Nemtezben”, 13 ottobre 1948. 16. Cfr. P. KOVÁCS, A “világhir” peremén, in “Vigilia”, op. cit. 17. Scanderbeg si distinse per aver combattuto gli Ottomani stanziatisi nei territori albanesi. Anche Hunyadi divenne famoso combattendo contro i Turchi a Varna nel 1444 e a Belgrado nel 1456. Per una conoscenza più ampia delle vicende storiche in Albania: N. DELL’ERBA, Storia dell’Albania, Newton & Compton, Roma 1997.
1. 18 perces időtartamú, színes életrajzi dokumentumfilm, 1969ből, producer és rendező a magyar Huszárik Zoltán. 2. Id. P. KOVÁCS, A “világhír” peremén, “Vigilia”, Budapest 2002/7. 3. Amerigo Tot magyar szobrász életrajzának részletesebb leírását lásd: M. BOLOGNA, Amerigo Tot: szobrászata 1933-tól 1976ig, Arco, Róma 1976 és G. VIGORELLI gondozásában: Amerigo Tot, Carte Segrete, Róma 1978. 4. Horty egyre központibb szerepet töltött be a magyar politikai életben. 1937-ben konzervatív önkényuralmi rendszert vezetett be: A. BIAGINI, A kortárs Magyrország története, Bompiani, Milánó 2006. 5. Magyar költő és festő, kiemelkedő képviselője volt a kulturális avandguardnak a 900-as évek elején. A “Tett” (1915) és a “Munka” (1926)c. folyóirat megalapítója. 6. Egy részletes és teljes tanulmány amely a Bauhaus irányzat fejlődésének fejezeteit tárgyalja: H. M. WINGLER, A Bauhaus. Weimar Dessau Berlin 1919-1933, Feltrinelli, Milánó 1972. 7. Otto Dix egyike volt a Drezdai Új Szecesszió csoport alapítóinak és életre keltette a Dadaista csoportot. Műveinek középpontjában olyan erős témák álltak, mint a háború, az eltorzultság, kapcsolat Érosz és a halál között, amelyet nyers realizmussal ábrázolt. A nácizmus alatt üldözött volt és elfajzott művésznek tartották, 1932-ben sok dadaista és realista művét tönkretették.: M. DE MICHELI, A Novecento művészi avantguardjai, Feltrinelli, Milánó 1992, 125-126.old. 8. Zwickau egy, a Flossenburgihoz tartozó koncentrációs tábor, Németország és Csehszlovákia határán, amelyben az internáltak az Auto Union irodáiban dolgoztak, köztük olaszok is: ld.mű G. CANTALUPPI, Flossenburg, Mursia, Milánó 1995. 9. Id. A Pénzváltó/Amerigo Tot, G. VIGORELLI gondozásásban, Róma 1956. 10. Idézet ugyanonnan 11. Idézet ugyanonnan 12. Angelo Zanelli szobrász és reneszánsz művek szaktekintélye, országos hírnevet szerzett a Vittoriano szalag verseny győzelmével (1909-1911) amely egészen 1925-ig lefoglalta. : L. Testaferrato, G. Caldini, A XX. század olasz szobrászata, Il Fiore, Firenze 1984, 34.old. 13. Id. mű P. KOVÁCS, A “világhír” peremén, “Vigilia” 14. Szerb Antal világhírű író és irodalomtörténész. A magyar irodalmi Akadémia elnöke volt 1933-ban, 1944-ben kiadta a Világirodalom története c. művet,amely mindmáig nagy tekintélynek örvend. Európában, 1989-ben megjelent első regénye, a Pendragon legendája révén lett ismert. Szauder József, irodalomtörténész, magyar irodalom tanár a római egyetemen 1971-től 1975-ig. 15. id. FÓTHL ERNŐ, Egy római magyar Szobrász, «Magyar Nemzet», 1948. okt.13. sz. 16. id.mű P. KOVÁCS, A “világhír” peremén, “Vigilia”. 17. Szkander bég az oszmánok elleni harcokban jeleskedett az albán területeken. Hunyadi is a török ellenes harcokban lett híres, Várnában 1444-ben és Belgrádban 1456-ban. Az albán történelem részletesebb leírása: N. DELL’ERBA, Albánia története, Newton & Compton, Róma 1997. 18. A szobrász Romanelli valósítja meg 1940-ben, az ő lovasszobra Rómában, az Albánia téren van. 19. Pericle Fazzini Rómában alapította Ungaretti, Guttuso, Mafai,
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18. Lo scultore Romanelli realizzerà nel 1940 la statua equestre in piazza Albania a Roma. 19. Pericle Fazzini si formò a Roma nella cerchia di Ungaretti, Guttuso, Mafai, Mirko e Afro. Negli Anni Trenta e nell’ambito della Scuola Romana si colloca il momento più intenso della sua esperienza artistica, sviluppatasi nei termini di una decisa posizione anticlassicistica. Questa sarà la fase in cui lo scultore utilizzerà soprattutto il legno per le sue opere che si esprimeranno con un linguaggio semplice e istintivo. Dopo la seconda guerra mondiale si distinse con sculture tese a dare un’interpretazione del tutto nuova e personale dello spazio. La ricerca di essenzialità diede vita a uno stile rapido e sintetico: Pericle Fazzini, a cura di I. FALCONI e V. RIVOSECCHI, Skira, Milano 2005. 20. Il rilievo si compone di 472 effigi. 21. Cfr. M. BOLOGNA, Amerigo Tot: sculture dal 1933 al 1976, op. cit. p. 10. 22. È la fabbrica vietrese Pinto; Vincenzo Pinto fu il fondatore della fabbrica di ceramica nel 1896. Nell’azienda venivano prodotte un’infinita quantità di mattonelle, pavimenti, rivestimenti, manufatti di uso comune e anche artistici. Attiva fu la corrente d’affari con il mercato estero, in particolare con gli Stati Uniti d’America. Nel 1950 un suo piatto rappresentò la ceramica italiana alla Mostra dell’Artigianato Italiano del Brooklyn Museum di New York. Tot lavorò come ceramista e ne fu il direttore artistico dal 1948 al 1952. La Collezione Camponi esibisce tre opere targate “Tot Vietri Pinto”, ossia opere realizzate dallo scultore presso la fabbrica Pinto a Vietri. La collezione si è costituita nell’arco di circa venti anni grazie alla passione di Enrico Camponi, noto gallerista romano, che ha raccolto oltre 350 ceramiche, relative soprattutto a produzioni vietresi. Una pubblicazione esamina bene la collezione: M. ROMITO, La Collezione Camponi, Salerno 1999. 23. La Helm fu famosa per il ruolo di protagonista in “Metropolis”. 24. Nel novembre del 1948, ritornando dalle Olimpiadi di Londra, lo Scià si fermò a Roma ricevuto con tutti gli onori dal sindaco Rebecchini. In quell’occasione si interessò dei tempi di esecuzione del monumento, della disponibilità e della possibilità di Tot di partire subito per Teheran per i sopralluoghi. L’incontro si concluse con una stretta di mano e con l’assicurazione dello Scià che già erano stati stanziati 19.000 dollari per l’intervento e che avrebbe trovato ad attenderlo a Teheran gli architetti e il materiale richiesto. Lo Scià ripartì con il bozzetto di Tot, ma subito ne nacque una polemica da salotto che invase il mondo delle ambasciate e dell’aristocrazia italiana. Tot non sembrava preoccuparsene affatto, convinto che la stretta di mano di uno Scià valesse più di qualsiasi pettegolezzo. Si limitò solo ad attaccare alla porta del suo studio un cartello con la scritta: “I cinque artisti che hanno firmato la petizione al Ministero contro di me sono pregati di non entrare”. Dopo un anno e mezzo di rinvii, di scuse e di silenzi da parte dell’Ambasciata iraniana, lo scultore si decise a far scrivere dall’avvocato direttamente allo Scià, minacciandolo di citarlo in giudizio per rispondere di inadempienza contrattuale e per chiedergli il risarcimento dei danni morali e materiali, in quanto – asseriva l’avvocato – il contratto fu di fatto concluso, anche se non in forma scritta. Di certo l’artista non poteva pretendere da una Maestà imperiale un documento firmato, doveva bastargli la parola data: cfr. F. DI CASTRO, Storie e segreti di via Margutta, Palombi Editori, Roma 2012. 25. Lo stesso scrittore ungherese Antal Szerb, nel libro Ciprus és obeliszk (Cipresso e obelisco) del 1963, quando racconta del suo primo incontro con l’artista, avvenuto quattro anni prima, lo de-
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Mirko és Afro társaságában. A harmincas években és a római iskola közegében művészi tapasztalatának legintenzívebb pillanatait éli át, határozottan antiklasszicista állásfoglalást kifejezve. Ebben az időszakban a szobrász műveihez leginkább fát használ, ösztönös és egyszerű nyelvezetet használva. A második világháború után feszes szobrászat jellemzi, hogy a térnek új és személyes felfogást adjon. Az élet lényegének keresése összegző és gyors stílust kölcsönöz neki.: Pericle Fazzini, I. FALCONI e V. RIVOSECCHI gondozásában, Skira, Milánó 2005. 20. A dombormű 472 arcképből áll. 21. Id. mű M. BOLOGNA, Amerigo Tot: szobrok 1933-tól 1976-ig, 10.old. 22. a Pinto kerámiagyárat Vincenzo Pinto 1896-ban alapította Vietriben. A gyárban végtelen számú téglát, padlólapot és burkolatokat gyártottak művészi és általános célra. Aktív üzleti kapcsolatuk volt külföldi piacokkal, főleg az Egyesült Államokkal. 1950-ben egy tányérjával az olasz kerámiát képviselte az Olasz Kézműipari Kiállításon a New York-i Brooklyn Múzeumban. Tot kerámiakészítőként dolgozott és művészeti vezető volt ott, 1948tól 1952-ig. A Camponi Kollekció három “Tot Vietri Pinto”-jelzésű művet mutat be, pontosabban azokat, amelyeket a szobrász a Pinto gyárban, Vietriben készített. A kollekció körülbelül húsz év leforgása alatt állt össze Enrico Camponi, ismert római galériatulajdonos szenvedélyének köszönhetően, aki több, mint 350 kerámiát gyűjtött össze, legfőkképen Vietriben készülteket. Egy pubblikáció részletesen tanulmányozza a gyűjteményt: ROMITO M., A Camponi Gyűjtemény, Salerno 1999. 23. Brigitte Helm filmszínésznő a “Metropolis” c. filmben játszott főszerepével vált híressé. 24. 1948 novemberében, a Londoni Olimpiáról visszatérve, a sah Rómába látogatott és Rebecchini polgármester teljes tiszteletadással fogadta őt. Akkor érdeklődött a mű megvalósításának idéjéről, Tot lehetőségeiról és hogy Teheránba tud-e utazni azonnal a helyszínt bejárni. A találkozó kézfogással zárult, amelynek során a sah biztosította őt arról, hogy 19.000 dollárt elkülönítettek a munkára és hogy Teheránban a kívánt nyersanyag és mérnökök fogják őt várni. A sah Tot vázlatával indult el, és rögtön kirobbant a vita amely elárasztotta az olasz arisztokrácia és a nagykövetségek szalonjait. Tot egyáltalán nem aggódott miatta, meg volt győződve arról, hogy a sah kézfogása többet ér bármilyen szóbeszédnél. Annyit azért megtett, hogy kiakasztott a műterme ajtajára egy táblát: “ Nem kívánatos a belépés annak az öt művésznek, akik aláírták a Minisztériumhoz a petíciót ellenem”. Másfél év halogatás, kifogások és az iráni nagykövetség hallgatása után a szobrász elhatározta hogy ügyvédjével levelet irat közvetlenül a sahnak, megfenyegetvén, hogy beidézi őt a bíróságra szerződésszegés miatt, és hogy erkölcsi és anyagi kártérítést kérjen, amennyiben – az ügyvéd álítja- a szerződés megköttetett, még ha nem is írott formában. Természetesen a művész nem követelhetett aláírt dokumentumot egy császári fennségtől, meg kellett elégednie az adott szóval.: id. mű F. DI CASTRO, Marguttautcai történetek és titkok, Palombi Kiadó, Róma 2012. 25. Szintén a magyar író Szerb Antal, a Ciprus és obeliszk c.könyvében 1963-ban meséli el első találkozásást a művésszel, amely négy évvel azelőtt történt. Úgy írja le őt, mint egy kalandort, aki a legjobb megbízásokat vette el az olaszok elől, és úgy viselkedett, mint egy veszélyes és ravasz üzletember. Csak miután
scrive come un avventuroso che sottraeva agli italiani le commissioni migliori e si comportava come un pericoloso e furbo uomo d’affari. Dopo averlo conosciuto meglio cominciò ad apprezzarlo, cambiando radicalmente opinione su di lui: KOVÁCS P., A “világhir” peremén, in “Vigilia”, op. cit. 26. Dopo la seconda guerra mondiale, la costruzione della stazione fu completata dagli architetti Eugenio Montuori e Annibale Vitellozzi che progettarono il frontone e la pensilina di ingresso, considerata una delle opere più significative del Razionalismo italiano, inaugurata nel 1950. La nuova stazione si caratterizza esteriormente proprio per questa lunga e sinuosa pensilina in cemento, chiamata comunemente “il dinosauro”: G. ANGELERI, Termini. dalle botteghe di Farfa al dinosauro, Edizioni Abete, Roma 1983. 27. “Tot con quest’opera conferma la soluzione propugnata dagli spazialisti: soluzione radicale che implica la rinuncia, per ciascuna delle tre arti, alla loro dimensione specifica, bi e tridimensionale. Ne consegue che nell’architettura confluiscono le cosiddette arti minori, tenute distinte dalla vecchia concezione neoplastica. Di qui derivano la collaborazione di Lucio Fontana con gli architetti razionalisti milanesi e le cancellate forgiate da Mirko per il Mausoleo delle Fosse Ardeatine”: cit. in A. ZEVI, Peripezie del dopoguerra nell’arte italiana, Einaudi, Torino 2006, p. 60. 28. Cfr. Amerigo Tot, a cura di G. VIGORELLI, op. cit. p. 13. 29. Ibidem. 30. Il complesso di Monterosso ad Acqui Terme è uno dei pochi esempi in Italia di stretta collaborazione tra architetti, pittori, scultori e mecenati, per dare vita alla creazione di una dimora padronale caratterizzata dalla presenza di importanti opere d’arte. Nel 1920 i Conti Ottolenghi, Arturo e Herta von Wedekind zu Horst, affidarono la progettazione di Villa Ottolenghi prima a Federico D’Amato e poi al celebre architetto Marcello Piacentini. Il loro mecenatismo portò a Monterosso un buon numero di artisti come Ferruccio Ferrazzi, Fortunato Depero, Adolfo Wildt, Libero Andreotti, Fiore Martelli, Arturo Martini, Rosario Murabito, Venanzo Crocetti. La tenuta, ancora oggi, conserva intatto il suo fascino: cfr. V. CAZZATO (a cura di), Ville, parchi e giardini: per un atlante del patrimonio vincolato, Quaderni del Ministero dei beni culturali e ambientali, Roma 1992. 31. Il Raffaello fu, insieme al gemello Michelangelo, l’ultimo transatlantico della Società Italia Navigazione. Rimase in servizio per soli dieci anni, dal 1965 al 1975, prima di essere posto in disarmo. Venduto al governo iraniano, per essere utilizzato come alloggio per gli ufficiali militari che curavano la costruzione del porto militare di Büshehr, affondò nel novembre 1982 dopo essere stato colpito da missili incendiari iracheni. L’arredo interno della nave era lussuosissimo, ispirato al gusto dell’art-déco. Una commissione apposita, di cui facevano parte anche L. Venturi e G. C. Argan, fu scelta per definire i complementi di arredo delle navi. Opere astratte, figurative e concettuali arricchivano corridoi, vestiboli e saloni. Vedi: A. BET, R. BONFIGLIOLI, G. RONCAGLIOLO, L’arte a bordo della T/N Michelangelo e della T/N Raffaello, Italia Navigazione, Genova 1969. 32. Cfr. M. BOLOGNA, Amerigo Tot, op. cit., p. 128. 33. Cit. in Amerigo Tot, a cura di G. Vigorelli, op.cit.. 34. Inoltre si ricorda la sua partecipazione ai film: Satyricon del 1968, dello stesso anno Scusi facciamo l’amore e Colpiscono senza pietà del 1972. 35. Tra le fonderie, dove l’artista si recava di frequente e depositava i suoi calchi, la romana Bruni rappresentava un punto di riferi-
jobban megismerte, kezdte őt értékelni, radikálisan megváltoztatva a véleményét róla: id. mű. KOVÁCS P., A “világhir” peremén, “Vigilia”, 26. A második világháború után az állomás megépítését Eugenio Montuori e Annibale Vitellozzi építészek fejezték be, akik a homlokzatot és a bejárati perontetőt tervezték, amelyet az olasz racionalizmus egyik legkifejezőbb művének tartanak és 1950ben avattak fel. Az új állomást teljesen meghatározza kívülről a hosszú és kanyargós tető amelyet “dinoszaurusznak” hívnak.: G. ANGELERI, Termini. dalle botteghe di Farfa al dinosauro, Abete Kiadvàny, Róma 1983. 27. “Tot ezzel a művel megerősíti a “spazialisták által védelmezett “ radikális megoldást, a lemondást alkalmazza, amely mindhárom művészeti ágra jellemző két és háromdimenziós kiterjedésben.” Ennek következtében az építészetben kisebb művészeti ágak egyesülnek amelyeket a neoplastica koncepciója egymástól távol tartott. Innen ered Lucio Fontana együttműködése milánói racionalista építészekkel és a Mirko által a Fosse Ardeatine Mauzóleuma számára készített kovácsoltvas kerítés.”: id. A. ZEVI, A háború utáni viszontagságok az olasz művészetben, Einaudi, Torinó 2006, 60.oldal. 28. Id. Amerigo Tot, G. VIGORELLI gondozásában, 13.oldal 29. Idézet ugyanonnan. 30. Az Acqui Terme-ben található Monterosso komplexuma egyedülálló példa Olaszországban az építészek, szobrászok és párfogók közötti szoros együttműködésre, hogy egy olyan helyet hozzanak létre, amely fontos képzőművészeti alkotásokat fogad be. 1920-ban Ottolenghi, Arturo e Herta von Wedekind zu Horst bárók rábízták a Villa Ottolenghi tervezését, előbb Federico d’Amatora, majd a híres építészre, Marcello Piacentinire. Ottolenghi pártfogása jóvoltából jónéhány olyan művész fordult meg Monterossóban mint Ferruccio Ferrazzi, Fortunato Depero, Adolfo Wildt, Libero Andreotti, Fiore Martelli, Arturo Martini, Rosario Murabito, Venanzo Crocetti. A birtok még a mai napig teljes varázsát megőrizte. Id. mű V. CAZZATO,Villák, parkok és kertek: per un atlante del patrimonio vincolato, Kulturális javak és örökségek Minisztériumának füzetei, Róma 1992. 31. Raffaello volt Michelangeloval együtt az Olasz Hajózási Társaság utolsó óceánjáró hajója. 1965-től 1975-ig, csupán tíz évig állt szolgálatban mielőtt kivonták a forgalomból. Az iráni kormánynak adták el, katonai tisztviselők szállásának céljából használták, akik a Büshehrben található katonai kikötő építését felügyelték. Miután iraki rakéták eltalálták, 1982 novemberében elsüllyedt. A hajó teljes berendezése art-déco jellegű, luxus színvonalú volt. A hajók berendezésésnek kiegészítése céljára szóló külön megbízás volt részesei voltak, L. Venturi és G. C. Argan is. Absztrakt, figuratív és konceptuális művek gazdagították a folyosókat, az előtereket és a szalonokat. Lásd: BET A., BONFIGLIOLI R., RONCAGLIOLO G., Művészet a Michelangelo és a Raffaello fedélzetén, Italia Navigazione, Genova 1969. 32. Id. mű BOLOGNA M., 128.oldal 33. Id. Amerigo Tot, G. Vigorelli gondozásában. 34. Emlékezetes még a szereplése a Satyricon c. filmben, 1968-ban, illetve ugyanabban az évben az Elnézést, Szeretkezzünk és a Könyörület nélkül lelőnek 1972-ben. 35. Az öntödék közül, ahol a művész gyakran megfordult a római Bruni volt a nagy kiterjedésű munkák megvalósításának a helye. Jelenleg ez a gyár zárva tart, de hosszú ideig világszínvonalon működött. Ott tárolta Tot gipszből készített öntőformáit.
