Estratto da: GIÁ L’ORA SUONÒ! Canti e inni del Risorgimento Pagg. 200 - 217 Anno scolastico 2010-2011 Commissione “Comenius Europa”
L’UNGHERIA
Nel 1697 (Buda era stata strappata al Sultano nel 1686) terminò per l’Ungheria il lungo dominio turco. Di fatto, con la pace di Carlowitz (1699), agli ottomani si sostituirono gli Asburgo. Da quel momento e fino alla Prima guerra mondiale, la storia dell’Ungheria fu costantemente condizionata, nel bene e nel male, dai rapporti con il potente vicino. “Nel bene e nel male” s’è detto: il Settecento si aprì infatti con la sfortunata rivolta di Rákóczi, una vera e propria guerra per l’indipendenza. L’Austria, pur vincitrice sul campo, fu però costretta a concedere ampi privilegi alla nobiltà magiara, che in cambio sosterrà Maria Teresa durante la guerra di successione (1740-1748). Nella seconda metà del Settecento i rapporti tra gli Ungheresi e Vienna si mantennero in genere abbastanza tranquilli. Le cose mutarono con l’ascesa al trono di Francesco II (1792), che, abbandonato il riformismo illuminato, impose alla politica imperiale una svolta reazionaria. Nel frattempo l’eco degli ideali di Francia era arrivato fin sulle sponde del Danubio e a Pest sorsero le prime società segrete. Con la Restaurazione l’Ungheria subì il peso della grave crisi economica che investì l’Impero e vide venir meno ciò che restava della sua pur minima autonomia. Alla luce delle idee romantiche, andò prendendo forza l’idea del riscatto e dell’indipendenza nazionale: Himnusz, l’inno nazionale ungherese, vide la luce proprio in quel perido (1823). Quando nel 1832 l’imperatore fu costretto a riunire la Dieta ungherese1, l’assemblea diventò il luogo in cui una nuova generazione di ungheresi, spesso di provenienza borghese, diede forma a rivendicazioni politiche e sociali sempre più avanzate. Spiccava tra i delegati la figura del riformista Széchenyi István; tra i giovani emerse invece ben presto Kossuth Lajos, giovane avvocato, la figura più importante del Risorgimento ungherese. Quando, il 15 marzo 1848, giunsero a Pest le notizie che raccontavano di una rivolta popolare scoppiata a Vienna, che aveva provocato la caduta di Metternich e quasi costretto Ferdinando I a promettere un governo liberale e istituzioni rappresentative, anche gli ungheresi scesero in piazza. L’ala più radicale, guidata dal poeta Petőfi Sándor, pur senza ottenere risultati tangibili, riuscì ben presto a mettere in discussione il ruolo storico dell’Austria e della monarchia asburgica; il programma dei democratici prese forma politica nel manifesto dei Dodici punti redatto dallo scrittore Mór Jókai e forma “ideale” nel “Nemzeti dal”, il “Canto nazionale”, inno scritto dallo stesso Petőfi. 1
La Dieta si riuniva a Pozsony, l’attuale Bratislava, allora città appartenente al Regno d’Ungheria.