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mento per i lavori di grandi dimensioni. Attualmente la fabbrica è chiusa, ma lavorò per lungo tempo a livello mondiale. 36. In Collana Quaderni del Musma con testo di V. GRAMICCIA, Lavorare con gli artisti, la donazione Gramiccia-Giannini, Edizioni della Cometa, Roma 2006. 37. L’artista apprezzava molto le tradizioni culinarie e l’ospitalità pugliese, dove la semplicità e il calore dell’ambiente lo riportavano alla sua terra natia: cfr. V. STAGNANI, Quel “maledetto magiaro”, in “Nel Mese”, rubrica Mostre, 1985, pag. 44. 38. Divenuta nel 1991 Caripuglia S.p.A., confluita nel 1997 in Banca Carime Gruppo UBI Banca. 39. In occasione del 60° Anniversario di attività dell’Agenzia Centrale di Bari, Banca Carime nel 2010 ha promosso il restauro del Tavoliere. 40. Nella realizzazione di sculture in metallo, in particolare per i bassorilievi, Tot utilizzò in numerose occasioni la tecnica dello sbalzo. È una particolare lavorazione del metallo consistente nel far risaltare figure o particolari decorativi sulla superficie di una sottile lamina metallica modellandola in negativo. Si tratta di un procedimento che richiede una maggiore abilità e sforzo visivo, perché è necessario aver chiara la visione rovesciata dell’immagine che si vuole rappresentare. In questo tipo di tecnica, cioè procedendo dall’interno, Tot si rivelò abilissimo. I suoi bassorilievi in bronzo furono sempre delicatamente graduati e appena rilevati dal fondo; le figure abbozzate generosamente e di poco spessore non negano l’effetto tridimensionale e la dilatazione spaziale. 41. Si tratta della più grande tragedia della nazione ungherese, un evento che scosse il mondo intero, facendo vacillare il comunismo internazionale. Il 23 ottobre del 1956 a Budapest 50.000 studenti universitari si radunano a Buda scandendo slogan antisovietici e chiedendo a gran voce la nomina di Nagy a primo ministro. Quella stessa notte la folla abbatté la grande statua di Stalin che si ergeva in via Dózsa György. La reazione del regime sovietico fu immediata: i carri armati e le truppe dell’Armata Rossa marciarono sull’Ungheria e nel giro di 72 ore sferrarono un violento attacco contro Budapest e altre città. La battaglia insanguinò le strade della capitale per diversi giorni. Al termine dei violenti combattimenti si contarono oltre 25.000 vittime: V. SEBESTYEN, Budapest 1956. La prima rivolta contro l’impero sovietico, Rizzoli, Milano 2006. 42. In Il Tavoliere, Amerigo Tot, a cura di G. Vigorelli, op. cit.. 43. Scrittore, critico, politico altamurano che insieme con Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Ernesto De Martino ed altri, restituirà, con i suoi scritti, dignità a un mondo, quello contadino, emarginato da secoli, ma che con il movimento dell’occupazione delle terre, assurgerà a punto di riferimento per i giovani intellettuali, grazie alle lotte contro il blocco agrario. Fiore scrive nel 1925 Un popolo di formiche, cronaca di un viaggio nella storia dei cafoni pugliesi. Il libro nasce da quattro lettere inviate a Gobetti; reportage in forma epistolare in cui emerge chiaramente quanto lo scrittore si senta commosso nell’osservare le genti del Sud: “Mi chiederai” scrive Fiore a Gobetti, “come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e più sassosa; per ridurla a coltivazione facendo le terrazze (…) non ci voleva meno della laboriosità di un popolo di formiche”: Tommaso Fiore e la Puglia, a cura di V. Fiore, Palomar, Bari 1996. 44. In Il Tavoliere, Amerigo Tot, a cura di G. Vigorelli, op. cit. 45. Ibidem.
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36. Musma Füzetek Sorozat V. GRAMICCIA szövegével, Művészekkel dolgozni, Gramiccia-Giannini adománya, Cometa Kiadó, Róma 2006. 37. A művész nagyra értékelte a pugliai vendéglátás kulináris hagyományait, ahol az egyszerűség és a környezet melege szülőföldjére emlékeztették.: id. mű: V. STAGNANI, “Az a szerencsétlen magyar”, «A Hónap», Kiállítások rovat, 1985, 44. oldal. 38. 1991-ben Caripuglia S.p.A. alakult, majd 1997-ben beolvadt a Carime Bankba, az UBI Banca Csoport tagjába. 39. A Bari-i Központi Ügynökség működésének 60. évfordulójára a Carime Bank 2010-ben kezdeményezte az Il Tavoliere restaurálását. 40. A fémből készült műveknél, főképpen a domborműveknél, Tot számos alkalommal a kiemelő technikát használta. A tömör fémnek ez a sajátos megmunkálása kidomborítja az alakokat vagy a díszítő részleteket, a vékony lemezt a hátoldaláról megformázva. Olyan folyamatról van szó, amely jelentős tehetséget igényel, mivel az ábrázoláshoz a megjelenítendő kép fordítottjának világos elképzelése szükséges. Ebben a típusú technikában, amellyel belülről dolgozott, Tot rendkívül hozzáértőnek bizonyult. Bronzból készült féldomborművei mindig finoman lépcsőzetesek voltak és éppen csak kiemelkedtek az alapból; a nagyvonalúan felvázolt csekély vastagságú alakok nem gátolták meg a háromdimenziós hatást és a térbeli kiterjedést. 41. A magyar nemzet legnagyobb tragédiájáról van szó, az eseményről, amely az egész viágot megrengette, megingatva a komunizmust. 1956. október 23-án Budapesten 50.000 egyetemista diák gyűlt össze Budán szovjetellenes jelszavakat skandálva, és hangosan követelve Nagy miniszterelnöki kinevezését. Azon az éjszakán a tömeg ledöntötte Sztálin Dózsa György úti szobrát. A szovjet hatalom azonnal reagált: A Vörös Hadsereg alakulatai harckocsikkal végigvonultak Magyarországon és 72 óra leforgása alatt erőteljes támadást indítottak Budapest és más városok ellen. A csata során a főváros utcáin napokig vér folyt. A vad harcok végén 25.000 volt az áldozatok száma.: V. SEBESTYEN, Budapest 1956. Az első lázadás a szovjet hatalom ellen, Rizzoli, Milánó 2006. 42. Id. mű Il Tavoliere, Amerigo Tot, G. Vigorelli gondozásában. 43. Altamurai író, kritikus, politikus, aki Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Ernesto De Martino és másokkal együtt írásaival visszaadja a századok óta kirekesztett paraszti világ méltóságát, amely a földdel való foglalatosságában és az agrár blokk elleni harcaival a fiatal értelmiségieknek támpontot jelenthet. Fiore 1925-ben a Hangyanépben megírja a pugliai parasztok történelmében tett utazását. A könyv négy Gobettinek küldött levélből született; levélformában írott riport, amelyből világosan kitűnik mennyire meghatja az írót a déli emberek megfigyelése.: “Azt kérdezheted ” írja Fiore Gobettinek, “hogyan tudtak ezek az emberek ennyi követ kiásni és elegyengetni. Azt gondolom, hogy ez még az óriásokat is elrettentette volna. Murgia a legzordabb és legkavicsosabb vidék; ahhoz hogy a megműveléséhez teraszokat képezzenek, (…) nem kevesebb kellett, mint egy nép hangyákéhoz hasonló szorgalma.”: Tommaso Fiore és a Puglia, V. Fiore gondozásásban, Palomar, Bari 1996. 44. Il Tavoliere, Amerigo Tot, G. Vigorelli gondozásában, id. mű. 45. Idézet ugyanonnan
Amerigo Tot e il suo rapporto con l’Università degli Studi di Bari Amerigo Tot kapcsolata a Bari-i Egyetemmel Christine Farese Sperken
Il rapporto ufficiale di Amerigo Tot con l’Università degli Studi di Bari comincia in sordina, quasi di nascosto, e solo un’attenta ricerca nell’Archivio Generale di Ateneo mi ha permesso di ricostruire questa storia dimenticata. Quando nel 1971 l’Università degli Studi di Bari, sotto il rettorato di Ernesto Quagliariello, indisse un concorso pubblico per la realizzazione di una cancellata artistica da sistemare davanti alla facciata della nuova Facoltà di Giurisprudenza, i promotori avevano delle idee chiare e autorevoli circa l’aspetto dell’opera, come si rileva dal testo del bando: L’Università di Bari bandisce un concorso pubblico fra gli artisti italiani per l’ideazione di una cancellata da eseguirsi sulla facciata frontale di piazza Cesare Battisti e su quelle laterali di via Crisanzio e via Garruba dell’edificio universitario destinato agli studi universitari di diritto e di economia. L’opera, la cui realizzazione è prevista in bronzo o in altro metallo, dovrà risultare graficamente impostata in armonia con l’ordine architettonico del moderno edificio e dovrà costituire la comunicazione visiva di un messaggio efficacemente espressivo del principio di sistematicità proprio di ogni studio metodico e organizzato e della funzione ordinatrice della legge economica e di quella giuridica nella vita sociale. La spesa complessiva dell’opera dovrà essere contenuta nei limiti di 90 milioni. Al concorso potranno partecipare gli artisti, singolarmente o in gruppi, senza altra limitazione che il possesso della cittadinanza italiana. (“Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, n.173, 15-7-1971).
Al contrario di quello che si sarebbe potuto supporre, il concorso suscitò poca eco negli ambienti artistici nazionali; tra i soli due elaborati pervenuti fu giudicato vincitore il progetto con il motto “San Michele” i cui autori, come si venne a sapere dopo l’apertura dei documenti, furono il noto pittore romano Giuseppe Capogrossi (Roma 1900-1972), l’architetto, anche lui romano, Maurizio Sacripanti (Roma 1916-1996) e lo scultore Alfio Castelli (Senigallia 1917-Roma 1992), che rappresentò il grup-
Amerigo Tot kapcsolata a Bari-i Egyetemmel titokban, mintegy rejtve kezdődött, csak az Egyetem Általános Archívumában való alapos kutatás segített rekonstruálni ezt a feledésbe merült történetet. Amikor 1971-ben a Bari-i Egyetem, Ernesto Quagliariello rektor vezetése idején nyilvános pályázatot hirdetett az új Jogi Kar homlokzati rácsos kerítésének művészi kialakítására, a támogatóknak már világos és határozott elképzelésük volt a megvalósítandó műről, amint ez a hirdetmény szövegéből is kitűnik: A Bari-i Egyetem nyilvános pályázatot hirdet olasz művészek számára, a jogi és gazdasági egyetemi tanulmányok folytatására létrehozott épületének Cesare Battisti térre néző homlokzati és a Crisanzaio, illetve Garruba utcák felőli oldalsó kerítések kialakításának megtervezésére. A műnek, amelyet bronzból, vagy egyéb fémből kell elkészíteni, a modern épület építészeti rendjéhez harmonikusan illeszkednie kell és láthatóan kell közvetítenie minden módszertani és szervezett tanulmány saját rendszerének és a társadalmi élet, illetve a gazdasági jog rendszerező funkciója elveinek hatásosan kifejező üzenetét. A teljes mű költsége nem haladhatja meg a 90 milliót. A pályázaton egyedül vagy csoportosan vehetnek részt művészek olasz állampolgárság birtokában, de egyéb megkötés nélkül. (“Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”, 173. sz, 1971.07.15.)
A várakozásokkal szemben a pályázat kevés visszhangot keltett a nemzeti művészek körében. A beérkezett és elbírált két pályázat közül a “San Michele” jeligéjű terv győzött, amelynek szerzői - ahogyan a dokumentumok felnyitása után kiderült,- az ismert római festő Giuseppe Capogrossi (Róma, 1900-1972), a szintén római Maurizio Sacripanti építész (Róma, 1916-1996) és Alfio Castelli szobrász (Senigallia, 1917- Róma 1992) voltak, akik hivatalosan egy csoportot képviseltek. Hármuk közül mindegyik saját speciális technikai-művészi képzésének megfelelően és művészi kifejezésmódjuk különbözőségével járult hozzá a tervezéshez. Afelől azonban nincs 93
155. Giuseppe Capogrossi, progetto per la cancellata, 1971. Bari, Università degli Studi “Aldo Moro”
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po ufficialmente, “ad ogni effetto”. Ognuno dei tre aveva contribuito alla progettazione della cancellata secondo la propria specifica formazione tecnico-artistica e nella diversità del loro linguaggio. Non c’è tuttavia alcun dubbio che colui che ha impresso il suo marchio inconfondibile sull’opera fu Capogrossi, autore del disegno basato sulla ripetitività, sul rigore e sulla severità, articolato in un ritmico alternarsi di elementi fissi e mobili, che dividono la cancellata in grandi pannelli, quasi monumentali, di due tipologie diverse secondo la loro funzione di elemento stabile o di cancello d’ingresso. Nella minuziosa, particolareggiata relazione acclusa al progetto, i tre autori spiegano di aver optato di proposito per i connotati di “rigore” e “fermezza”, apparsi a loro
kétség, hogy amelyikük a leginkább rányomta összekeverhetetlen bélyegét a műre, az Capogrossi volt, szerzője annak az ismétlésen, a szigorúságon és a fegyelmezettségen alapuló rajzolatoknak, amelyek fix és mobil elemek ritmikus váltakozásával tagoltan a rácsos kerítést nagy, szinte óriási elemekre osztják, ezek funkcióiknak megfelelően két különböző típusú, egy stabil elemből és egy bejárati kapuból állnak. A tervhez csatolt részletes és alapos leírásban a három alkotó elmagyarázza, hogy előnyben részesítették a “szigorúság” és “szilárdság” jellemzőket, amelyek az ő meglátásuk szerint a “legmegfelelőbb eszközök anélkül, hogy visszanyúlnának a barokkos címerekig, emblémákig, vagy vitatható szimbólumokig, hogy kifejezzék
156. Giuseppe Capogrossi, cancellata, 1971. Bari, Università degli Studi “Aldo Moro”, Facoltà di Giurisprudenza
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avviso “i mezzi più idonei ad esprimere, senza ricorrere a barocchismi, a stemmi, emblemi o a discutibili simbolismi, la severità scientifica” del luogo di destinazione dell’opera, come pure entrare meglio in questo modo in armonia “con i ritmi nitidi e sobri dell’architettura.” Lo specifico linguaggio segnico, proposto da Capogrossi per la cancellata della Facoltà di Giurisprudenza, dominava già da più di vent’anni la sua opera, se è vero che il passaggio dell’artista da una pittura figurativa alla non-figurazione era avvenuta tra il 1947 e il 1949. In fondo si trattava sempre dello stesso segno, infinite volte variato, nella forma, nella composizione, nel ritmo, nel colore, nelle dimensioni, sempre nuovo e diverso, in modo di poter parlare di una “poetica del segno”. Dalla dichiarazione dei vincitori del concorso (verbale del Consiglio di Amministrazione, 23 dicembre 1971) al certificato di ultimazione dei lavori (20 ottobre 1972), erano passati appena dieci mesi, ma purtroppo Capogrossi, morto improvvisamente il 9 ottobre, non poté assistere all’atto conclusivo, che terminò definitivamente con il
a tudomány szigorúságát”, a mű rendeltetési helyének megfelelően, hogy ilyen módon még inkább harmóniába kerüljenek a kristálytiszta és lényegre törő építészeti elemekkel. Capogrossi művészetét már több mint húsz éve jellemezte az a különleges, nonfiguratív kifejezésmód, amelyet a Jogi Kar kapujára is javasolt, ha igaz, hogy figuratív művészből non-figuratívvá való átalakulása 1947 és 1949 között történt. Alapjában véve ugyanarról a jelről van szó, végtelen formában variálva, formájában, kompozíciójában, ritmusában, színében, nagyságában, mindig új és mindig más, oly módon, hogy itt már egyenesen a “jel költeményéről” beszélhetünk. A győztesek kihirdetésétől a munka befejezésének tanúsítványáig (1972. október 20.) pont 10 hónap telt el. Capogrossi, október 9-én bekövetkezett váratlan halála miatt, sajnos nem lehetett ott a befejező aktusnál, amely a pugliai Műemléki Főfelügyelőség műszaki átvételi tanúsítványával zárult 1972. december 13-án. Ebben a dokumentumban kifejezetten hangsúlyozták, hogy “bronzból
157. Amerigo Tot, progetto per la cancellata, 1971. Bari, Università degli Studi “Aldo Moro”
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certificato di collaudo da parte della Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Puglia il 13 dicembre 1972. Nel documento viene sottolineata esplicitamente la “realizzazione di una imponente cancellata in bronzo fuso e patinata, formata da quattordici elementi posti in opera fra i pilastri dei prospetti di via Crisanzio, Piazza C.
öntött és patinás, átlagosan 2,15 méter magas, 14 elemből álló impozáns kerítésről van szó, amelynek felülete 64,69 négyzetméter, és amelyet a Crisanzio, Piazza C. Battisti és a Garruba utcákkal szemben lévő tartóoszlopok közé helyeztek el, 76,60 méter hosszúságban”. Ez nem hagy kétséget anyaga felől, (bronzot használtak és
158, 159. Amerigo Tot, progetto per la cancellata, particolare. Bari, Università degli Studi “Aldo Moro”
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Battisti e via Garruba, per una lunghezza complessiva di m 76,60 e una altezza media di m 2,15 per una superficie di mq 64,69”, il che non lascia nessun dubbio sul materiale impiegato (bronzo e non ghisa, come arbitrariamente sostenuto) e sull’avvenuta installazione dell’opera. Tanto più appare incomprensibile la notizia circolante in tutte le pubblicazioni – per dire il vero pochissime – riguardanti la cancellata barese, incluso il recente catalogo della mostra dedicata a Capogrossi (Venezia 2012), che la sistemazione del grandioso lavoro risalirebbe solo al 1983. In questo contesto è interessante ricordare, trattandosi di una ricezione attenta della città culturale, che la nota galleria d’avanguardia Centrosei, ubicata in uno spazio nel lato nord del teatro Petruzzelli, organizzò nella primavera del 1973 una mostra riguardante la produzione grafica di Capogrossi. Significativamente all’inaugurazione dell’avvenimento fu presente il rettore Quagliariello, promotore sensibile, egli stesso artista, di numerose manifestazioni culturali. Il concorso dell’Università di Bari concernente la cancellata aveva riscosso, come già accennato, poco interesse nel mondo artistico italiano, forse per la complessità
nem öntöttvasat, amint azt feltételezték) és hogy az alkotás felállítása megtörtént. Ezáltal érthetetlenné válik az összes – az igazat megvallva nagyon kevés – Bari-i kapuzatra vonatkozó hír, beleértve a Capogrossinak szentelt kiállítás nemrégen megjelent katalógusát is (Velence, 2012), hogy a grandiózus munka csak 1983-ra datálható. A kulturális város részéről figyelmes fogadtatást kapott, ebben az összefüggésben érdekes lehet visszaemlékezni arra, hogy a Petruzzelli színház északi oldalán található ismert avantguard Centrosei galéria, 1973 tavaszán kiállítást szervezett Capogrossi grafikai alkotásaiból. Az esemény megnyitóján jelentőségteljesen részt vett Quagliariello rektor úr is, aki maga is művészként számos kulturális rendezvény támogatója volt. A Bari-i Egyetem kerítésre vonatkozó pályázata, mint már említettük, kevés érdeklődést keltett az olasz művészek körében, talán a feladat komplexitása vagy a merev szabályok és ezáltal a kreatív alkotó művészi szabadság korlátozása miatt. Így a megbízott kiválasztása könnyű - és az igazat megvallva örömteli volt, tekintve, hogy a másik “Hic sunt Japygi” jeligével pályázót formai hiba miatt kizárták.
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del compito o per le regole rigide imposte e, conseguentemente, per la libertà creativa alquanto limitata. Così la scelta della commissione fu facile – per dire il vero fu anche molto felice – considerando il fatto che l’altro concorrente, presentatosi con il motto “Hic sunt Japygi”, venne escluso per un errore formale. La consultazione dei documenti ci rivela finalmente il nome del rivale di Capogrossi, che fu lo scultore ungherese Amerigo Tot, all’epoca titolare della Cattedra di Scultura presso la neo istituita Accademia di Belle Arti di Bari. Personalità di notevole spessore culturale, Tot aveva dalla sua una formazione artistica internazionale di raro prestigio; alcune tappe fondamentali del suo percorso furono la frequentazione, dal 1930 al 1932, poco prima della chiusura, del mitico Bauhaus a Dessau in Germania e il successivo breve periodo di studio presso la scuola d’arte di Otto Dix a Dresda, rappresentante di
Az iratok tanulmányozása végre felfedte Capogrossi riválisának nevét, aki Amerigo Tot, a magyar szobrász, az akkor újonnan létrehozott Bari-i Szépművészeti Akadémia Szobrász Tanszékének vezetője volt. Ritka értékes nemzetközi művészi tanulmányai folytán Tot jelentős kulturális személyiség volt, életútjának néhány alapvető állomásai voltak az 1930-32-ig kevéssel bezárása előtt a németországi Dessauban található legendás Bauhaus iskola látogatása és azt követően Drezdában, Otto Dix művésziskolájában - amely a nyers realizmus felé elkötelezett festészetet képviselte - végzett rövid ideig tartó tanulmányai. Azután, a náci Németországból megszökve, a fiatal magyar Rómában, Angelo Zanellinél fejezi be tanulmányait a Szépművészeti Akadémián. Totnak Barival való kapcsolata már a Második világháború végén dokumentálható, de fontos megbízatása, az Il Tavoliere, csak az ötvenes évekre nyúlik vissza.
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una pittura impegnata, crudamente realista. Poi, fuggito dalla Germania nazista, il giovane ungherese completò i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Roma con Angelo Zanelli. Il rapporto di Tot con Bari è documentabile già alla fine della Seconda guerra mondiale, ma solo agli anni Cinquanta risale l’importante commissione del bassorilievo il Tavoliere per la sede della Cassa di Risparmio di Puglia (oggi Banca Carime), una specie di omaggio alla Puglia agricola e ‘operosa’, affidato a una sequenza di vigorose scene figurative. Di tutt’altra natura si mostra il suo progetto per la cancellata della Facoltà di Giurisprudenza, miracolosa-
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Ez a Pugliai Takarékpénztár székhelyére készített (a mai Carime Bank) bronz dombormű, egy sor figuratív, erőtől duzzadó jelenetre alapozott hódolat a földműves és dolgos Pugliának. A Jogi Kar kapuzatára kiírt pályázatra beadott, csodás módon előkerült terve már teljesen más természetét mutatja, akkor is, ha nem éppen a legjobb állapotban maradt fenn. A művész megkísérli három különböző, szigorúan absztrakt panel aprólékos ábrázolását, amelyek egymástól nagyon különböznek, rendkívül fantáziadúsak, ritmikusan váltakoznak az épület három oldalán. Talán némely hasonlóságot - a plasztikusabb panelek összekuszált alakjainak megfigyelésekor - lehet felfedezni a ge-
mente riscoperto, anche se in uno stato di conservazione tutt’altro che ottimale. L’artista si cimenta con laboriosi disegni di tre diverse tipologie di pannelli, rigorosamente astratti, ma molto vari e fantasiosi, alternati ritmicamente sui tre prospetti dell’edificio. Forse qualche somiglianza – osservando i pannelli più plastici, dalle forme aggrovigliate – può essere indicata con la parete in cemento fuso, caratterizzata da elementi geometrici e cerchi concentrici scavati, eseguita da Tot qualche anno prima, nel 1966, per la sede barese della banca Monte dei Paschi di Siena. Tuttavia, la realizzazione di un tale complesso progetto appare piuttosto difficile – tanto più che l’artista, a differenza del gruppo vincitore, si era presentato da solo – e
ometrikus elemek és koncentrikusan bevájt körökkel kialakított öntött betonfallal, amelyet Tot pár évvel azelőtt, 1966-ban a Monte dei Paschi Siena Bank Bari-i székhelyének készített. Mindazonáltal az ennyire összetett terv megvalósítása eléggé nehézkesnek tűnt, annyira, hogy – a művész, ellentétben a nyertes csoporttal, egyedül jelent meg – nem felelt meg mindenben a pályázati kiírás lényegre törő és szigorú kritériumainak. A “Hic sunt Japygi” 1.000.000 lírás költségvetéssel számolt, ez tartalmazta a bemutatott mű összes jogának az egyetemre való átruházást, (1972 január 24-i Igazgatótanács jegyzőkönyve); amelyeket, amint azt tudjuk, sohasem gyakorolták.
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non del tutto corrispondente ai criteri di sobrietà e rigore richiesti nel bando del concorso. A “Hic sunt Japygi” è stato corrisposto, a titolo di rimborso spese, la somma di Lire 1.000.000, al patto di cedere all’Università tutti i diritti sul progetto presentato (verbale del Consiglio di Amministrazione, 24 gennaio 1972); diritti, come sappiamo, mai esercitati. Alla luce di questi importanti documenti ritrovati, la storia della cancellata, finora concentrata unicamente sulla figura di Capogrossi, si fa più densa e complessa. Viene anche ristabilito un legame con il territorio o meglio, con un artista in quegli anni operante in Puglia, Amerigo Tot, di cui l’Università barese conserva altre opere, come vedremo.
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Ezeknek a megtalált fontos dokumentumoknak a fényében, a kapuzat története, amely eddig csak Capogrossi alakja köré koncentrálódott, így már gazdagabb és ös�szetettebb. Általa egy kapocs jött létre a régió és az abban az években Pugliában tevékenykedő művész, Amerigo Tot között, akinek más műveit is megőrizte a Bari-i Egyetem, amint az láthatjuk. Capogrossihoz visszatérve, fontos kihangsúlyozni művének minőségét, tekintélyét, a koncepció szigorúságát és nem utolsósorban a tökéletes technikát. Ezek alapvető követelmények egy ekkora méretű kapuzathoz, amelyet harmonikus együttműködésben tervezett Sacripanti építésszel és Castelli szobrásszal, akinek két jelentős művét birtokolja az egyetem, a Bari-i Politechnikum aulájában elhelyezve.
Mindössze pár nappal azután, hogy Amerigo Totnak Ritornando a Capogrossi, è giusto ribadire la qualità megtérítették a kapuzat tervének költségeit, az egyetem della sua opera, l’imponenza, il rigore del concetto e, non megbízta őt, a De Blasi Alberto professzor tiszteletéper ultimo, la perfezione tecnica, requisiti fondamentali re állítandó bronz dombormű megvalósításával, aki a per una cancellata di queste dimensioni, concepita in arsebészeti klinika igazgatója volt és nem sokkal azelőtt monica collaborazione con l’architetto Sacripanti e con hunyt el (Az Egyetemi Tanács jegyzőkönyve, 1972, feblo scultore Castelli, di cui l’Università possiede due opere ruár 1.). A megbízás váratlansága vigaszdíjnak tűnik, significative, sistemate nell’atrio del Politecnico di Bari. a szobrász és Quagliariello rektor barátságára enged Solo pochi giorni dopo aver concesso ad Amerigo következtetni, aki erőteljesen munkálkodott azon, hogy Tot un rimborso spese per il progetto della cancellata, a mandátuma alatt felvirágoztassa az intézet művészeti l’Università conferisce allo stesso l’incarico per la reaörökségét. lizzazione di un basEgy másik barátsorilievo bronzeo in ság, amelyet meg kell memoria del Prof. Alemlítenünk, az, amely berto De Blasi (1904már évekkel azelőtt Tot 1971), direttore della és Mario Sansone, a clinica chirurgica reFilozófia és Bölcsész centemente scomparso Kar akkori Igazgatója (verbale del Consiglio között jött létre, (1954di Amministrazione, 0 1970), aki a művész 1 febbraio 1972). La commissione, oltremoszámára még egy mado repentina e diretta, gyar nyelv tanítására suona come una specie szóló szerződésről is di premio di consolagondoskodott. A négy zione e fa pensare a litográfia, amelyeket un rapporto di amicivalószínűleg hálájának zia tra lo scultore e il és szeretetének jeléül rettore Quagliariello, Sansonenak hagyott az fortemente impegnato, egyetemen, mind 1960durante il suo mandato, ban készült, ugyanazzal a incrementare il patria sorozatszámú nyommonio artistico dell’Itatással. A grafikákat – stituzione. három fekete-fehér, egy Un rapporto di amiegyszínű barna - többécizia c’è da segnalare kevésbé plasztikusan anche, già diversi anni koncentrikus formák prima, tra Tot e l’allora jellemzik, az azokban az Preside della Facoltà di években művészi reperLettere e Filosofia Mario toárjának jellegzetesséSansone (1954 -1970), geit mutatják. che aveva procurato Az Alberto De addirittura all’artista Blasinak szentelt bronz un contratto per l’insedomborművet alapognamento della lingua sabban megvizsgálva, ungherese. Le quattro lia fent említett jegyzőtografie di Tot, tutte del könyv pontosítja, hogy 1960 e della stessa tiraa jelentőségteljes métura (41/50), lasciate da retű műnek (95x165 165. Bassorilievo, 1970 (?), ceramica. Bari, Università degli Studi “Aldo Moro” Sansone all’Università, cm) “az elhunyt mester 103
sono probabilmente da interpretare come segno di ringraziamento e di affetto. Le grafiche – tre in bianco e nero, una un pittorico monocromo in marrone – caratterizzate da forme concentriche più o meno plastiche, sono tipiche espressioni del suo repertorio artistico di quegli anni. Volendosi occupare in modo più specifico del bassorilievo dedicato ad Alberto De Blasi, il sopraccitato verbale precisa che l’opera, dalle dimensioni notevoli (95x165 cm), “dovrà riprodurre lo scomparso Maestro nelle funzioni di grande chirurgo”. Consegnato esattamente un anno dopo aver ricevuto l’incarico (bollo di consegna 28/1/1973), il bassorilievo raffigura una scena, tra realtà e invenzione, ambientata in una sala operatoria che ricorda alla lontana il cosiddetto teatro anatomico. Gli strumenti preparati, le bombole di
kiemelkedő sebészi tevékenységét kell visszaadnia”. Pontosan egy évvel azután hogy megkapta a megbízatást (szállítólevél 1973.jan. 28), adta át a domborművet, amely a fikció és a valóság között egy műtőben játszódó jelenetet ábrázol, távolról emlékezetet az úgynevezett anatómiai színházra. Az eszközök előkészítve, az aneszteziológus altatógázos palackja kikészítve, a híres sebész készen áll, hogy elvégezze a műtőasztalon fekvő fiatal nőn az operációt. Munkatársai, akik már a felismerhetetlenségig teljesen be vannak öltözve, és a közönség többségben meglehetősen érzéki nőkből áll - a magasból figyel, ez a jelenetnek, amelyet középen egy erősfényű műtőlámpa ural, kifejezetten színházi jelleget ad. Ízig-vérig figuratív ábrázoláshoz kellett igazodnia, ez a művészt arra késztette, hogy a sebész egy hétközna-
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gas anestetico in bella vista, l’illustre chirurgo si accinge ad eseguire l’operazione sul corpo della giovane donna distesa sul tavolo. I suoi collaboratori, già completamente vestiti e resi irriconoscibili, e il pubblico – consistente in prevalenza in figure di donne alquanto procaci – che assiste dall’alto, conferiscono alla scena, dominata al centro da una potente lampada scialitica, un esplicito tono teatrale. Aver dovuto attenersi a un linguaggio prettamente figurativo, ha spinto l’artista a raccontare un momento della vita quotidiana del chirurgo, servendosi della raffinata tecnica dello sbalzo che rende il bassorilievo bronzeo piuttosto sottile, di poco spessore, mentre le figure sembrano essere elaborate quasi graficamente. Nelle collezioni d’arte dell’Università barese si trova ancora un’altra opera del versatile scultore Tot, il cui linguaggio si muove con disinvoltura e grande sicurezza tra astrattismo e figurativismo. Questa volta si tratta di un bassorilievo in ceramica, di notevole qualità, rappresentante una coppia di figure arcaiche impegnata, così sembra, in un passo di danza. Vigorose forme elementari caratterizzano la ceramica che si distingue per un raffinato colorismo, giocato soprattutto sui toni del verde e del rosso con ampie zone di bianco. La provenienza non è del tutto chiara, probabilmente l’opera è stata donata dall’artista all’Università negli anni Settanta, periodo di massimo fervore, come già accennato, nel voler dotare l’Istituzione di una vera e propria raccolta d’arte contemporanea. Il lavoro, come si evince dall’iscrizione, è stato realizzato a Vietri sul Mare dove lo scultore ungherese aveva guidato per diversi anni, fino al 1952, la fabbrica di ceramica della famiglia Pinto. Tuttavia, anche dopo aver lasciato la guida artistica dell’azienda, Tot continuò a servirsene per le sue opere in ceramica, com’è avvenuto per il bellissimo, luminoso pezzo in questione. Nelle Confessioni di Tot l’artista dedica un piccolo brano, istruttivo e poetico al contempo, alla luce, componente essenziale per le sue sculture, compresa la ceramica: “Poiché la luce riempie legni e pietre, fa sedere le mie donne; le alza, mettendole in fuga; e fa crescere loro le braccia sul tronco […]. È la stessa luce che sceglie e s’atteggia nelle altre mie forme astratte e nella ceramica, mescolata con quarzo di mare – che io vado a prendere tra le alghe del fondo – con fuoco e argilla, midollo delle mie fantasie.”
pi pillanatát mutassa be. Az ötvösmunka rafinált technikájával dolgozva a művet meglehetősen vékonnyá téve az alakok úgy tűnnek, mintha csak grafikailag lennének kidolgozva. A Bari-i Egyetem művészeti gyűjteményében található még egy mű a sokoldalú Tottól, amelynek kifejező ábrázolásmódja az absztrakt és a figuratívizmus között nagy magabiztossággal és könnyedséggel mozog. Ez alkalommal kiemelkedő minőségű kerámia domborműről van szó, amely egy archaikus alakokból álló párt mintáz meg, akik éppen egy tánclépést mutatnak be. A kerámiát mozgalmas formai elemek határozzák meg és feltűnően kifinomult színhasználata, főleg a zöld és a piros árnyalataira építve, tágas fehér területekkel. Eredete nem teljesen világos, valószínűleg a művet a hetvenes években adta a művész az egyetemnek, ezalatt az idő alatt történt a legtöbb erőfeszítés arra, hogy az intézetnek egy igazi és saját kortárs művészeti gyűjteménye legyen. A mű, ahogyan a leírásból lehet következtetni, Viteri sul Mare-ban keletkezett, ahol a magyar szobrász egészen 1952-ig pár éven keresztül a Pinto család kerámia gyárát vezette. Azután, hogy a cég művészeti irányítását abbahagyta, Tot továbbra is ott valósította meg kerámiából készült műveit, ahogy az a szóban forgó, gyönyörű, fényes alkotás esetében is történt. Tot vallomásaiban a művész egy kis részletet ajánl figyelmünkbe, amely egyszerre tanulságos és költői, szobrászatának, beleértve a kerámiát is, nélkülözhetetlen eleme: “Előbb a fény megtölti a fadarabokat és a köveket, leülteti, majd felemeli asszonyaimat, elüldözi őket, kinöveszti karjukat fatörzsükből […]. Azután ugyanez a fény segít kiválasztani és testet ölt absztrakt formáimban és tengeri kvarccal – amit én gyűjtök a mélyből az algák között –, tűzzel és agyaggal, a fantáziám velejével kevert kerámiáimban.”
Ringrazio sentitamente Giuseppe Ventrella, Responsabile dell’Archivio Generale di Ateneo, che mi ha messo a disposizione tutti i documenti e le foto riguardanti il concorso per la cancellata della Facoltà di Giurisprudenza.
Köszönet Giuseppe Ventrellának, az Egyetem Általános Archívuma felelősének, aki a rendelkezésemre bocsátotta az intézmény kapuzatának pályázatára vonatkozó az összes iratot és fotót.