Molti erano però i problemi che il governo ungherese, guidato da Batthyány Lajos, si trovava a dover affrontare, non ultimo quello dei rapporti con le numerose minoranze non ungheresi; e non sempre aveva la forza per consolidare le proprie conquiste. Le vittorie militari ottenute da Radetzky in Italia durante l’estate furono il segno che, dopo una prima fase di difficoltà, gli Asburgo stavano recuperando terreno. Nel settembre alcuni tentativi di soluzioni diplomatiche fallirono e gli Austriaci attaccarono militarmente l’Ungheria. Batthyány preferì dare le dimissioni e cedere il potere a un Comitato di difesa nazionale guidato da Kossuth e dai radicali. Nella prima fase della guerra gli ungheresi ottennero successi significativi; al loro fianco combatterono legioni di volontari provenienti da tutta Europa, in particolare dalla Polonia, dalla Germania e dall’Italia. Per risolvere la questione ungherese e impedire un possibile contagio, Vienna fu costretta a chiedere l’intervento militare russo: era l’ultimo velenoso colpo di coda della Santa Alleanza. Il 13 agosto 1849 il generale Paskevič porrà fine alle ultime resistenze degli ungheresi. La repressione fu durissima: Petőfi era caduto in battaglia, Batthyány venne giustiziato, Kossuth fu costretto in esilio. Per l’Ungheria fu come se la storia fosse tornata indietro di mezzo secolo. Gli ungheresi tornarono a far sentire la loro voce nel 1859, quando l’Impero subì a San Martino e a Solferino una pesantissima sconfitta e fu costretto a cedere la Lombardia: si aprì allora un acceso confronto politico tra quanti, soprattutto negli ambienti degli esuli, avrebbero voluto riprendere la lotta e coloro, capeggiati da Deák Ferenc, che intravedevano possibili soluzioni diplomatiche. Furono i secondi ad imporsi quando, dopo la sconfitta subita a Sadowa da parte dell’esercito prussiano, Francesco Giuseppe, per non rischiare la sollevazione, fu costretto ad accettare le richieste ungheresi: il 29 maggio 1867 l’Assemblea nazionale magiara voterà a larga maggioranza il Compromesso che vedrà la nascita di un nuovo soggetto politico, l’Impero austro-ungarico (due capitali, due governi, un solo sovrano), riconoscendo di fatto l’indipendenza della nazione ungherese. La parte magiara dell’Impero tornò così a coincidere con il territorio che già un tempo era stato della Corona di Santo Stefano, il re la cui conversione, mille anni prima, aveva permesso all’Ungheria di entrare nell’ecumene europeo. Più concretamente questo significava per l’Ungheria ereditare l’irrisolto problema del rapporto con le altre nazionalità suddite dell’Impero. Il prezzo politico di questa soluzione, che legherà l’Ungheria alla dinastia degli Asburgo, non sarà indifferente e trascinerà cinquant’anni dopo la nazione ungherese nel disastro della Prima guerra mondiale, provocando lo smembramento del Paese.
KOSSUTH LAJOS AZT ÜZENTE Lajos Kossuth, eroe del Risorgimento magiaro, nacque a Monok, piccolo centro non lontano da Miskolc, nel nord-est dell’Ungheria, il 19 settembre 1802. Educato secondo i rigidi canoni della religiosità luterana (la madre era protestante), seguì la carriera avvocatizia del padre. In quegli anni difficili e forieri di cambiamenti, si affermò presto come giornalista fondando il giornale progressista “Országgyűlési tudósítások”. Nel 1936, dopo la chiusura della Dieta ungherese, a motivo delle sue posizioni politiche liberali e antiaustriache, fu imprigionato nelle carceri di Buda, da dove, su pressione dell’opinione pubblica, fu liberato solo nel 1840. Divenuto uno dei leader più in vista dell’opposizione politica alla dominazione asburgica, riuscì nel 1847 a farsi eleggere deputato a Pest. Membro del primo governo costituzionale (7 aprile - 28 settembre 1848) come ministro delle Finanze, dopo la proclamazione dell’indipendenza dall’Impero, Kossuth divenne la guida del nuovo Governo, dominato dai settori più radicali del patriottismo ungherese. Gli “honvéd”, i soldati dell’esercito magiaro, ottennero numerosi successi e sembrò che l’Ungheria potesse consolidare la propria indipendenza, affermandosi come potenza balcanica: in Slovacchia, Serbia e Transilvania erano infatti presenti significative minoranze ungheresi1. Questa politica preoccupò anche lo zar, che intervenne a fianco dell’Austria nella repressione della Rivoluzione2. Nel corso della primavera del 1849 le truppe ungheresi furono progressivamente costrette a ripiegare, fino alla disfatta di Világos (13 settembre 1849). 1
La politica magiarocentrica di Kossuth fu uno degli elementi di debolezza della rivoluzione ungherese e alimentò a sua volta il nazionalismo dei popoli confinanti, offrendo al Governo di Vienna facili opportunità di manovra in funzione antiungherese. 2
La Rivoluzione ungherese suscitò simpatie e solidarietà in tutti i paesi europei; a fianco degli Ungheresi combatté una nutritissima Legione polacca, una Legione tedesca e il Reggimento di volontari italiani guidati dal Colonnello Alessandro Monti (Brescia 1818-Torino 1854). Sulla vicenda si legga Fabrizio Galvagni - Classe III F, Altro non facemmo / Vita di Alessandro Monti (1818-1854) un bresciano al servizio della libertà dei popoli, I quaderni del Liceo Enrico Fermi, Salò, 2009. Il lavoro è stato pubblicato nello stesso anno e nella stessa collana anche in lingua ungherese con il titolo Alessandro Monti / Egy olasz élete a népek szabadságának szolgálatában.