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Amerigo, l’eros come energia dell’arte Amerigo, az erosz mint a művészet energiája Pietro Marino
Ero diventato teenager quando mio padre – scultore e pittore “figurativo” ma curioso del nuovo – cominciò a trascinarmi, qualche sera, al “Sottano”, il caffè di via Putignani 90 che era divenuto, dopo l’8 settembre del 1943, il covo-ritrovo di una tumultuosa, anche pittoresca ma fervida brigata di artisti, intellettuali, sfaccendati di Bari. S’incontravano con i profughi eccellenti che erano fuggiti da Roma insieme o dopo Badoglio, o erano riusciti a varcare quella “linea gotica” con la quale i tedeschi sbarravano il passo all’avanzata degli Alleati dal Mezzogiorno d’Italia verso la capitale. La capitale del Regno del Sud convertito di forza alla democrazia era Brindisi, ma Bari ne era il centro culturale e politico, la sede del CLN, il Comitato antifascista di “liberazione nazionale” per il quale Amerigo Tot eseguì missioni spericolate nelle aree contese negli anni 1943-44. Ovviamente io non lo conoscevo né sapevo alcunché di lui, né credo che della sua attività segreta sapessero persino gli amici; come del fatto che scendendo dalla Germania di Weimar nella Roma fascista aveva dovuto eliminare dal cognome originario, Toth, quel compromettente fonema finale. Certo tra gli avventori s’imponeva la sua maschera di uomo massiccio dai tratti forti del viso come scavato nella pietra, eterno maglione nero a girocollo – che poi sarebbe divenuto di moda come “dolcevita” – a contrasto con la profumata eleganza del suo più grande amico barese, il pittore Roberto De Robertis. Sentivo fare il suo nome nel crocchio degli artisti amici di mio padre, ad uno dei tavolini della stanza a cui si accedeva scendendo alcuni scalini – il “sottano” appunto – aldilà dello spazio del bar assediato dai cultori di bigné ammanniti dalla sapienza napoletana di don Armando Scaturchio mentre la moglie aspirante attrice donna Rosa vigilava dalla cassa. Doveva essere una sera del 1945-46, quando entrando nel locale dove bivaccavano fra nuvole di fumo di sigarette pittori, melomani, poeti e giornalisti, e ogni tanto concionava d’arte il giovane Vittore Fiore, trovai una novità che m’impressionò molto. Su pannelli grigi a parete, o forse sul muro stesso erano incisi con onde di segni larghi e rotondi dei nudi robusti che s’incastravano, o alme-
Tinédzserkorú voltam, amikor az apám – figuratív festő és szobrász, aki azért nyitott volt az újra - néhányszor esténként magával vitt a Putignani utca 90 alatt található “A Pince” nevű kávéházba, amely 1943 szeptember 8-a után a Bari-i naplopók, intellektuelek és művészek színes és nyüzsgő társaságának menedék- és találkahelyévé vált. Találkozhattunk fontos emberekkel, akik a Badoglio kormány alatt vagy után menekültek el Rómából, vagy akiknek sikerült átlépniük azt a vonalat, amelyekkel a németek elzárták a Szövetségesek előrenyomulásának Dél-Olaszországtól a főváros felé vezető útját. Az erőszakkal demokráciává formált Déli Királyság fővárosa Brindisi, de politikai és kulturális központja Bari volt, a CLN, a Nemzeti Felszabadítás Antifasiszta Bizottságának székhelye, amely számára Amerigo Tot 1943-44 során a vitás területeken vakmerő küldetéseket hajtott végre. Én mivel nem ismertem őt, nem tudtam semmit sem róla, de azt hiszem még a barátai sem tudtak titkos tevékenységéről, mint ahogyan arról a tényről sem, hogy amikor a németországi Weimarból a fasiszta Rómába ment, el kellett hagynia az eredeti Tóth vezetékneve végéről az árulkodó ’h’ hangot. A törzsvendégeknek imponált az erős arcvonásokkal rendelkező masszív emberarc, amelyet mintha kőbe véstek volna, az állandóan viselt kereknyakú fekete pulóvere - amely később dolcevita néven divatba jött - pont ellentétje volt legjobb Bari-i barátjának, a kifinomult eleganciájú Roberto De Robertis festőnek. Hallottam, amikor a nevét emlegették apám művészbarátai a beszélgetésekkor, a terem egyik asztalánál, amelyhez néhány lépcsőn kellett lejutni – nem véletlenül volt a neve “A Pince” amelynek túlfelén volt a bár, amelyet megszálltak a fánk rajongók, akiknek a hozzáértő nápolyi don Armando Scaturchio tálalta fel a bignét, és akinek a felesége, a színésznő-jelölt donna Rosa felügyelte a kasszát. 1945-46 egyik estéjén történhetett, amikor belépve a helyiségbe, amelyben cigarettafelhőbe burkolózva húzták meg magukat a festők, zenebolondok, költők és újságírók, és ahol időnként művészetről tartott beszédet a fiatal Vittore Fiore, egy új dologgal találtam szembe magam, ami nagy hatással volt rám. A falon szürke paneleken, vagy magán 107
no così mi pareva. Uno dei rari testimoni di quel tempo mitico, Inigo (all’anagrafe Pasquale) De Maria, così raccontò molto tempo dopo il fatto. Quando quel “retrobottega tumultuante” cominciò ad assumere ruolo di spazio d’arte, un giorno Tot “con tartarica foga aprì nel recesso, presso la porta del cesso, un caminetto corinzio, sgorbiò alla brava sulle pareti delle figure allusivamente falliche e non so come, forse per un miracolo d’arte, riuscì a dare al posto immerso in una luce crepuscolare l’aspetto chiaro di una saletta”. Era questa energia erotica dei segni e dei sensi che lo scultore di formazione mitteleuropea portava in una città che aspirava al cambiamento, mentre filtravano scompostamente – parlo ormai degli anni verso i Cinquanta – esperienze remote di colori accesi alla fauve e di segni lontani dalle armonie accademiche. La mise a fuoco negli anni successivi alternando senza problemi, anzi con personale consapevolezza, una plastica di ambito figurale a quella fondata su ritmi astratti. Come mi spiegò quando facemmo conoscenza. Fu alla inaugurazione nel 1966 – avevo cominciato da qualche anno a scrivere di arte per “La Gazzetta del Mezzogiorno”- della sua parete in cemento fuso per la sede del Monte dei Paschi di Siena a Bari strutturata con fughe vorticose di gorghi scavati. Quella parete riprendeva lo stesso ordine linguistico delle scansioni ritmiche con zigzag di sentore futurista, del frontone in alluminio della Stazione Termini, finite di realizzare nel 1953 ma già disegnate nel 1948. Era da poco ritornato a Roma, mentre si celebrava “a sinistra” la rottura definitiva tra figurativismo, realismo socialista e astrazione segnica. Fu quest’ultima linea, seppure senza rapporti evidenti con i suoi protagonisti romani, la scelta di campo allora operata da Tot (probabilmente scavando nella memoria le lezioni rimosse del tempo Bauhaus, come sostiene Mario Bologna). Appare con evidenza distante dal rotondo manierismo popolaresco delle figure nel composito bassorilievo Il Tavoliere che avrebbe eseguito una decina di anni dopo, nel 1955-56 per la Cassa di Risparmio di Puglia, un epos delle campagne e delle popolane meridionali. A ripensare ora ai graffiti del “Sottano”, la cultura del figurare con segni d’incastro largo – mutuata dalla frequentazione romana con Pericle Fazzini negli anni Trenta – sublimava in leggerezza grafica i volumi prosperosi. Citavano o forse anticipavano la serie delle Donne ciottolo – una specie di Maillol filtrato da memorie cubiste. Come conferma un bronzo in collezione privata barese che nel testo di Alessandra Critelli è riprodotto in foto e datato 1946 (con Bari continuò ad avere pur radi rappor108
a falon, egymásba gabalyodó - vagy legalábbis nekem így tűnt - robosztus meztelen testek széles és kerek ábrái voltak bekarcolva. Inigo (eredetileg Pasquale) De Maria, aki egyike annak a kevés tanúnak abból a legendás időszakból így mesélte el ezt a tényt később. Amikor az a zajos, bolt mögötti helyiség kezdett művészeti tér funkciót ölteni, egy nap Tot, “ egy tatár lendületével ott a mélyben a WC ajtó közelében egy korinthoszi kandallót épített és merészen fallikus figurákat firkált a falakra és nem tudom miként, de sikerült neki a halvány fényben derengő helynek a egy világos szalon látszatát adnia.” Az érzékeknek és a jeleknek ez az erotikus energiája volt az, amit a Közép Európában tanult szobrász a változásra éhező városba hozott, amelyeken közben átszűrődtek darabjaiban - már az ötvenes évekről beszélünk - a fauvizmus élénk színeinek távoli tapasztalatai és elvont harmóniák távoli jegyei. Az azt követő években ezt állította a központba, gond nélkül váltogatva őket, sőt személyes tudatossággal, ezt az elvont ritmusokon alapuló figurális közegű plasztikát. Ahogyan ő ezt nekem elmagyarázta, amikor megismerkedtünk. Ez 1966-ban történt - pár éve már művészetről írtam “Gazzetta del Mezzogiorno”nak- a Monte dei Paschi di Siena Bank Báriban található székházának erőteljes fugákkal és csatornákkal televésett betonfalának felavatásán. Az a fal ugyanazt a futurista érzetű cikcakkos ritmusos skandálás nyelvi rendjét követte, mint a Termini pályaudvar alumínium oromdísze, amelyet már 1948-ban megtervezett, de csak 1953-ban készült el. Kevéssel előtte tért vissza Rómába, miközben az a figurativizmus, szocialista realizmusnak a jelekre épülő absztrakcióval való végleges szakítását ünnepelte. Ez utóbbi stílusvonal lett Tot akkori fontos választása, noha nem volt egyértelmű kapcsolat ennek római képviselőivel, (valószínűleg ahogyan Mario Bologna feltételezi, a Bauhaus korabeli, időben távoli tanulmányok után emlékezetében kutatva). Ez nyilvánvalóan távol áll a mintegy tíz évvel később 1955-56-ban a pugliai Takarékpénztár számára készített az Il Tavoliere dombormű kompozíciójában a figurák népies manierizmusától, amely tulajdonképpen a déli emberek és vidékek hőskölteménye. Visszagondolva “A Pince” falrajzaira, a széles vájatokkal való ábrázolás kultúrájára – amelyeket a harmincas években Pericle Fazzinival való római összejárása során vett át – a dús terjedelmeket könnyed grafikává finomítva ábrázolta. Megidézték vagy inkább megelőzték a Kavicsasszony sorozatát - amely mintha egyfajta Maillol-mű lenne kubista emlékezeten átszűrve. Amint ezt bizonyítja egy 1946ra keltezett, privát gyűjtő tulajdonában lévő bronzszobor, amelyet Alessandra Critelli egy esszéjében fényképen do-
kumentált (noha Barival továbbra is gyér volt a kapcsoti: ci sono tracce di sue personali nel “Sottano” – ormai lata: személyes nyomait otthagyta 1951-ben és 1961-ben divenuto spazio espositivo – nel 1951 e nel 1961). “A Pince”-ben - amely közben kiállítóhellyé vált). Era questi dunque, l’amico di battaglie giovanili e l’arBarátja fiatalkori csatáiban, a később híressé vált műtista divenuto celebre, che De Robertis richiamò ad insevész De Robertis kérte fel szobrászatot tanítani az akkor gnare scultura nell’Accademia di Belle Arti di Bari appefrissen létrehozott és az irányítására bízott Bari-i Szépna istituita (novembre 1970) e affidata alla sua direzione. művészeti Akadémián. (1970 novemberében) Ott történt, Fu lì che lo ritrovai, perché anch’io fui sollecitato da De hogy viszontláttam őt, mert engem is megkért De RoberRobertis a trasferirmi dalla cattedra di Storia dell’Arte tis, hogy a Leccei Akadémia Művészettörténet tanszékéről nell’Accademia di Lecce a quella di Bari. Qualcosa del menjek át a Bari-i Intézménybe. Valamiféle úttörő lelkefervore pionieristico dei tempi del Sottano, l’eccitaziosedés még ”A Pince”-beli időkből és az új intézet miatti ne dell’impresa nuova, sembrava aleggiare nei corridoi e izgatottság lengedezett a Devito Francesco utca árkádjai nelle aule dei due piani condominiali sotto i portici di via alatt található társasház két szintjének folyosóin és tanDevitofrancesco concessi dal Comune come sede all’Actermeiben, amelyet az Önkormányzat az Akadémia székcademia. Già insufficienti sin dall’inizio, ma lindi, tirati a helyéül bocsátott. A termek már a kezdetekkor sem voltak lustro. Tot vi insegnò per nove anni, andando e venendo elegendőek, de takarosak voltak és ragyogóra kicsinosída Roma, formando decine di allievi su idee plastiche tese tották őket. Tot Rómából idejárva kilenc évig itt tanította a reinventare un arcaismo mediterraneo all’interno delle tanítványok tucatjait arra, hogy feszes formai ötleteikből rivoluzioni moderniste. Idee trasmesse al suo assistente kiindulva hogyan gondolják újra a mediterrán archaizbarese, Ido Maggi che si era diplomato pochi anni prima must a modern forradalmi irányzatokon keresztül. Elképnell’Accademia di Lecce (discutendo con me la tesi di zelését átadta segédjének is, Ido Magginak, aki a Lecce-i diploma) ed ai suoi allievi che erano anche i miei, come il Akadémián szerzett diplomát pár évvel azelőtt (velem konbitontino Pantaleo Avellis. Simili incroci didattici erano zultált a diplomamunkájáról) és a tanítványainak, akik az motivo di affabile complicità fra noi quando lo incontraenyémek is voltak, mint például a bitontói Pantaleo Avelvo in Accademia, talvolta facendo capolino nello stanzolis. Hasonló módszertani találkozási pontok miatt baráne della cattedra di Scultura sovraccarico di argille. Così ti cinkosság volt come festeggiamköztünk, amikor az mo con goliardico Akadémián találentusiasmo la sua koztam vele, időncomparsata nel ként kikukucskált secondo Padrino a szobrász tanszék di Francis Ford agyaggal roskaCoppola (1974) dozó szobájából. dove scolpiva il Ugyanolyan szacammeo di un tebados lelkesedésnebroso killer. sel ünnepeltük staPoteva semtiszta szereplését brare la rivelaziois Francis Ford ne di un lato oscuCoppola Keresztro che invece in apa c. trilógiájálui si risolveva in nak második részinnocenza ludica. ében (1974) ahol Trasmetteva una egy testőr szerepét sorta di candida formálta meg. generosità nel suo Ez sötét oldaláapproccio all’arte. nak feltárásaként Un èmpito mitois tűnhetett volna, poietico portato amely azonban sino alla sublima168. Raffaele Spizzico, il sindaco Chieco-Bianchi, Pasquale Morino, Vittore Fiore al Sottano con alle spalle un graffito di Tot benne játékos árzione in enfasi re109
ligiosa (come si nota nelle grandi opere di arte sacra, il martello, il calice, la cazzuola, la medaglia per l’Anno Santo del 1974 – lo stesso anno del film!). Niente di strano o contradditorio dunque – per il suo vitalismo a tutto campo – che quella ispirazione si riversasse anche in erotismo. Più che dal graffito del Sottano, si rivelava in disegni “osceni” – nel senso latino, ob scena – eseguiti nel 1967 sotto il titolo Gineceo da cui ricavò delle serigrafie nel 1976 (una me ne regalò con fare scherzosamente segreto, sul declinare dei Settanta). L’Eros come energia che si trasmette all’arte è del resto nelle corde di molti grandi artisti, anche e forse soprattutto in era moderna. C’era in quel corpo grafico un che di picassiano – e proprio Picasso può rappresentare anche per l’esperienza di Tot l’esempio di artista che manovra acrobaticamente le trappole dei linguaggi nella fase fluida delle prime rivoluzioni del Novecento. Quando si tenta di ricostruire la rete di relazioni dentro le quali si aggirò la scultura di Amerigo Tot, credo che a quella fase di crisi feconda dopo il “ritorno all’ordine” vada rapportata, nello specifico della sua esperienza, la delicata nozione di eclettismo. Quell’impasto tra cultura delle avanguardie storiche, fascinazione del classicismo mediterraneo, radici archetipiche della cultura balcanica, su cui i suoi critici si sono più o meno acutamente barcamenati nella difficoltà di stringerne il senso, oltre la retorica d’occasione. Pastiche singolare perché ormai nell’arte italiana le tendenze o fazioni si erano nettamente delineate anche in scultura, tra osservanti della grande tradizione del Novecento post-Martini, nuovi seguaci dell’aniconismo segnico e strutturalista e protagonisti dell’esplosione informale. Tutti del resto destinati, negli anni Settanta, ad essere superati dall’onda di oggetti e installazioni suscitata dall’arte povera e concettuale. Non era questo certo il problema per Tot, ormai fuori dalle mischie dopo aver portato a misura “classica” la sua inquietudine plastica. Gli mancarono semmai occasioni adeguate per esprimere al meglio la propensione gestuale al “fare grande” in spazi pubblici, come segnalò a suo tempo Giancarlo Vigorelli. La dimensione nella quale si trovò più a suo agio fu quella del bassorilievo, ovvero la plastica “frontale” e sostanzialmente bidimensionale desunta da memorie dell’architettura classica. Il bassorilievo eseguito nel 1961 per il Palazzo dello Sport all’EUR fu salutato come la più grande scultura in ceramica realizzata in Europa, non so se il record resista. Comunque continuo a ritenere che il suo capolavoro resti La Strada ferrata, il bassorilievo per Termini, con 110
tatlansággal rendeződött el. Egy sor naiv nagylelkűséget közvetített a művészethez való hozzáállásában. Mítoszteremtő őrült vágya vitte egészen a vallási pátosszá alakulásig (ahogyan ez megfigyelhető szakrális művészetének a Kalapács, a Kehely, a Vakolókanál, az 1974-ből való Szent Év medál - ugyanabban az évben szerepelt a filmben is! – és a Wojtyla pápának készített Pásztorbot nagyszabású alkotásaiban). Tulajdonképpen nincs abban semmi különös vagy ellentmondásos - az ő mindenütt jelenlévő életöröme miatt történt – hogy azt az ihletet erotikába fordította. Ez még “A Pince” falrajzainál is obszcénabb rajzokban nyilvánult meg- az ob scena kifejezés latin jelentése szerintamelyeket 1967-ben Gineceo címmel készített, és amelyből merítette 1976-ban szitanyomatait (a 70-es évek végén egyet nekem is ajándékozott belőlük, viccesen titkolózva). Érosz, mint energia, amely a művészeten keresztül átsugározódik, egyébként is sok nagy művész vezérfonalában benne van, talán leginkább a modern korban. Volt abban a megrajzolt testben valami picasso-i –Tot tapasztalata szerint is éppen Picasso jelenti annak a művésznek a példáját, aki ügyesen tudta működtetni a stíluscsapdákat a huszadik század változékony időszakában. Amikor megpróbáljuk a kapcsolatok hálózatát rekonstruálni, amelyeket Amerigo Tot szobrászművészete behálóz, azt hiszem, hogy abban a “visszatérés a rendhez” követő krízisben gazdag időszakaszban az ő tapasztalatainak tükrében kellene értékelni az eklekticizmus kényes fogalmát. Amely az ismert haladó szellemiségek kultúrája, a mediterrán klasszicizmus elbűvölősége és a balkán kultúra ősi gyökerei közötti keverék, amelyet kritikusai többé-kevésbé ügyesen tudtak kezelni éleslátással megragadva lényegét, az alkalmi retorikán túl. Egyedülálló válogatások ezek, mert az olasz művészetben akkor már a szobrászatban is kibontakoztak az irányzatok és a stílusok a huszadik század Martini utáni nagy hagyomány megfigyelői, a jelképi és strukturalista anikonizmus új követői és az informális művészeti forradalom képviselői között. Persze nem ez jelentette a fő problémát Totnak, aki immár kívül állt a kavarodáson miután plasztikus nyugtalansága klasszikus méreteket öltött. Számára inkább a megfelelő alkalmak hiányoztak ahhoz, hogy a nonfiguratívhoz vonzódását köztereken nagyban elkészítve a legjobban kifejezze, mint azt Giancarlo Vigorelli említette. A dimenzió, amelyben leginkább jól érezte magát, az a dombormű volt, vagyis az alapvetően kétdimenziós klasszikus építészeti emlékeiből merített homlokzat megformálása. Az EUR Sportcsarnok épületében 1961-ben elkészített domborművét úgy értékelték, mint Európa legnagyobb kerámiából készített szobrát, nem tudom, hogy
169. Locandina della mostra del 1985 alla Galleria “L’Arcaccio”
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le spezzature ritmiche e i solchi concentrici, lamellari che introducevano il movimento e la profondità dello spazio-tempo. Sembra ancora tener botta, a distanza di mezzo secolo, con le fughe e diramazioni spaziali progettate per gli interni del MAXXI, il Museo del XXI secolo, da Zaha Hadid, protagonista dell’architettura post-moderna. Per una piccola mostra organizzata nell’Arcaccio di Modugno dagli amici baresi per onorare nel 1985 la memoria dell’artista scomparso l’anno prima, scrissi un breve testo di presentazione. Vi sostenevo che Tot ci aveva ammonito “a non chiuderci dentro le asfittiche formule, tra avanguardia e tradizione; ma a far vincere sempre, nella necessaria ricerca del nuovo, il senso dell’umano”. A rileggere oggi quelle righe, ci ritrovo una – pur inevitabile nell’occasione – punta di retorica. Il senso umano della sua arte, Amerigo ce lo aveva consegnato, con più profonda semplicità, già dal 1954: “Noi non ci svegliamo tutte le mattine con gli stessi sentimenti del giorno prima”.
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ez a rekord fennáll-e még. Mindenestre továbbra is feltételezem, hogy főműve A Vasút, a Termini pályaudvar domborműve marad, ritmikus osztásaival, koncentrikus barázdáival, lemezeivel, amelyek érzékeltették a tér-idő mozgását és mélységét. Még fél évszázad távlatában is úgy tűnik, kiállja a próbát - Zaha Hadid, a posztmodern építészet fő alakja által tervezett, a Huszonegyedik század múzeumának - a MAXXI-nak a belsejében található fugákkal és térbeli elágazásokkal teli műve. A Modugno-i L’Arcaccio Galériában Bari-i barátok által 1985-ben szervezett kis kiállítás alkalmából, amel�lyel az előző évben elhunyt művészről emlékeztek meg, írtam egy rövid kis bemutató szöveget. Abban hangsúlyoztam, hogy Tot arra tanított minket, hogy ne zárkózzunk be a hagyományos és az avanguard közti fullasztó sablonokba, hanem inkább hagyjuk győzedelmeskedni az emberi érzéket a szükséges új keresésében. Ha ma újraolvasom ezeket a sorokat, találok bennük némi fennköltséget – még ha az alkalom miatt ez akkor elkerülhetetlen is volt. Művészetének humánus jelentését már 1954-ben átadta nekünk, a legmélyebb egyszerűséggel megfogalmazva: “Nem ugyanazokkal az előző napi érzelmeinkkel ébredünk fel minden reggel”.
ANTOLOGIA DOCUMENTI CRITICA TESTIMONIANZE
170. Zoltán Huszárik, Ritratto di Amerigo Tot, 1949, disegno. Bari, collezione privata
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Le confessioni di Tot Testo raccolto da Gino Alliata e trascritto in E. VILLA, Tot, Ed. La Palma, Roma 1954.
Un documento di notevole importanza, testimonianza quasi diretta dell’artista stesso, dalla quale si rilevano i dati più salienti del percorso artistico dello scultore ungherese, è del giornalista Gino Alliata che in prima persona, percorre ed espone tutti i momenti della vita dell’artista, attraverso le tappe più salienti e determinanti della sua arte. Amerigo Tot si confessa, ed è questo il titolo che Alliata dà a tutta la narrazione: Le confessioni di Tot. Il testo si presenta descrittivo e ricco di particolari. È un alternarsi di momenti in cui prevale la creazione fantastica a momenti di forte e cruda verità, che hanno segnato la vita e il carattere dell’uomo Tot, prima che dell’artista. Mi dicono che sono nato a Csurgo, in una vigna d’Ungheria, d’autunno, e che mi hanno lavato col mosto. Io devo crederci, perché in qualche luogo devo essere nato. Bambino, cavalcavo un cavallo di legno dipinto per la campagna ungherese. E questo è vero. Ho infatti la foto autentica dell’epoca, che mi raffigura come un infante. Mio padre, uomo semplice e villico, mi confidava d’aver avuto paura del mio destino. Qualcuno ha soffiato sulla mia infanzia, facendone volar via una buona parte, se ora di essa ricordo ben poco. Una collina con la testa di luna; ed il pupazzo enorme camminava nelle mie notti di fanciullo. Quel pupazzo è la mia infanzia. I discorsi di quel pupazzo li avevo tutti in mente. Il giorno cercavo di rifarlo grande, al vero: la creta cresceva sulla creta finché io, piccolo, non vi finivo dentro con tutte le scarpe come quando ci si annega. C’era, non lontano dalla mia casa, Bakony, il bosco; non andai mai a rubargli gli uccelli dal nido, perché gli uccelli me li fabbricavo da me. E così per i pesci del lago Balaton. Avevo cominciato a riempire quello spazio e quell’acqua d’Ungheria delle mie immagini plastiche e libere, ripopolando le origini. A proposito di Balaton, che ha tutte le fisime di un mare, devo dichiarare che esso mi copiava, trafficando pietre lunate sul lido. Una leggenda cerca di creargli un alibi mitico: quello del pastore e delle sue capre che scesero nel cuore del lago, all’addiaccio, paradiso delle capre. In ogni modo la leggenda deve ritenersi come attribuita a me. Tutti conoscono i miei sassi: i sassi di Tot, a corno di luna,
a uovo, a zoccolo, a stella. Porto sassi in tasca. Qualcuno per questo mi rassomiglia a George che modellava –lui però come un dio scempio e sensuale- col pollice un topo vivo nella giacca. Forse è questo il momento che tralasci di parlare e mi metta a ridere. Anch’io sono stato levigato come un sasso; levigati come sassi siamo tutti nella pianura d’Ungheria, alveo dell’aria, la quale sul mondo come pietre e colline ci forma e ci raspa, e ci rotola verso le fonti d’Europa. Voglio subito sgombrare la mia vita dalle leggende, per meglio vederla, dritta e chiara, fino in fondo. La mia prima giovinezza è un’immagine di terra. Vi dirò del resto che ho imparato a scrivere sulla sabbia per non perdere tempo, lavorando. Il mio maestro spianava un tratto di terra e vi faceva col dito le lettere. Il mio primo approccio con l’alfabeto, fu così, precario, labile da sparire, a un soffio, nella memoria. Badate, comunque, alla insospettata materia plastica: la cenere, di che è fatto l’ultimo racconto di certi miei antenati che amavano come me la luna, e in più sacrifici, il rogo e il cavallo bianco. Ogni mese davanti ai loro occhi, (anch’io la vedevo), a ricorrenza di cabala, la notte, volava per i quattro venti un cavallo di cenere alla luna. Misi giudizio a sedici anni, troppo presto, se pensate che sono di razza longeva e con un nonno di centoquattr’anni in fregola, mandato via per sempre dal paese con una pallottola in corso, tra la delusione delle ragazze. Il mio primo viaggio lo feci per Dessau, in Germania. Il “Bauhaus” era una istituzione seria a Dessau, cosicché per entrarci dovetti tornare precipitosamente ai miei giuochi di ragazzo, con la creta. Il mio maestro fu Moholy-Nagy; ridotta la sua essenza in un libro, lo tengo ora nello scaffale della libreria, ove coabita con vasi, sigarette e col mio gatto Demostene, che ci va a dormire la sera. Il mio secondo viaggio fu a Parigi. Fame nera. Undici mesi di soggiorno che riuscii a dividere in parti uguali allo stomaco, a Maillol, alla Senna e a Mademoiselle Dupont. La verità è che mi alimentavo col sonno, in una sicuramente celebre soffitta, e se, all’alba, il lattaio passava gridando: “Monsieur, le cordone!”, io affiorava gonfio e giallo tra le tegole della città, tutt’un sudore per aver allargato invano, dal mio collo, la corda che 115
pareva nel dormiveglia mi impiccasse. Il lattaio boia inesorabile. Il lattaio- boia non mi capitò mai di incontrarlo. Ben presto mi stancai e tornai in Germania, al nord. Volli rifare da me, con giudizio, i primi passi della vita, ma stavolta sulle tavole di un piroscafo; bisognava saper camminare; avere una misura, ché muoversi là sopra è pensare; la vita sbocca a ogni passo, sul mare che guarda da tutte le parti. Attento uomo-marinaio, devi camminare sicuro come fossi sulla terra. Mi vestii tutto in blu, e mi imbarcai. (La mia vita sta sempre su estremi mobili). Mi colpì di essere entrato a contrasto di colore coi gabbiani. Facevo il mozzo, l’ultimo chiodo della nave; e tante cose mi accaddero coi gabbiani. Tanti anni ora mi sono trascorsi ed è bene che essi riposino in pace, quella che dà il mare. Una volta per tutte bisogna che ci abituiamo a rispettare la morte in ciascuna specie. Toccai Schwinemunde, Konstadt, Helsinki, le isole Aaland, Stoccolma, Schwinemunde. Feci un giro preciso. Ma di ciò presi coscienza, gradualmente. Schwinemunde si situò nella mia memoria, anche Kronstadt e Stoccolma. Cominciai in quelle città ad arrivare in anticipo sulla mia nave; ad incontrare, prima, donne che mi piacevano a Kronstadt; ad accendere le luci innanzi ora nelle strade di Helsinki; a far saltare, mangiando arachidi, con un calcio ben assestato latte vuote tra le case delle Aaland e la memoria. E avanti, su e giù, per il mare e gli uomini, quando il cerchio mi si chiuse; e dovetti andarmene, scendere, per amor di libertà. Ed eccomi a Berlino. Nella Kant-Strasse geometrica portai accanto a signori compassati, il passo sbilenco e affrettato del marinaio che s’ubriaca per controbilanciare il moto della nave e di quando andavo a spaccare il barile di caviale rubato a un angolo di mare. Mi aggregai a Otto Dix, capo degli artisti rivoluzionari, per scolpire e dipingere in libertà, nella quale però vidi meravigliosamente rompere le nostre statue e bruciare le nostre tele, tante tante da far lenzuolo e avviluppare la Germania. “Entartete Künstler”. Mi lasciai dietro quest’ insegna da campo di concentramento, dove andai realmente a finire; insegna di tragica traiettoria che era la Berlino nazista, e venni in Italia, per istinto e a piedi. Fuggivo dal labirinto e la prima strada che mi capitò sottopiede, la presi; sentivo che comunque sarei arrivato a Roma. Noi non siamo Minosse, semmai Teseo, e un solo filo ci basta. Vinto un «Prix de Rome», alloggiai alla Accademia d’ Ungheria, a via Giulia, nella stanza di Leone XIII, insieme con una donna incinta -la prima di una mia serie famosa! Più tardi mi trasferii in via Margutta, nascosta e quasi murata, bara delle strade. Su questo spazio potei finalmente impiantare una statua: quella del guerriero Scanderbeg, vittoriosa su critici e turchi. Allorché la feci, il cavallo prese in forza 116
dell’abitudine la strada, e perciò nessuno l’ha mai vista su un piedistallo. Concorso Scanderbeg 1937! Concorso uguale ad altri concorsi, per me e per gli altri; generato per scissione: ameba delle arti; mi impressiona la sua durata fisiologica. Sistemai gli affari di cuore, e mi ritirai in casa due gatti che chiamai uno Genghis Khan e uno Demostene bleso come un uomo; e non è semplice impressione la mia se quand’ egli s’ esprime, sento uomini e gatti di fuori scoppiare a ridere. Ho allora compassione di lui e gli disegno una madonna col bambino ovvero un topo. I gatti ridono per un nonnulla, e così s’adirano, come i poveri. Vi consiglio perciò di fare attenzione ai gatti e ai poveri di questa epoca. Per conto mio, nelle mie opere è quello che faccio. Ma dopo pochi anni perdetti Genghis Khan. Lo ricordo con tutta serietà alle vostre preghiere. Genghis Khan, il gatto-eroe, che scendeva le scale come fossero i Carpazi e parlava con me da pari a pari, ha il gran merito d’aver reso inesatta la morte. Un gatto-eroe può entrare dalla morte, senza che questa se ne accorga e scombinarle tutto. Vi dirò. Cominciò la fine del gatto Genghis Khan, di pomeriggio, quando l’aspettai che si appisolasse tra le mie braccia, com’era solito, per compensare le notti in bianco passate con le gatte puttane. Salì e scese lentissimo, quel pomeriggio, la topografia disordinata del mio studio, tutto bevendo con gli occhi. Almeno io ebbi questa impressione. Poi venne da me, e mi girò intorno le gambe, con la testa e la coda. Stimai il principio d’una nuova abitudine di Genghis Khan. Mi si arrampicò sulle ginocchia, e poi sulla spalla; mi leccò la faccia con la lingua ruvida e d’un balzo fu a terra; fissò a lungo l’uscio. Il mio corpo deve averlo disorientato. Lo chiamai e mi saltò di nuovo sulla spalla. Io feci per alzarmi e lo portai in avanti un passo nell’eternità; vidi correre i suoi occhi indietro vertiginosamente, e fuggì, con un miagolio che non avevo mai udito. L’aspettai. Non è ancora tornato; si farà vivo. In verità non so di quanti giorni abbisogna l’eternità di un gatto. Vi autorizzo pertanto a stabilire la data della scomparsa di Genghis Khan, gatto-seme-cometa, come la più importante nei fasti di via Margutta. Io l’ho fatto e mi sento più tranquillo. In questo mistero doloroso della dipartita del gatto Genghis Khan, dunque, si contempla la possibilità di andarsene definitivamente per proprio conto e lasciar là, a un cantone, imbambolata la morte. Dei miei gatti ho ereditato il graffio vivo sui muri; con un chiodo ho tracciato figure senza sbaglio; riesco gli uomini a farli camminare su pareti di fiere e mostre, sulle pareti lisce d’Italia. Il mio lavoro è continuo e la mia arte s’acclimata nei “dissensi”. Prego, accettate la mia scultura come un albero che si alza dalla terra. “Bisogna scoprire le cose come ha inventato
l’architetto greco la colonna dorica”. Ho molte idee a proposito, ma dubito che vi possa essere gradevole un’estetica scelta, una scultura come fonte di luce creata con l’aiuto della forma nello spazio. Poiché la luce riempie legni e pietre, fa sedere le mie donne; le alza, mettendole in fuga; e fa crescere loro le braccia sul tronco: posizioni essenziali del mio lavoro: posizioni chiare, di moralità. È la stessa luce che sceglie e s’atteggia nelle altre mie forme astratte e nella ceramica, mescolata con quarzo di mare - ch’io vado a prendere tra le alghe del fondo - con fuoco e argilla, midollo delle mie fantasie. Ho il dovere di affermare che vivo – e in ciò sono sincerissimo- sull’anticipo della luce: principio attivo della mia scultura. Non sopporto lo spazio-deserto, il tempo-deserto; con quest’ultimo poi, categoria che può con facilità sfuggire ai miei strumenti professionali, sono arrivato al punto che lo domino, lo fermo quando voglio e se mi va, “a richiesta”; e lo torturo perfino in modo spicciolo, rovesciando il suo congegno, l’orologio, sulla mensola. Mi diverto ad ascoltare la fatica delle sue lancette che battono proprio il fondo del tempo. Una fatica allo stato puro. Ricevo periodicamente notizie delle mie statue, le quali godono ottima salute e dicono di stare a comodo in case e giardini. Nel rispondere le esorto sempre a non dimenticarsi di far visita a persone con le quali ancora non si conoscono. Capita
che esse tornino, ma per poco, da me o mi si muovano quelle accanto, e con esse balli flamenco e baion solo nello studio davanti allo specchio, che ci sprofonda a piacere. Io scompaio per ultimo, perché sono più alto delle mie statue, e per i miei capelli folti e mossi, e mi trattiene, allargandosi, una incorruttibile giubba da marinaio. Chi mi vedesse in quella condizione – altre volte canto alle mie statue la musica del mio paese, in ombra - di me credo riderebbe. Ma che aspettano, per Dio, taluni a cavarsi i difettosi occhi per vederci di più? Ho scagliato pietre su piazze e musei, al vecchio e al nuovo, verso il nord e a sud, per peccato o per metamorfosi; ma quello che dovrei stabilire ancora non posso. Può darsi che tutto quello che ho qui detto me lo sia inventato di sana pianta. Una cosa è certa, che mia madre è una Nasali, nipote di un capomastro muratore italiano, e mio padre si chiamava Tot. Questa confessione dello scultore Tot, io ho qui raccolto e trascritto secondo coscienza, dato che c’è qualcuno che può chieder conto e ragione di gesti e pensieri e che pare, a quanto riferiscono i giornali, si sia già messo all’opera, precisamente nella Valle di Giosafat, paesaggio ultimo e rovinato dalle trombe
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Antologia critica Le testimonianze critiche sono tratte dal testo di M. BOLOGNA, Amerigo Tot, Ed. Arco, Roma, p. 113-117.