Kossuth riuscì a fuggire e a riparare a Costantinopoli, che poté lasciare solo nel 1851. Iniziò così un lungo e ininterrotto esilio, che lo vide apostolo della causa ungherese a Londra, in America, in Francia e infine a Torino. Continuò fino alla morte la sua azione politica, cercando di collegare la questione dell’indipendenza magiara alla causa italiana e alla lotta dei Polacchi per il proprio riscatto nazionale. Ebbe contatti con Garibaldi, con il quale “sognò” un’impresa che avrebbe visto le camicie rosse sbarcare in Dalmazia e marciare su Buda. La firma del compromesso firmato dal moderato Deák Ferenc con il Governo di Vienna nel 1867 e la nascita della “Monarchia dualistica” – l’Impero Austro-Ungarico – segnarono il tramonto politico del suo sogno di indipendenza. Continuò tuttavia ad esercitare una grande influenza sulle masse magiare, anche se il suo ruolo politico venne progressivamente scemando. Morì a Torino nel 1894. “Kossuth Lajos azt üzente” (Kossuth Lajos ha mandato a dire) è uno dei numerosi inni, spesso anonimi e spontanei, fioriti nel corso della Rivoluzione del 1848/49, che celebrano la figura del grande patriota ungherese.
Kossuth Lajos azt üzente: Elfogyott a regimentje. Ha még egyszer ezt üzeni, Mindnyájunknak el kell / menni! Éljen a magyar szabadság! Éljen a haza!
Kossuth Lajos ha mandato a dire Che il suo reggimento è decimato. Se lo manderà a dire ancora una volta, Tutti noi dovremo partire! Evviva la libertà ungherese! Evviva la patria!
Esik eső karikára Kossuth Lajos kalapjára. Valahány csepp esik rája, Annyi áldás szálljon rája! Éljen a magyar szabadság! Éljen a haza!
Piove fitto fitto3 Sul cappello di Kossuth Lajos. Per ogni goccia di pioggia caduta, Cada su di noi una benedizione! Evviva la libertà ungherese! Evviva la patria!
3
Letteralmente “piove tutto in tondo”.
Kossuth Lajos íródeák. Nem kell néki gyertyavilág: Megírja ő a levelet A ragyogó csillag mellett. Éljen a magyar szabadság! Éljen a haza!
Kossuth Lajos quando scrive4 Non ha bisogno della candela: Scrive la sua lettera Al lume di stelle splendenti. Evviva la libertà ungherese! Evviva la patria!
Magyarország, édes hazám, Néked szült és nevelt anyám. Négy esztendő nem a világ, Enyém lesz a legszebb virág! Éljen a magyar szabadság! Éljen a haza! Éljen a haza!
Ungheria, cara Patria, É per te che mia madre mi ha partorito. Quattro anni non sono poi la fine del / mondo, Il più bel fiore sarà mio! Evviva la libertà ungherese! Evviva la patria! Evviva la patria!
Kossuth Lajos 4
Letteralmente “è uno scrivano”.