Ludwig Curtius (1948) Da vari anni seguiamo con grande interessamento lo sviluppo di questo scultore. Sembra che in lui lottino incessantemente ideali d’arte in contrasto tra loro. Conosciamo alcuni suoi ritratti le cui movenze, nell’atteggiamento, come pure nel gioco delle linee del volto, sono accentuate, seguendo Rodin, fino all’espressione la più eloquente e le cui superfici irrequiete e sciolte, tentano l’artista verso l’impressionismo. Tra i suoi disegni a carbone, tracciati con mano svelta e sicura, le teste consumate da un ardore interno tradiscono l’influenza di Kokoschka, ma d’altra parte ha studi di movenze dal corpo femminile nei quali continua la celebre maniera di Rodin. …Qualche anno fa ha suscitato la nostra più grande meraviglia con le facciate di una cappella nel Camposanto di Bologna, nella quale è rappresentato «Il giudizio universale». In quelle varie centinaia di figure, Tot dimostra una ricchezza di fantasia illustrativa che fa ricordare Gustavo Doré. Infine abbiamo visto questo spirito irrequieto, questo spirito in continua formazione secondo i più nuovi ideali, lottare con la materia per dare forma cubistica e chiusa al nudo femminile si che le superfici grandi e lisce si sciolgono in una semplicità e in una levigatezza come conchiglie o ciottoli levigati dall’acqua. …L’opera di Tot ci è apparsa tanto più magnifica quanto più abbiamo cercato di compenetrarla. E ci ha infine riempito di una felicità rara. Ecco: questa epoca che i più pessimisti ritengono incapace di creare un’opera d’arte che sia all’altezza del grande passato è riuscita a creare un tale capolavoro che raggiunge quelle vette. Una grande individualità d’artista, ritornando alle leggi della vecchia arte europea, assimila l’antico spirito e sull’esperienza della tradizione si avvia verso mete nuove. Alberto Moravia (1948) La scultura è l’arte per eccellenza antica: ossia antropomorfica, aliena dalle astrazioni, umana. Gli antichi credevano all’imitazione della natura il che prova che erano naturaliter artisti perché tutti gli artisti credono in fondo all’imitazione della natura e quale imitazione più perfetta, più parlante della statua alla quale per giunta a fingere la vita si dipingono gli occhi, i capelli, la bocca e le guance? Gli antichi volevano in 118
tal modo rivaleggiare con gli Dei creatori dell’uomo i quali hanno fatto gli uomini a loro somiglianza. Le città antiche erano delle vere foreste di statue e non era raro il caso che queste statue parlassero oppure si tingessero di sangue oppure ancora lasciassero cadere dai loro bianchi occhi qualche lagrima profetica. Si narra di uomini di donne innamorate di statue e questo non mi stupisce: ai giorni nostri pur così scettici, il simulacro di Guidarello Guidarelli ha sovente le labbra sporche di rossetto. Detto questo, che ne è oggi della scultura? Tra il museo, l’estetismo, la decorazione da giardino, lo scavo, il feticcio negro e il soprammobile, diciamolo pure, la scultura se la passa maluccio. Abbiamo l’impressione che nella inevitabile fine di tutte le arti profetizzata quasi un secolo fa da Hegel, la scultura sarà la prima a infilare la porta di uscita. Per altro ci sono ancora gli scultori. Interroghiamoli, e domandiamo loro che ne è oggi della scultura? Il nostro amico Tot ci dà una risposta ottimista. Conosciamo da tempo le scultura di Tot, in cui le tentazioni del verismo sono combattute validamente da un senso molto preciso di misura e di integrità formale. Oggi vediamo Tot tracciare con mano sicura, di un moderno e ben compreso espressionismo, disegni contemporanei, in cui la sciagurata vita del tempo è fermata nei suoi aspetti più funesti e micidiali. Tot ha sentito la guerra e gli orrori della guerra non alla maniera di Goya bensì secondo il gusto grafico e irritato di una sensibilità mitteleuropea. Tot, italiano di adozione, è ungherese di origine e dalle pianura del suo paese ci porta il senso di una umanità semplice e dolorosa cui non sorridono le evasioni marine oppure le esalazioni della montagna. Tendiamo dunque l’orecchio, in quest’ occasione, a questa voce amica. Carlo Levi (1948) Che mai si può aggiungere a quello che ha scritto Moravia sull’arte in generale, e sulla tua in particolare? Poco o nulla, a mio avviso, se non si voglia entrare in una analisi critica dettagliata. Non parlerò dunque di Hegel, né della origine, sviluppo e morte delle arti, né di Picasso, né di Moore, né di Arp e Brancusi, né, per restare a casa nostra di Martini o di Viani, o che so io. Guardiamo queste sculture per quello che esse sono, una per una, dando una volta almeno, per conosciute e risolte
(o sconosciute e insolubili) le questioni generali di estetica e storia dell’arte; e lasciando ai tecnici della critica i problemi dei rapporti e delle influenze e derivazioni. Guardiamole una per una, e cerchiamo in esse il gusto attraente per una materia antica, per quello che sa di secoli e di tempo paziente, per la corteccia degli alberi, la pelle dei rinoceronti o le pietre lisciate dall’acqua e corrose dai geli. Quel lottatore ne ha dati e presi dei colpi, nella lunghissima vita; quel nobile romano deve aver vissuto per secoli, sì che le sue guance e il suo collo hanno assunto le pieghe stesse della pelle degli elefanti; quello scrittore e giornalista piemontese, a forza di girare il mondo per anni e anni senza fine, si è arrotolato come una boccia. E le donne, oh, le donne, nude, accovacciate, rinchiuse, sono tutte, più o meno palesemente da chissà quanto tempo, incinte, in una gravidanza di pietra; in attesa, fra chissà quanto tempo, della nascita. Renato Giani (1950) Noi certo si è destinati a morire tutti, ma gli artisti di oggi che ancora che per la pittura o la scultura, possono apparire incerti su una via e su una tendenza, sono la cronaca migliore del nostro domani; saranno i Tot e suoi sassi levigati l’affermazione, la scultura da cavalletto dell’epoca. La scultura di Tot non è mai episodio: questo lo rammenti chi legge o chi va a vedere sue sculture; la “tragedia” (si ricordi “La gravida”) nasce non da una oggettivazione di fatto o aneddoto, ma proprio dalla forma, dalla violenza e dalla crudeltà impiegate nell’agire su queste forme, muoverle, penetrarle, esporle: qua il tempo può scorrere quanto voglia: la scultura di Tot resterà sempre scultura ed azione, invenzione: se è facile vivere in un rifugio, più difficile è attraversare la strada, le strade: e a Tot questo piace, il pericolo dunque. Da questo gusto anche metafisicamente catastrofico la scultura d’asprezza di Amerigo Tot. Milton Gendel (1954) ….One art event that is available even during the midday doldrums is the new aluminum frieze, by Amerigo Tot, which runs the length of the concrete-and-glass canopied entrance to Roma’s modern railroad station. Along the edge of the jaunty, humpbacked overhang, whose organic message the Romans have recognized by naming it “the dinosaur”, the architects hung a panel about 8 feet high by 428 feet long. This long narrow strip, irreverently called “the shirt-tail” by local wags who doubt its utility or suitability in the composition of the mail façade, was intended to carry a decorative motif. Five years ago the Government invited Italy’s most prominent artists to submit ideas and designs for the frieze. Various solutions calling for execution in mosaic, ceramic tile and cement were rejected
in favor of Tot’s abstract, angular, repeating design arranged in layers of aluminum. The “shirt-tail”, which served occasionally as a billboard for civic slogans, has now been tucked in. Tot’s aluminum bas relief pleasantly enlivens the entire front of station by providing a variation in texture and constantly changing band of light and shade. From a distance discernible only as a rippling of the surface, almost a moiré effect, close up it provides a series of sharper notes that succed in relieving the extravagant and monotonous length of the strip. Emilio Villa (1954) …Se qualcuno pensasse, qui, che la sua scultura, per quanto si è detto, sia invasata di tentazioni letterarie, sbaglia. È vero che i suoi pezzi si presentano sempre in due sensi, aperti a due letture possibili: uno letterale, che è il senso energico, spontaneamente, astrattamente energico; e l’altro allusivo, e allora letterario, quando letteratura coincide naturalmente con la dinamica e la precisa descrizione delle manifestazioni civili. La grande scultura ha sempre, dentro, questi due fronti. E solo la grande scultura. Un’opera così libera, così aspra e generosa fin nel suo frammento, accaduta giusto quando le superiori confidenze di questo eccellente mestiere erano attese, desiderate, necessarie, chiude quasi a questo limite la sua iniziale maturità, epica nella sua ostinata figurazione tra caotica e monumentale, tra spontanea ed eloquente, sommaria e imponente: e viene abbandonata al flusso della sua naturalezza, insistiamo, caratteristica, esemplare. Quella, invece, che è già enunciata in apertura, la seconda fase, è ancora affidata a una sua segreta meditazione: e ciò che possiamo prevedere, in modo assoluto, con profezia quasi facile, è che l’essenza dei suoi aspetti potrà variare all’infinito, senza mai mutare, anzi solo intensificando la sua manifestazione originale. Però, se non possiamo ora prevedere i gesti della sua attuale irrequietudine, capire prima che siano accaduti i fatti della sua meditazione e dell’attesa, è però rilevante, come storia propria e quasi tecnica dello scultore, la coerentissima e singolare maturazione attuale della sua tematica, impostata anno per anno, negli anni delle furiose ricerche, e doverosamente consegnata a prove sicure ma brevissime. Quello che poteva essere sembrata una tematica di ordine poetico, tanto da naturalmente autorizzare tutte le idee letterali e letterarie possibili, era, al contrario, germe di assoluta resistenza, di crescita sicura, se doveva alla fine concretarsi in prove di grandiosa stesura e di destinazione addirittura pubblica, contribuendo in maniera decisiva, e unica sostanzialmente, alla diffusione dei nuovi canoni espressivi: due grandi opere fondamentali nella cronistoria dell’arte contemporanea saranno da conside119
rarsi le porte del salone delle conferenze del palazzo FAO in Roma, stupendi graffiti su formica, del 1951, e il frontone, in alluminio anodizzato, della grande pensilina esterna della stazione Termini. I temi enunciati nel lungo studio, e nel corso dei passaggi e delle variazioni, dei temi che, per convenzione definitoria, chiameremo “infernali”, oramai sceverati da ogni sovrastruttura atmosferica, irrigiditi e quasi essenzializzati nella forza pura del gesto, diventano i segni ritmici di strutture mentali nuove ed esemplari. La continuità ideale tra i disegni del 1948, l’opera graffita del 1951 e l’attuale apparizione del grande fregio (superba idealizzazione di paesaggi, di linee geometriche, di curve altimetriche, di essenziali cenni dinamici, di acuti riferimenti a una cultura meccanica risolta in puro ritmo in una violenta corsa di timbri) va considerata come la manifestazione di una mano musicale, fervida, coerente, tra le più potenti che abbia conosciuto la scultura moderna. G. B. Norei (1955) …C’è sempre nei lavori di Tot una tensione che dall’interno spinge le forme a ingigantirsi, una forza misteriosa che le muove a riempire più spazio: quando le guardi ti danno la sensazione che se le lasci lì e poi ritorni, le troverai ingigantite a dismisura, avranno riempito lo studio e stanno per sfondarlo. È questa forza ad animare le cose di Tot, questa permanente sete di spazio, come se gli occhi e i nervi e le mani fossero sempre, ancora sempre rivolte alle grandi pianure e ai grandi cieli del suo paese, la pianura d’ Ungheria, come lui dice: “alveo dell’aria, la quale sul mondo con pietre e colline ci forma e ci raspa e ci rotola verso le fonti dell’Europa…” e a questa idea dello spazio immenso, così immenso che non ci si riesce mai a riempirlo, è forse l’idea che fa la persona e la personalità di Tot, l’idea che lega insieme in un filo impalpabile tutte le cose che ha fatto in tanti anni di lavoro; pietre e sculture di donne che sembrano pietre e teste che ancora sembrano pietre, e la grande fascia della stazione di Roma che sembra una roccia sfaldata e dove il ritmo non si chiude mai ma tende ogni momento ad aprirsi, a continuare nel cielo. Qualche cosa che per altre vie e per altri riferimenti ci ricorda la “colonna senza fine” di Brancusi, quell’altro unico scultore contemporaneo venuto dalle lontane pianure. Ma non vuole essere un parallelo. Tot non conosce la mistica di Brancusi, e non vuole rifarsi, come Brancusi, a una moderna magia della forma. Non crede, in fondo, nella forma: crede nello spazio e in una specie di respiro nascosto e silenzioso che pervade gli spazi del mondo come il respiro placido di una grande bianca donna che dorme. Capire quel respiro, capire la palpitante realtà dello spazio è il mito di Tot, mito unico nella storia della cultura contemporanea. 120
Lionello Venturi (1962) …Arrivato in Italia Tot aveva sentito la grandezza dell’arte del Rinascimento e la bellezza dei miti classici. Fu un incoraggiamento di pensare che lavorando il bronzo egli era un nuovo Vulcano. Nello stesso tempo sentiva di essere un «barbaro», e vivendo in un mondo di tanta storia si rifugiava nella preistoria. L’età del bronzo divenne la sua età ideale, gli uomini che prima inventarono il bronzo furono i suoi eroi: scavare nella roccia, entrare nelle caverne, gli sembrò il modo migliore per trovare la sua arte. Aspirare al mito dell’età del bronzo fu la ricerca di una felicità impossibile, dopo i fatti di Ungheria del 1956 che straziarono Tot. Le articolazioni delle macchine in bronzo divennero drammatiche e appena le sue immagini si erigevano verticali, brevi torri tormentate e forti, egli realizzava le sue Proteste. Dal mito dell’età del bronzo alla protesta contro la civiltà odierna sono i due momenti tra cui oscilla la fantasia di Tot. Le ultime sculture sono macchine con accenni all’immagine umana, dura, forte, combattiva; sono delle sfide alla terra e al cielo. Basta guardare le sculture di Tot per capire come egli abbia sentito la necessità della pittura (dal disegno alla incisione alla lito al quadro) per integrarsi, per entrare nella vita del sogno dopo tanto duro lavoro, per distendere nervi e volontà e godersi un momento di libera fantasia. Ciò gli ha permesso di darsi al gusto della sfumatura, che la scultura non gli consente. Ivi il vuoto è il suo tormento, ma la sfumatura gli permette di riempire i vuoti pur mantenendoli. Perciò la grafica, in specie, di Tot è serena anche se malinconica; e si distacca dal peso delle forme, che appaiono essenziali e delicate. Sorvolano sulla terra e raggiungono il talvolta il senso dell’al di là. Questi risultati sembrano magicamente aggirare la volontà dell’artista, il quale anzi vuole ricollegare la grafica alle sue sculture. Alcuni motivi sono quelli inventati anteriormente per le sculture, come caverne o rocce scavate a giri concentrici. Persino il colore (in lui avarissimo) intende richiamare le materie usate nella scultura. La fantasia di Tot, uno dei protagonisti della cultura plastica europea, prevarica, prevale con la sua libera «forza poietica» sulla «volontà», lo sfumato rende delicate le forme: e chi le contempla entra nel sogno della loro grazia. Denys Chevalier (1962) …et Amérigo Tot par exemple, il figure en bonne place parmi les découvertes personnelles que m’a permis, dans le domaine de la sculpture, la XXXI Biennale. José-Augusto França (1963) …et du Romain Amerigo Tot (peut-être, a nos yeux parisiens, la plus grande revelation de cette exposition), «forms fermées» également, mais qui sont là comme des objets mag-
iques, comme des «signes» - cette ènorme pierre toute marquee de mystérieux coups de ciseau, ces deux énormes bronzes totémiques, d’une rudesse magnifique, haut dresses contre le ciel que nous sommes forces d’évoquer. Elio Mercuri (1970) …Questo è il cuore antico di Amerigo Tot; o meglio l’Anima di gran parte della sua scultura, ma in lui c’è ancora molto altro, il molto altro appreso attraverso le avventure delle capitali europee (pensiamo soltanto all’esperienza della Bauhaus) ma soprattutto scavato dentro di sé. Forse pochi scultori contemporanei sono riusciti a dare sostanza e immaginazione ai princìpi o idee archetipe riposte nell’inconscio. L’amore per la libertà di Tot è felice concentrazione del potere fantastico e al tempo stesso bisogno e certezza di totalità; la globalità della psiche, di cui la coscienza è, proprio come l’inconscio, parte costitutiva. È sintesi laboriosa e tenace di questi mondi nell’unità di una forma assoluta e pure individuata; se è al tempo stesso ritmo, cioè slancio e spazio. Siamo all’elemento più magico della sua scultura, questo ricercare il momento del rapporto assoluto tra la forma e l’essere, o meglio, la totalità del reale. Ciò che gli sta a cuore non è la finzione, vincolata all’oggettività come percezione esterna, ma il corpo stesso delle cose, il momento del contatto, o già immersione dell’unità. Cioè la ricerca della struttura, o segreto di ogni forma. Per questo l’effetto di ogni sua opera è la sensazione di una tensione arrestata che ci immette immediatamente nel mistero. Oltre la zona d’ombra, la scoperta della vita, come energia segreta ed inesauribile che è poi in noi e che l’artista con mano sicura ci affida, nella felicità di una creazione senza pause e cadute. Deszö Keresztury (1970) …L’arte di Amerigo Tot-Imre Toth si è educata allo spirito, al clima e all’umanità del Mediterraneo; ecco perché egli è familiare anche nel mondo del Balaton. Già Nietzsche apprese da Hölderlin, e questi dalla tradizione millenaria, che la nostra concezione dell’antichità può essere integrale se dietro i lumi disciplinati dalla ragione incorporati in Apollo, noi percepiamo la presenza delle febbri e delle passioni, dei furori dionisiaci; ne sorriso altezzosamente sereno delle veneri, scorgiamo il terrore della testa mostruosa della Gorgona, e viceversa. Ultimamente ci si è dimenticati spesso di questa ambivalenza. Gli scrittori della geografia amorosa, per esempio, danno rilievo oggidì, fin troppo, ai colori, alle luci tenere, soavi e chiare, nei loro quadri che rappresentano la regione del Balaton: i dolci pendii, l’aqua serica, l’allegria dell’estate, il silenzio malinconicamente nobile dell’autunno. E ora di ritornare, con l’attenzione, anche ai lineamenti più ombrosi, demoniaci e
tormentati dalla bufera, di questo volto: ale visioni dionisiacogorgonee, ai tripudi feroci della natura del lago. E in questo tentativo di recupero possono forse esserci d’ausilio gli autentici poeti ed artisti del Balaton, quali Gyula Illyès e Tibor Dery, i quali, lottando con le chimere del trapasso pronte all’assalto, hanno raggiunto qui, in questi luoghi, nuove altezze liriche; Gyula Takàts e Miklòs Borsos, i quali, or o non molto, si sono inabissati in quella profondità arcaica, tumultuanti e riposanti nel seno di bellissime apparenze, ove la civiltà greco-romana stava aspettando la sua rinascita. Essi tentavano queste incursioni per far vedere più coraggiosamente la viva presenza di queste stratificazioni nel nostro mondo patrio: il cuore antico del presente. Qualcuno potrebbe domandare perché io sto parlando di tutto ciò inaugurando la mostra di Amerigo Tot a Tihany. Ma chi ha prestato attenzione ai pensieri qui espressi e li ha seguiti fino in fondo al loro significato, non potrà dubitare: si è parlato continuamente dell’arte di Imre Toth. Si diceva che un grande artista giramondo, il quale ritrova il suo io autentico nel mondo del Mediterraneo, mondo che divorava e partoriva Dei e civiltà, è tornato a rivedere la patria d’origine, e qui egli viene accolto da una vita che gli è familiare, che attinge a fonti identiche a quelle sue e che lotta per raggiungere scopi affini a quelli suoi. Anche come «parenti» possiamo quindi dilettarci delle proporzioni umane delle sue opere, del suo realismo vigoroso che penetra nel profondo delle belle apparenze e rivela con coraggio, energia e senso della misura il sorriso felice e l’orrore vertiginoso delle vita, la quiete della materia in sé riposante e l’irrequietezza del pensiero guizzante. Nelle sue opere possiamo attingere ispirazione per ricercare e rievocare le autentiche, essenziali visioni del nostro nuovo mondo, per affrontare vittoriosamente le forze che sommuovono la nostra vita: gli angeli e i diavoli della nostra epoca, i geni puri e i demoni mostruosi, per intuirli alla luce della ragione illuminata e per rappresentarli con la magia dell’arte. È questa la ragione ultima delle opere che sfilano davanti a noi, siano esse intime o sfidanti, fedeli alle apparenze oppure indagatrici dei segreti delle strutture della realtà, siano esse felici dispensatrici di serenità o istigatrici di protesta, rappresentino il mondo tradizionale dell’uomo oppure l’orizzonte dei segreti sovraumani. Il messaggio di Tot è un messaggio di fede, una proposta di fede: sciogliere gli enigmi degli angeli e dei mostri della nostra epoca, perché solo sfidandoli, denominandoli, raffigurandoli, potremo forse finalmente dominarli. Massimo Grillandi (1973) Non dimentichiamo che lo scultore ungherese fu grande amico di Quasimodo, altro innamorato di Roma, con cui trascorse una intera estate a Ravello. Tuttavia Roma non è priva di frutti, anzi per Tot è una vera cornucopia. La Cerere capi121
tolina versa nel suo bagaglio di esperienze le forti impressioni plastiche antiche rinascimentali, i bassorilievi delle colonne e degli archi, e l’artista, per proprio conto, provvede a filtrare il tutto con l’antica rudezza pannone. Venuto come in ostaggio al tempo di un suo personale Traiano, mette a profitto la realtà umana con un equilibrio che va dalla figura, sempre più sommariamente sbozzata, quasi dissolta nel vorticante caos primigenio, con gli influssi paesistici, culminanti nella perfetta stesura di uno stato d’animo maschio e iracondo. Nasce così l’individualità romana della scultura di Tot, le sue Baccanti, sfrenate nella danza, e i suoi Tori, bronzetti che paiono tratti da uno scavo avvenirista, sapienti melanges di figurativo e di astratto, dove soprattutto il carattere affiora, o la ferocia animale. Il Lottatore in pensione è quasi fratello gemello del Pugile, alle Terme. Leonardo Sinisgalli …Tot è per una scultura compatta, per un primum indivisibile, avrebbe ottime attitudini costruttive e grandi capacità di animazione se minimamente gli piacesse la scena. Ma è rimasto fisso all’idea che lo scultore cerca nell’opera un avvio, un principio nascosto, una specie di nucleo; non può quindi disperdersi, ma concentrarsi. Ho visto alcune piccole “Maternità” raccolte come in un guscio, in un sacco, pudiche, povere: ritrovate come all’origine, ma fuori dell’eden, in una grotta. Questo per provare l’urgenza dei suoi tremori, la sua cautela metrica. Quanto a estro, a capacità di versificazione si potrebbe dire, a “gusto di ornare” che è tanta parte della scultura – proprio perché non può esserlo del design – cito il famoso fregio della stazione Termini. Tot con la sua natura e la sua cultura quanto potrebbe contribuire alla scoperta del volto nuovo della Città! Vittore Fiore Ciò che più mi ha colpito in questo tuo album ideale – messi da parte i «sonetti lussuriosi» – è proprio il blocco unitario della narrazione; dove tensione plastica, ritmo del disegno, potenza espressiva, con quella carica che metti in tutte le tue opere, non sono a scapito di un fermo impegno formale. Ancora una volta le tue qualità espressive, le tue risorse hanno raggiunto il risultato ideale per un artista: testimoniare la propria fede nell’uomo, nella vita, nella storia. Altro non so dirti. Troppo poco, di certo, per rinnovare il consenso che è dovuto ad un artista come te, che non si concede evasioni e che affronta, ad ogni nuova esperienza, i temi di oggi rifuggendo dalla retorica solenne come dalle inclinazioni nostalgiche. Ti chiedo venia, dunque, e conservami la tua amica e sempre fresca amicizia.
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Jacques Damaz …Un créateur doit avoir une forme physique qui est une des choses les plus importante de l’oeuvre, je dois dire que la forme physique de Tot est extraordinaire prés de la nature per ses origines. Le plus en dehors du temos son personnage comme son oeuvre ne peuvent souffrir des changements de temps ou d’epoque même. Grace au suvenirs d’enfance qui expliquent l’homme, je me rappelai que parfois mon inquietude m’avait semblé comparable à celle du baby qui déchirre le ventre du polichinelle pour voir ce qui s’y trouve; or quoiqu’il fut témeraire à moi de vouloir le juger si Tot me parait être demeuré l’un de ses enfants riches auxquels les petits pauvres donnent spontanément leurs poupées d’un sou; ces enfants riches n’ont guére souci des intentions; par indifference, ennui, dégout peutêtre ils cassent les poupées d’un sou comme les plus belles, et le mépris qu’ils sont des êtres et dess choses leur vaut cependant une singulière seduction; Tot par example a un sourire qui donne remords de ne pas l’admirer à l’égal d’un dieu. Franco Ferrarotti in G. VIGORELLI (a cura di), Amerigo Tot, op. cit., p. 112. Tot è un artista non facilmente incasellabile, prorompe. È scultore, ma più che scultore è un costruttore, lo chiamerei un costruttore che non si può dire né classico, né neoclassico, né moderno, né ultramoderno perché c’è in lui, ad esempio, il gioco geometrico delle triangolazioni multiple che si scavano l’una dentro l’altra, ma nello stesso tempo c’è il gusto, classicismo, del volume carezzato, quasi come si trattasse di un polito marmo canoviano. C’è questo gusto della vita. Direi che è un costruttore positivo, totalmente in positivo: tutto ciò che tocca – ed è questa la sua grande vocazione di artista, direi una vocazione quasi primigenia, di neo Adamo – emerge dal nulla e si fa vita, chiama le cose con il loro nome e, chiamandole le vivifica; tocca i materiali più grezzi, le superfici più scabrose e in qualche modo senza raggentilirsi – l’aggettivo gentile non lo userei mai riguardo a lui – tutto comincia a vivere, a muoversi, a ondeggiare, a ondulare, a prendere corpo. Ciò che mi sembra caratteristico, direi anche da un punto di vista sociologico, di costume – e questo costituisce, la modernità di Amerigo Tot – e questa capacità di plasmare secondo valori estetici che non diventano estetizzanti, cioè un’estetica non estetica e quindi la conservazione, in forme plastiche splendide, accattivanti, suggestive, di tutto ciò che di ruvido, di oscuro anche, di amorfo, è presente nel vitale, alla base della sua genesi. Per me Amerigo Tot è, in questo senso, una forza della natura, e questo può sembrare pacchiano, addirittura banale.
Tutti siamo forze della natura, ma il punto di differenziazione è proprio tutto qui, è che in lui l’energia vitale, la forza della natura, la capacità che poi è presente addirittura nella sua persona fisica, la si vede questa sua capacità contadina magiara di afferrare il materiale, di dominarlo porta ad un risultato di bellezza che non esclude la forza. Forza e bellezza, energia, vitalità, non vitalismo, non estetismo, direi la negazione, per rimanere nell’ambito della nostra tradizione culturale, dei valori e disvalori dannunziani, direi la lotta, neppure combattuta – perché nel suo caso non c’è neanche bisogno di combatterlo – contro ogni forma di retorica. Da questo punto di vista c’è sì anche un valore di costume, c’è una modernità sobria, realistica che non fa il verso a se stessa e che non ha bisogno di essere nostalgica del vissuto, del passato. Perché? Il passato è dentro: questo mi sembra il grande valore di Tot; il passato, formulato e vissuto autenticamente, è sempre presente e si riproietta, si ripresenta costantemente in forme attuali e future. Non c’è scissione, quindi la vita è onnipresente. In questo senso si può dire che è uno dei paradossi dell’arte di Tot. Egli non ha evoluzione. Tot è veramente l’amico che lo si lascia una certa sera, lo si incontra dopo vent’anni e si riprende lo stesso discorso, alla stessa battuta interrotta della sera prima, della sera di vent’anni prima. Così la sua arte. Non c’è, in fondo, un’evoluzione; ci sono delle riprese, ma in qualche modo questa compresenza di stili,
di ritmi, di forme, di antico e di moderno rappresenta, a mio giudizio, la sintesi, non forzata, non voluta, non intellettualistica, ma necessitata – in questo senso direi proprio una sintesi vitale – che coincide con la stessa presenza, con il semplice quotidiano lavoro di Amerigo Tot. Per quanto mi riguarda personalmente, ciò che trovo massimamente suggestivo in Amerigo Tot è quest’intrico quasi ingegneristico – le sue macchine, i suoi mostri – scientifico in senso geometrico, matematico, astratto, ingegneristico, quasi sfiorante la costruzione intellettualistica, rapportato alla forza, a un’ispirazione costante, alla vita. Anche il mostro è un mostro di vita; il ciclope ti guarda e ti dà la vita. C’è costantemente questo cambio dialettico per cui non si può mai dire che la costruzione, la scultura o la pittura o, come altri direbbe, il pensiero di Tot congeli in una forma pensata, o meglio in una forma pensata in senso cartesiano. In Amerigo Tot il pensiero è ciò che era agli inizi, nell’antica filosofia greca presocratica: il pensiero è un atto celebrale, ma anche viscerale, e le facoltà superiori o inferiori non si stabiliscono su un piano di priorità, ma si ricollegano e vivono in una vita comune. È questa specie di riconciliazione non accademica, non posticcia, non voluta, ma presente fin dall’origine; questa riconciliazione tra il vissuto ed il pensato, tra l’istinto, oscurissimo, e legittimazione teorica, è in questo credo, l’importanza ed anche il carattere cruciale, cioè modernissimo, della lezione di Amerigo Tot.
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Intervista ad Amerigo Tot a cura di T. Monicelli, in “Nuovo sound”, anno II, n. 7, 17 febbraio 1975, Roma, pp. 12-13
L’importanza della critica N.S. - Tot, che ne pensa della critica? R. – La critica, tutta la critica si potrebbe caratterizzare con una frase: “Mi spezzo ma non mi spiego.” Ho sentito, l’altro giorno, un discorso che Argan ha fatto su Guttuso: era una cosa incomprensibile. Io l’ho capito, ma vorrei sapere se un metallurgico, che si avvicina all’arte per un fatto di piacere o di non piacere, ha capito un’acca di quel discorso. Quando i critici si mettono a fare la critica d’arte sembrano dei ministri degli esteri quando tornano e concedono la rituale intervista all’Aeroporto: “I nostri comuni interessi…gli obbiettivi finali che noi…per la convivenza pacifica e…”, e non dicono assolutamente niente. N.S.- Fino a che punto è importante un critico nella carriera di un pittore? R.- Credo che il critico non serva proprio a niente: l’artista o ha una autocritica o non ce l’ha. Per sapere poi chi è quel tale, cosa ha fatto, dove vive, mi basta leggere un giornale qualunque. N.S. - Il pittore, lo scultore si lascia sedurre dalla critica di un Argan o di un Crispolti? R. - Commercialmente è importante che sul pittore X o sullo scultore Y il critico doppia V abbia espresso il proprio giudizio. N.S. - Una buona critica è importante per il mercato? R. - Per il mercato è importante, ma non per l’arte. N.S. - Ma uno scultore, un pittore deve vendere; deve anche mangiare, pagare un affitto, se la critica gli è contro non vende. R. - Non sempre, La critica è sempre abbinata ad un certo giro o ad una certa direzione di commercio e quindi l’artista cerca, in tutti i modi, di farsi abbinare. Ma è molto meglio fare come i leoni: andare da solo. Credo che, soltanto quegli artisti che si sentono deboli hanno bisogno di andare in branchi: chi è sicuro di sé caccia da solo, come un leone. Naturalmente questa è la strada più difficile, perché a me il cosiddetto “bacio” della fortuna è arrivato a cinquanta anni. Ci sono certi giovani che a vent’anni già girano con la Jaguar o la Rolls-Royce, e non perché sono degli artisti migliori, ma perché sono orga124
nizzati differentemente: sono aggregati ad un gruppo di gallerie; sono come i cavalli da corsa che appartengono alle varie scuderie. La funzione della scultura N.S. - Che tipo di scultura preferisce, e quale funzione attribuisce alle sue sculture? R. - Credo nella scultura in collaborazione con l’architettura. Credo, in maniera rinascimentale, che la scultura debba avere una sua funzione nella vita comune di ogni giorno; non deve essere solo patrimonio di pochi eletti o stare chiusa nei musei e nelle collezioni private: la scultura dovrebbe essere a contatto con la gente, alla portata di tutti. La scultura come testimonianza di un tempo, di un gusto, di una corrente artistica. Per questo, oggi, preferisco lavorare con il ferro, l’alluminio, il cemento armato; cerco di ignorare i bronzi, la pietra, le terrecotte. N.S. - Ora, a quale progetto sta lavorando? R. - Questa è una domanda difficile perché, diciamo così: non faccio niente, ma faccio tutto. Lavoro continuatamente, ma non ho un obiettivo. Sto facendo tanti disegni, tante litografie. Sto anche raccogliendo idee per delle sculture; penso di fare una grande mostra nel ’76. N.S. - Dove? R. - Ci sono molte possibilità di farla qui in Italia o all’estero. Non voglio fare, però, una mostra con pochi pezzi. Ne voglio fare una come quella che feci in Ungheria, in cui avevo più di cento pezzi. In questo senso ho avuto una proposta dalla Danimarca e una dagli Stati Uniti; per me sarebbe molto più importante fare una mostra in Italia. N.S. - Che differenza c’è tra il pubblico italiano e il pubblico degli altri paesi? R. - Il pubblico italiano difficilmente si innamora di un artista non conosciuto. L’italiano compera le opere dei maestri più affermati, nella speranza che quello che spende oggi domani darà una percentuale migliore di quanto potrebbe offrire un deposito in banca…. N.S. - Un discorso commerciale…
R. - Sì, un discorso commerciale. Negli altri paesi la cosa va piuttosto sul “piace o non piace”: se il quadro o la scultura piace la comprano, e non è mai un investimento. Poi naturalmente i grandi collezionisti, anche all’estero, fanno il discorso del “valore” di un’opera d’arte; un “valore”, però, che rimane in collezione, non è commerciabile. L’Anno Santo N.S. - Lei che è lo scultore “ufficiale” di questo “Anno Santo”, cosa pensa della politica “artistica” della Chiesa? R. - La politica “artistica” della Chiesa è conservatrice: prevale sempre il naturalistico e l’immagine “a cartolina postale”. Quando è stata aperta, nei Musei Vaticani, la sala dedicata agli artisti contemporanei, Paolo VI ha detto: “Noi chiediamo scusa a voi artisti se non abbiamo capito…ecc. ecc.”. Speriamo che con questa frase si apra un qualche spiraglio. N.S. - La Chiesa ha paura delle nuove “forme” artistiche? R. - Si, perché, naturalmente, è difficile pretendere che davanti ad una forma astratta, che l’artista dichiara: “Madonna con bambino”, il contadino possa inginocchiarsi. Questo è an-
che un problema di educazione artistica. Poi entra in ballo un credo estetico: l’arte per il popolo. Le idee della Chiesa sono molto vicine alle idee marxiste, a proposito dell’arte: cambiano i contenuti, ma la forma rimane la stessa. N.S. - Come ha interpretato la realizzazione del martello con cui Paolo VI ha “abbattuto” simbolicamente la Porta Santa? R. - Prima di realizzare il martello sono andato in Vaticano e ho preso l’impronta della mano del Papa: l’impronta della mano di Paolo VI forma l’impugnatura del martello. E dato che la porta è stata aperta in nome dei quattro evangelisti Matteo, Luca, Marco e Giovanni, ho inciso sotto la forma del “male er ‘ppeggio”, che è il nome che viene dato al martello comune a tutti i muratori romani, i loro simboli. N.S. - Che differenza c’è tra il pittore e lo scultore? R. - Il pittore deve operare in un dato spazio: tela, carta, muro. Deve creare uno spazio. Mentre lo scultore opera dentro lo spazio, materialmente. Nel quadro bisogna entrare spiritualmente; la scultura si può aggirare. N.S. - Tot, che consigli può dare ai giovani scultori? R. - Potrei rispondere così: non mi date consigli, so sbagliare da me.
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Elenco delle opere conosciute Legenda: laddove mancano indicazioni su materia, tecnica e ubicazione e dimensioni non è stato possibile reperire tali informazioni. I numeri tra parentesi quadre rinviano alle illustrazioni in catalogo
Ritratto, 1930 Autoritratto al caffè, 1931 [fig. 4] Idea per un quadro, 1931 Labirinto di stelle e pianeti, 1931 Senza titolo, 1931 Spaccato di una strada, 1931 Antiquadro, 1932 Blu nel blu, 1932 [fig. 5] Grigio nel grigio, 1932 [fig. 6] Negativo e positivo, 1932 Senza titolo, 1932 Studio per un quadro, 1932 Un milione di anni luce, 1932 [fig. 7] Sorriso antico, argilla, 1933, cm 25 [fig. 8] Mosè, argilla, 1934 Beethoven, gesso, 1936, cm 34 I tori, bronzo, 1936, cm 18 [fig.14] Le tre vedove, legno, 1936 [fig. 13] Ritratto di donna, legno, 1936, cm 51x29x14, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Deposizione di Cristo, gesso, 1937, cm 40x70 Omaggio a Donatello, 1937 Ritratto d’uomo, granito, 1937, cm 28 Scanderberg, disegni per monumento equestre, 1937 [fig. 16] Scanderberg, progetto per monumento equestre, gesso, 1937 Adamo ed Eva, bronzo, 1938, cm 40x50 Annunciazione, bronzo, 1938 Battesimo, bronzo, 1938, cm 40x50, Collezione d’arte dei Musei Vaticani [fig. 119] Battesimo, bronzo, 1938, cm 40x50, Pécs, Amerigo Tot Museum Calvario, bronzo, 1938, cm 40x50 Calvario, calco in gesso, datazione incerta, Bari, collezione privata [fig. 118] Gesù tra i Dottori, bronzo, 1938, cm 40x50 Giuditta (I versione), bronzo, 1938, cm 42 Giuditta (II versione), bronzo, 1938, cm 42 [fig. 17] Il Buon Pastore, bronzo, 1938, U.S.A., Dallas, collezione privata 126
Il poeta, bronzo, 1938 L’Ultima Cena, bronzo, 1938 L’Ultima Cena, gesso, 1938, cm 24x21, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum La cacciata dal Paradiso, bronzo, 1938, cm 50x40 La nascita, bronzo, 1938, cm 50x40 La nascita, calco in gesso, datazione incerta, Bari, collezione privata [fig. 117, 118] Menadi danzanti (I versione), bronzo, 1938, cm 26 Menadi danzanti (II versione), bronzo, 1938, cm 26 Menadi danzanti, bronzo, 1938, cm 26, Bari, collezione privata [fig. 10] Resurrezione, bronzo, 1938, cm 50x40 Ritratto d’uomo, bronzo, 1938, cm 30 [fig. 9] Ritratto di donna, bronzo, 1938, cm 23 Salomè, bronzo, 1938, cm 43 Seneca, terracotta, 1938 I Minatori, gesso, 1938-39 Celestina (con cappello), bronzo, 1939, cm 39, Bari, collezione privata [fig. 15] Celestina (con cappello), cera, 1939 Celestina, gesso, 1939, cm 46, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Il poeta ermetico, bronzo, 1939 L’Ultima cena, bronzo, 1939, cm 40x22, Budapest, Koller Gallery Natura morta, terracotta, 1939 Ritratto di donna, bronzo, 1939 Celestina, bronzo, 1940, cm 39 Crocifissione, argento sbalzato, 1940 Dr. Lénárd, gesso patinato, 1940, cm 30, Budapest, Petőfi Literary Museum Dr. Lénárd, gesso, 1940 Giudizio Universale, marmo, 1940, Bologna, cm 280x210, Cimitero della Certosa, cappella della famiglia Goldoni [fig. 12] Il profeta, bronzo, 1940 La bella partenopea (con cappello), bronzo, 1940, cm 42x127, Pécs, Amerigo Tot Museum Pannello decorativo per la Mostra d’Oltremare, gesso, 1940, Napoli
Ritratto di Donatella, bronzo, 1940, cm 33 La ballerina, bronzo, 1941 Susanna, bronzo, 1942 Giuditta (III versione), bronzo, 1943, cm 42 Partigiani giustiziati, disegni, 1944 Annunciazione, bronzo, 1946, cm 40x39x30, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (I versione), bronzo, 1946, cm 36, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (II versione), bronzo, 1946, cm 41 Donna ciottolo come Narciso, bronzo, 1946 Donna seduta, bronzo, 1946, cm 89 Donna seduta-Egizia, peperino di Viterbo, 1946, cm. 89 Donne sulla spiaggia (II versione), bronzo, 1946, cm 49x 73,5, Pécs, Amerigo Tot Museum Il bisticcio, bronzo, 1946, cm 32x 34 x19, Pécs, Amerigo Tot Museum Il conte, bronzo, 1946, cm 27 Il Prof. Birnbaum, bronzo, 1946, cm 26 Inviato speciale, bronzo, 1946, cm 28 L’Ultima Cena, bronzo, 1946, cm 40x22, Bari, collezione privata [fig. 83] La bella partenopea (con cappello), bronzo, 1946, La bella partenopea (senza cappello), bronzo, 1946 La famiglia del clown, bronzo, 1946 La gravida, bronzo, 1946 Lottatore in pensione, pietra, 1946 Lunatica (I versione), bronzo, 1946, cm 56, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Lunatica (II versione), bronzo, 1946, cm 56, U.S.A., collezione privata Lunatica, bronzo, 1946, cm 56, Budapest, Koller Gallery Lunatica, pietra, 1946 Pettegolezzo (2 figure), bronzo, 1946, cm 32x21x11, Pécs, Amerigo Tot Museum Pettegolezzo (3 figure), bronzo, 1946, cm 32x21x11 Pettegolezzo (4 figure), 1946, cm 33x55x24,5, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Saluto al villaggio, bronzo, 1946, cm 39x40x30, Pécs, Amerigo Tot Museum Sonnambula, bronzo, 1946 Visita in città, bronzo, 1946, cm 45x40x34, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (III versione), bronzo, 1947, cm 34, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Donna ciottolo (IV versione), bronzo, 1947, cm 38 Donna ciottolo (V versione), bronzo, 1947 Donna ciottolo (VI versione), bronzo, 1947