HIMNUSZ Versi di Kölcsey Ferenc e musica di Erkel Ferenc “Himnusz” è l’inno nazionale ungherese fin dalla nascita dell’Ungheria moderna, avvenuta con l’“Österreichisch-Ungarischer Ausgleich”, il Compromesso austro-ungarico del 1867. Diversamente da quanto è accaduto in tanti altri paesi, “Himnusz” ha mantenuto ininterrottamente il suo status di inno nazionale fino ad oggi, attraversando indenne le drammatiche vicende della nazione magiara: lo smembramento dopo il Trattato del Trianon (1920); la Magyarországi Tanácsköztársaság (la Repubblica dei Consigli di Kun Bela); il regime fascista di Horty e l’epilogo nazista delle Crociferrate; infine il quarantennio comunista con la tragica rivoluzione del 1956. Il testo, opera del poeta Ferenc Kölcsey (1790-1836), fu composto nel 1823 e musicato solo molto più tardi, nel 1844, da Ferenc Erkel (1810-1893), esponente di spicco della scuola musicale ungherese. Ferenc Kölcsey, “personaggio leopardiano” dell’Ottocento ungherese1, nobile di nascita, visse la travagliata epoca delle riforme e fu esponente dell’ala riformista all’interno della Dieta di Pozsony2. Propugnò una nuova e moderna idea della patria ungherese, fondendo strettamente la sua attività di artista alla sua azione patriottica e dando un apporto fondamentale alla cultura magiara della prima metà dell’Ottocento3. Solitamente gli inni nazionali celebrano l’orgoglio e l’identità di un popolo, gli eventi gloriosi della sua storia, la rivendicazione dei suoi diritti nazionali; l’inno ungherese è invece una preghiera a Dio nella quale, tra i momenti 1
AA.VV., Storia della letteratura ungherese (a cura di Bruno Ventavoli), Lindau ed., Torino 2002, vol. I pag. 257. 2 La Dieta nazionale riunita a Pozsony, nome ungherese di Bratislava, tra il 1832 e il 1836. 3 Straordinario il ritratto che di Kölcsey fece un altro grande ungherese, Kossuth Lajos: Uno spirito forte tra i ceppi di un fragile corpo. Pochi capelli canuti sul cranio calvo, sul volto stinto la stanchezza di mille notti bianche, nell’unico occhio [il poeta era cieco da un occhio n.d.r.] si specchiava la tristezza per il passato e il presente della nazione (citato in Paolo Ruzicska, Storia della letteratura ungherese, Nuova Accademia, Milano 1963, pag. 529.
significativi della storia magiara, sembrano trovare maggior eco i momenti tragici e difficili: “Questo popolo ha già scontato / il passato e il futuro4”. Il canto, per i suoi contenuti decisamente patriottici e nazionali, ottenne fama e trovò diffusione soprattutto durante la rivolta del 1848/49. Quando però si giunse al “Kiegyezés”, il compromesso politico da cui nacque l’Impero austro-ungarico, il nuovo governo magiaro pensò in un primo tempo un nuovo inno; a tal fine bandì un concorso e, solo quando il vincitore risultò essere l’austriaco Johann Strauss figlio, ripiegò sull’inno di Kölcsey. Contende a “Himnusz” il ruolo di inno nazionale5, un altro canto assai diffuso e noto tra gli Ungheresi: “Szózat”6 (Appello); il testo è del grande poeta romantico Vörösmarty Mihály (1800-1855), la musica di Egressy Béni.
Hazádnak rendületlenűl Légy híve, oh magyar; Bölcsőd az s majdan sírod is, Mely ápol s eltakar.
Oh magiaro sii fedele alla tua patria, In modo irremovibile E tua culla, un giorno anche tua tomba, quella che di te prende cura e ti copre.
A nagy világon e kivűl Nincsen számodra hely; Áldjon vagy verjen sors keze: Itt élned, halnod kell.
Al di fuori di questo in tutto il mondo Non c’e posto per te; Che tu dalla sorte sia benedetto o punito, Qui devi vivere o morire7.
HIMNUSZ 4
In questo senso si avvicina nei toni al “Va’ pensiero” del “Nabucco” verdiano, che pure qualcuno ha indicato come possibile rivale del nostro Inno nazionale; anche in questo caso si tratta infatti del canto di un popolo oppresso. 5 Nel corso delle cerimonie ufficiali viene spesso eseguito anche “Rákóczi induló” (Marcia di Rákóczi), un brano esclusivamente musicale che fu scritto nel corso dell’insurrezione antiaustriaca di Rákóczi Ferenc. 6 Spesso “Himnusz” apre le cerimonie ufficiali, “Szozat” viene suonato alla fine. 7 Sono queste le prime due strofe dell’inno di Vörösmarty, composto da ben quattordici quartine.