Figure, disegno, 1947 Il generale, bronzo, 1947, cm 27 La danza, graffito, 1947 Lottatore in pensione, bronzo, 1947, cm 26, Budapest, Koller Gallery Lottatore in pensione, bronzo, 1947, cm 26, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Ragazze che giocano a palla, disegno, 1947 Avola, tufo di Roma, 1948 Due donne sulla spiaggia, bronzo, 1948 La gravida, cemento, 1948 La gravida, gesso, 1948 La madre archetipica, tufo, 1948 Tre nudi, bronzo, 1948, Pécs, Amerigo Tot Museum Visita in città, bronzo, 1948, cm 45x40x34, Bari, collezione privata [fig. 31-33] Il gatto Genghis Khan, disegno, 1949 Il Semaforo II, pietra, 1949 Il Semaforo III, pietra, 1949 Il Semaforo, pietra, 1949 La strada ferrata, cemento armato, progetto per il fregio della Stazione Termini, 1949 Omaggio alla Venere di Willendorf, bronzo, 1949, cm 12x8,5, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Ritratto, disegno, 1949, mm 500x400, Bari, collezione privata [fig. 170] La strada ferrata, alluminio rivettato, 1949-53, m 2,5x120, Roma, frontone della Stazione Termini [fig. 35,36] Scultura, tufo, 1950 Sasso della ricostruzione, pietra,1951 [fig. 39] Totem, legno, 1951 Il mito della mela, bronzo, 1951-52, cm 22x20x11, Philadelphia, collezione Dr. Joe Vallotti Ratto d’Europa I, bronzo, 1952-54, cm 13x7x5 Ratto d’Europa II, bronzo, 1952-54, cm 21x8x8, Bari, collezione privata [fig. 42] Balcone-scultura, bronzo, 1953, Acqui Terme, Borgo Monterosso, Villa Ottolenghi [fig. 40] Meteora, cemento armato, 1954, Roma, cm 225, esterno del Palazzetto dello Sport [fig. 61] Mummia geometrica, disegno, 1954 Nodo gordiano (Il piccolo sasso), bronzo, 1954 [fig. 62] Annunciazione, bronzo, 1955 Castore e Polluce, bronzo, 1955 L’Acuto, bronzo, 1955 L’ospitalità, graffito su intonaco, 1955, cm 60x 250, Bari, collezione privata [fig. 112-115] Le Ninfe del bosco, bozzetto di una formella del Rilievo del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali 127
di Roma, gesso dorato, 1955, cm 70x80, Bari, collezione privata [fig.98] Susanna e i vecchioni, litografia, 1955, mm 480x380 [fig. 29] Stele per la tomba Ponchielli, bronzo, 1956 Il Tavoliere, dieci formelle in bronzo e fregio in cotto, 1955-56, ciascuna formella cm 78x71 e ca. m 10 il fregio, Bari, Agenzia Centrale di Banca Carime [fig. 130-154] La Chirurgia, gesso, 1955-56, cm 95x165, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum I Sassi, I-VIII, composizione di sassi, travertino di Tivoli, 1956-58 Rilievo, bronzo, 1956-59, m 6x3, Roma, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali [fig. 89-97] Cavallino, 1958 Mostro locomotivo, bronzo, 1958, realizzato per l’Expo di Bruxelles del 1958 Olocausto, bronzo, 1958, cm 300, U.S.A., Dallas, Sinagoga Emanu-El Soffitto, legno dorato, 1958, Roma, Ministero degli Esteri, Sala della Vittoria [fig. 85-88] Battesimo, bronzo, 1959, cm 40x40 Calvario, bronzo, 1959, cm 40x50, Collezione d’arte dei Musei Vaticani [fig. 120] Fari, pistoni e semafori, cemento armato, 1959, m 3x8, Palazzo della Direzione Generale dell’Automobil Club di Roma [fig. 100] L’aquila-mostro dell’Aspromonte, bronzo, 1959, cm 118x186x50 Statua, tufo, 1959 I muscoli geometrici, ceramica, 1959-60, m 2x20, Roma, Palazzo dello Sport [fig. 56] Catena spezzata, acciaio, 1960, m 3,9x8,4x8, Cosenza, Vallone di Rovito [fig. 55] L’uomo di filo spinato, litografia, 1960 Occhi di ciclopi, litografia, 1960, mm 600x400 Progetto per il monumento ai Fratelli Bandiera, pietra, 1960 Protesta in grigio, litografia, 1960, mm 400x600 [fig. 126] Senza titolo, due litografie, 1960, mm 600x400 [fig. 45-46] Senza titolo, quattro litografie, 1960, mm 600x400 [fig. 162-165] Senza titolo, due litografie, 1960, mm 400x600 [fig. 43-44] La croce come protesta, bronzo, 1960-62 Le proteste minime, bronzo, 1960-62 Protesta I, bronzo, 1960-62 Protesta II, bronzo, 1960-62 Protesta III, bronzo, 1960-62 Protesta IV, bronzo, 1960-62 128
Protesta IX (Il difensore della razza), bronzo, 1960-62 [fig. 52] Protesta V, bronzo, 1960-62 Protesta VI, bronzo, 1960-62 Protesta VII (La torre d’avorio), bronzo, 1960-62 Protesta VIII (L’uomo meccanico), bronzo, 1960-62 Protesta X (Il trono reale come cavallo di Troia), bronzo, 1960-62 Protesta XI (Il nazismo), bronzo, 1960-62 Protesta XII (L’uomo meccanizzato), bronzo, 1960-62 Medaglia del Risorgimento, bronzo, 1961 Aspromonte, bronzo, 1962 Il trono abbandonato, bronzo, 1962 L’orecchio della terra, bronzo, 1962, cm 226 [fig. 49] Macchina inutile (I versione), bronzo, 1962 [fig. 53] Minotauromacchina, bronzo, 1962, cm 210x100x60 Progetto per un palazzo a Filadelfia, gesso, 1962 S.M. il Kilowatt, bronzo, 1962, cm 135, Tihany-Veszprém, Università di Veszprém [fig. 51] Statua (dalla Protesta II), bronzo, 1962 Statua (dalla Protesta III), bronzo, 1962 Pannelli per la Facoltà di Chimica Farmaceutica, 1962-63, Roma, Città Universitaria Condottiero ferito, bronzo, 1964, cm 33, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Il trovato e l’eseguito, ferro e bronzo, 1964, cm 27x30, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Illustrazioni per le poesie dell’Aretino I-XII, incisioni, 1964 [fig. 63-66] La conchiglia o Statua come simbolo I, bronzo, 1964, cm 187 Lavori per la turbonave “Raffaello”, balaustra in bronzo e pannelli murali, 1964 [fig. 71] Pannello murale della turbonave “Raffaello”, lastra di rame inciso, 1964, cm 200x60, Bari, collezione privata [fig. 72] Statua come simbolo II, bronzo e ferro, 1964, cm 187 Il pianoforte nero sull’astronave, bronzo, 1966, cm 33, Pécs, Amerigo Tot Museum Progetto per il monumento a Kennedy, cemento armato, ferro e bronzo, 1966 Rilievo, cemento armato, due parti, 1966, m 3x7 ciascuno, Bari, Agenzia Centrale Banca Monte dei Paschi di Siena [fig. 41] Ritratto di Kennedy, bronzo, 1966, cm 45, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Statua come simbolo II, progetto per la Raffineria Shell di Taranto, bronzo e ferro, 1966 Gineceo, disegno laccato, 1967 Microcosmo nel macrocosmo, bronzo, 1967, cm 27x37x18, collezione privata
L’angelo buono e l’angelo cattivo, bronzo, 1968, cm 31x43, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum L’incubo dell’autista, bronzo, 1968, cm 52, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Litografie di soggetto sportivo per il CONI, 1968 Progetto per un monumento a Bartok, 1968 Ritratto antigrazioso, bronzo e ferro, 1968, cm 29x27, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo, bronzo, 1969, cm 38, Bari, collezione privata [fig. 18] Il dialogo impossibile, bronzo, 1969, cm 68x44x14 L’occhio della terra, bronzo e ferro, 1969, cm 100x200x50 [fig. 50] La croce come protesta (ovvero Il crociato), legno, 1969, cm 257, Pécs, Amerigo Tot Museum La Madonna di Csurgó, bronzo, 1969, cm 65, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani [fig. 73] La Madonna di Csurgó, bronzo, 1969, cm 65, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum La Madonna di Csurgó, legno, 1969, cm 65, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum La Madonna di Csurgó, pirogranite, 1969, cm 65, Budapest, Cimitero di Farkasréti, tomba di Mrs. Gyöngyi Bozzai Benedetti La Madonna di Csurgó, pirogranite, 1969, Pécs, cm 65, Amerigo Tot Museum La Madonna di Csurgó, terracotta patinata, 1969, cm 65, Budapest, Koller Gallery Lunatica, bronzo, 1969, cm 56, Bari, collezione privata [fig. 20] Macchina inutile, bronzo, 1969 Meteora geometrica, bronzo, 1969, cm 38 Nodo gordiano geometrico, bronzo, 1969, cm 47 Omaggio a Karinthy Olivecrona, bronzo, 1969, cm 41 Omaggio a Komarov, bronzo e ferro, 1969, m 2,5, Pécs, Bèke square [fig. 54] Omaggio ai gemelli spaziali, legno, 1969, cm 120x130 Apoteosi del seme ovvero sole e fiori, bronzo, 1970 Bagnanti, matita e china, 1970, mm 700x500, Bari, collezione privata [fig. 22, 23] Bagnanti, litografie, 1970, mm 700x500 [fig. 25, 26] Bassorilievo, ceramica, ca. 1970, cm 145x92, Bari, Università degli Studi “Aldo Moro” [fig. 166] Croce, bronzo, ca. 1970, m 2x1,50, Cles, cappella cimitero [fig. 116] Disputa di Paolo, bronzo, 1970, cm 40x50, Budapest, Koller Gallery Donna ciottolo, matita e china, 1970 (?), mm 650x450, Bari, collezione privata
Donne sulla spiaggia, rilievo su intonaco, ca.1970, cm 50x75, Bari, collezione privata [fig. 21] Litografie di soggetto sportivo per il CONI, ca. 1970 [fig. 57-60] Maschere, cemento armato, ca. 1970, Brindisi, Teatro Verdi [fig. 125] Apoteosi del seme (variazione), bronzo, 1971, Apoteosi del seme (variazione), gesso, 1971, cm 38x28, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Il seme (II versione), bronzo, 1971, cm 38x28, Budapest, Koller Gallery Olimpia (I versione), gesso, 1971, cm 22,5, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Olimpia (II versione), bronzo, 1971, cm 37x27,5, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Progetto per la cancellata, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 1971 [fig. 158-160] Progetto per la Porta della Basilica di San Pietro, 1971 Senza titolo, litografia, 1971, mm 400x600 [fig. 47] Monumento ai Fratelli Bandiera o Catena spezzata, acciaio, 1972, Cosenza, Vallone di Rovito [fig. 55] Due donne sulla spiaggia, bronzo, 1973 La Chirurgia, bronzo, 1973, cm 95x165, Bari, Università degli Studi “Aldo Moro”, Facoltà di Medicina e Chirurgia [fig. 161] La Chiglia Apula, acciaio, 1974, m 1,50, Bari, residence di Viale della Resistenza [fig. 122-124] Medaglia ufficiale del XII pontificato di Paolo VI, coniata in oro, argento e bronzo, 1974 Nudo femminile, matita e china, 1974, mm 700x500, Bari, collezione privata [fig. 28] Pietro e Paolo, bronzo, 1974, cm 13,5 [fig. 78] Cazzuola per la chiusura della Porta Santa, argento, 1975, cm 28, Esztergom, Christian Museum Cazzuola per la chiusura della Porta Santa, bronzo, 1975, cm 28, Bari, collezione privata [fig. 74, 76] Cazzuola per la chiusura della Porta Santa, oro, 1975, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani Martello per l’apertura della Porta Santa, argento, 1975, cm 35, Esztergom, Christian Museum Martello per l’apertura della Porta Santa, bronzo, 1975, cm 35, Bari, collezione privata [fig. 74, 75] Martello per l’apertura della Porta Santa, oro, 1975, Roma, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani Patena, argento, 1975, cm 26, Esztergom, Christian Museum Patena, particolare, bronzo, 1975, cm 9, Bari, collezione privata [fig. 77] Patena, oro, 1975, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani 129
Pentecoste, litografia, 1975, mm 395x322, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani [fig. 81] Progetto per una fontana a Philadelfia, gesso, 1975, Fehérvárcsurgó, Amerigo Tot Memorial Museum Ritratto di Paolo VI, medaglia, bronzo, 1975, cm 6, Bari, collezione privata [fig. 79, 80] Senza titolo, litografia, 1975, mm 400x600, Bari collezione privata [fig. 48] Dopo L’Ultima Cena, bronzo, 1976 Guerriero come difensore della pace, bunker tedesco trasformato in scultura, acciaio, 1976, m 3, Anzio [fig. 84] L’Ultima Cena, bronzo, 1976 (?), cm 24x21, Bari, collezione privata [fig. 82] Monumento al Generale Khatami, bronzo, 1976, m 3, Teheran [fig. 106] San Paolo nel Sinedrio, bronzo, 1977, cm 40x50, Collezione d’Arte dei Musei Vaticani [fig. 121] Donna ciottolo (I versione), bronzo, 1978, cm 36, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (II versione), bronzo, 1978, cm 41, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (III versione), bronzo, 1978, cm 34, Pécs, Amerigo Tot Museum Donna ciottolo (IV versione), bronzo, 1978, cm 38, Bari, collezione privata [fig. 19] Donna ciottolo (IV versione), bronzo, 1978, cm 38, Pécs, Amerigo Tot Museum Inviato speciale, bronzo, 1978, cm 28, Pécs, Amerigo Tot Museum
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La sedia (I versione), bronzo, 1978, cm 14, Pécs, Amerigo Tot Museum La sedia (II versione), bronzo, 1978, cm 19, Pécs, Amerigo Tot Museum Omaggio a Karinthy Olivecrona, bronzo, 1978, cm 41, Pécs, Amerigo Tot Museum Statua come simbolo I, bronzo e ferro, 1978, cm 187, Pécs, Amerigo Tot Museum Statua come simbolo II, bronzo e ferro, 1978, cm 207, Pécs, Amerigo Tot Museum Il seme (I versione), bronzo, 1979, cm 10x10, Budapest, Koller Gallery Il seme, bronzo, 1979, cm 190x130, Budapest, Ministero dell’Agricoltura. Nudo femminile, disegno, 1979, mm 340x230, Bari, collezione privata [fig. 30] Nudo femminile, litografia, 1979, mm 400x600 [fig. 27] Apoteosi del seme, bronzo, 1980, m 11,5x3, Gödöllő, Università Szent István Ellisse, bronzo, 1980, cm 160x250, Cappella Episcopale Ungherese, Grotte Vaticane Ellisse, bronzo, 1980, cm 160x250, Christian Museum di Esztergom Tre grazie, porcellana Zsolnay, 1981, cm 100x120, Budapest, Koller Gallery Microcosmo nel macrocosmo, bronzo, 1984, cm 27x37x18, Budapest, Koller Gallery Microcosmo nel macrocosmo, bronzo, 1984, m 2,5, Kecskemét, Szabadság square
Itinerario espositivo
Collezioni permanenti Amerigo Tot Museum - Pécs (Hungary), 2 Káptalan str. Amerigo Tot Memorial Museum - Fehérvárcsurgó (Hungary) - Deák Ferenc str. Amerigo Tot Memorial Room - Koller Gallery - Budapest (Hungary), 5 Táncsics Mihály utca. Esposizioni Temporanee 1931 Galerie Brücke, Dresda. 1940 XXII Biennale di Venezia. 1943 IV Quadriennale d’Arte Nazionale, 16 maggio-31 luglio, Palazzo delle Esposizioni, Roma. 1943 Tot, Galleria Minima Il Babuino, Roma. 1946 Galleria Il Cortile, Roma. 1947 Disegni e Sculture di Tot, Galleria L’Obelisco, Roma. 1948 Tot a La Margherita, Galleria La Margherita, Rome. 1948 V Quadriennale Rassegna Nazionale di Arti figurative, 31 marzo-maggio, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. 1948 XXIV Biennale di Venezia. 1949 Galleria d’Arte La Giostra, Asti. 1949 Tot, 30 giugno-7 luglio, Vetrina di Chiurazzi, Roma. 1950-52 mostre in Svizzera, Danimarca and Svezia. 1951 Arte astratta e concreta in Italia, 3-28 febbraio, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. 1951 VI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, 18 dicembre 1951-15 maggio 1952, Palazzo delle Esposizioni, Roma. 1954 XXV Biennale di Venezia. 1957 Sculture Italiane: 1911-1957, Galleria La Bussola, Roma. 1958 Expo, 17 aprile-19 ottobre, European Transport Pavilion, Bruxelles. 1959 VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, dicembre-aprile 1960, Roma. 1962 XXXI Biennale di Venezia. 1963 Actualité de la sculpture, 19 gennaio-19 febbraio, Galerie Raymond Creuze Paris.
1963 Tot, Galleria La Bottega dei Crociferi, Roma. 1965 XXIV Biennale Nazionale d’Arte Città di Milano, Palazzo della Permaente, Milano. 1969 maggio-giugno, Museo Műcsarnok, Budapest. 1969 Amerigo Tot Kiállítása, 21 giugno-luglio, Tihany Múzeum, Tihany. 1969 ottobre, University of Debrecen, Debrecen. 1969 dicembre-gennaio, University of Szeged, Szeged. 1970 Amerigo Tot, 16-27 maggio, Galleria d’Arte La Vernice, Bari. 1970 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 21 novembre-15 dicembre, Galleria La Gradiva, Firenze. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 16 gennaio-14 febbraio, Műcsarnok, Budapest. 1971 Joseph M. Katz Collection, 14 febbraio-14 marzo, University of Pittsburgh, Pittsburgh. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 17 marzo-19 aprile, Palazzo Reale, Milano. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 21 giugno-18 luglio, Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 26 luglio-20 agosto, Comision Nacional de Artes Plasticas, Montevideo. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 8-31 ottobre, Museu de Arte Moderna, Rio de Janeiro. 1971 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 17 novembre-12 dicembre, Museo de Arte, San Paolo. 1972 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 31 gennaio-27 febbraio, Museo de Arte Moderno, Città del Messico. 1972 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bronzetto italiano contemporaneo, 11-23 maggio Hanshin Department Store, Osaka. 1972 Scultura italiana contemporanea, Mostra del bron131
zetto italiano contemporaneo, 27 maggio-30 novembre, Hakone, Tokyo. 1972 X Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma 1973 Galleria La Panchetta, 9-22 marzo, Bari. 1973 Sculture e disegni di Tot, Centro d’arte Trinacria, Palermo. 1978 IV Esposizione internazionale della piccola scultura, 9 settembre-29 ottobre, Museo Műcsarnok, Budapest. 1978 Galleria Il Babuino, Roma. 1982 Vigadó Galéria, 18 marzo-18th aprile, Budapest. 1985 Gli amici di Bari ad Amerigo Tot, 28 settembre-20 ottobre, Galleria L’Arcaccio, Modugno (Ba). 1994 Amerigo Tot: litografie, monotipi e sculture, 9 aprile-9 maggio, Galleria Unione, Bari. 2007 Portfolios from Rome, 13 novembre-1 dicembre, Academy of Fine Arts, Budapest.
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2007 Portfolios from Rome, 5-25 ottobre, Lamberg Kastély, Mór. 2009 Amerigo Tot, 20 giugno-1 dicembre, Vármúzeum, Szeged. 2009 Paralel Constructions, 9 ottobre-3 gennaio 2010, Ludwig Museum, Budapest. 2010 Amerigo Tot a Vietri, Galleria Iuno, Roma. 2010 Amerigo Tot, 24 settembre-14 ottobre, Koller Gallery, Budapest. 2011 Talking Artworks, 8-23 dicembre, Koller Gallery, Budapest. 2012 Amerigo Tot – Siesta, 18-31 Ottobre 2012, Medence Szalon, Budapest. 2012 Amerigo Tot and Eva Fischer - A story of love, 6-31 dicembre 2012, Koller Gallery, Budapest.
Bibliografia Legenda: l’elenco delle voci segue l’ordine alfabetico degli editori e/o curatori; riguardo ai cataloghi di mostre – laddove non si sono trovate indicazioni sui curatori – sono stati indicati la città e l’anno; alcune recensioni anonime restano tali
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Referenze fotografiche
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171. Ritratto, 1949, disegno. Bari, collezione privata