Isten, áldd meg a magyart Jó kedvvel, bőséggel, Nyújts feléje védő kart, Ha küzd ellenséggel; Bal sors akit régen tép, Hozz rá víg esztendőt, Megbűnhődte már e nép A múltat s jövendőt! Őseinket felhozád Kárpát szent bércére, Általad nyert szép hazát Bendegúznak vére. S merre zúgnak habjai Tiszának, Dunának, Árpád hős magzatjai Felvirágozának.
Benedici, Dio, l’Ungherese, Con l’abbondanza e la gioia, Su di lui stendi la mano protettrice, Se combatte il nemico. Chi ha subito la sorte avversa Goda alfine anni migliori Questo popolo ha già scontato Il passato e il futuro. Conducesti i nostri antenati Alle sacre rupi dei Carpazi, Grazie a te la bella patria trovò La discendenza di Bendegúz8. Dove scorrono le onde Del Danubio e del Tibisco9, Prosperarono i figli valorosi Del condottiero Árpád10.
Értünk Kunság mezein Ért kalászt lengettél, Tokaj szőlővesszein Nektárt csepegtettél. Zászlónk gyakran plántálád Vad török sáncára, S nyögte Mátyás bús hadát Bécsnek büszke vára.
Per noi sui campi di Kunság11 Hai fatto fiorire ricche messi, Dolce nettare è caduto Sulle viti di Tokaj12. Piantasti le nostre bandiere Sugli spalti dei turchi feroci Anche Vienna crollò Davanti alle nere legioni di Mattia13.
8
Secondo la leggenda, padre di Attila, il re unno che gli Ungheresi vantano come leggendario progenitore. 9 Il Tibisco (Tisza) è, assieme al Danubio (Duna), il principale fiume dell’Ungheria. 10 Mitico condottiero che guidò i Magiari alla conquista della patria nell’896 d.C. 11 Il Kunság (trascritto in italiano con Cumania) era la patria degli Ungheresi prima che valicassero i Carpazi; corrisponde secondo la tradizione alla cosiddetta Etelköz, regione tra il Volga e il basso Danubio; non tutti gli studiosi sono concordi. 12 Regione dell’Ungheria settentrionale nota per la sua produzione vinicola.
Hajh, de bűneink miatt Gyúlt harag kebledben, S elsújtád villámidat Dörgő fellegedben, Most rabló mongol nyilát Zúgattad felettünk, Majd töröktől rabigát Vállainkra vettünk.
A causa dei nostri peccati, S’infiammò la collera nel tuo petto; E il tuo fulmine scoccò E tuonarono le nubi. Fischiarono su di noi Le frecce dei Mongoli selvaggi14 E il giogo della schiavitù turca15 Cadde sulle nostre spalle
Hányszor zengett ajkain Ozman vad népének Vert hadunk csonthalmain Győzedelmi ének! Hányszor támadt tenfiad Szép hazám, kebledre, S lettél magzatod miatt Magzatod hamvvedre!
Quante volte risuonò La canzone del popolo di Ozman16 Sui mucchi d’ossa Dei nostri eserciti sconfitti! Quante volte i tuoi figli Si ribellarono contro di te, E tu, patria, a causa della tua stirpe diventasti urna per le sue ceneri.
Bújt az üldözött, s felé Kard nyúlt barlangjában, Szerte nézett s nem lelé Honját e hazában, Bércre hág és völgybe száll, Bú s kétség mellette, Vérözön lábainál, S lángtenger fölette.
Il perseguitato cercò un rifugio Ma fu stanato dalla spada Si guardò attorno e non trovò Un rifugio nella sua patria. Vagò per monti e valli Preda del dubbio e della paura, Un fiume di sangue ai suoi piedi Un mare di fiamme sopra di lui.
Vár állott, most kőhalom,
Dove un dì sorgeva una fortezza,
13
Mátyás Hunyádi (1440 –1490), più spesso citato come Matia Corvino, è annoverato tra i sovrani più importanti della storia ungherese; fu re d'Ungheria dal 1458 al 1490 e trasformò la corte di Buda in uno dei centri più vivaci del Rinascimento europeo. 14 L’Ungheria subì nel 1241 l’invasione mongola. 15 Dopo la disastrosa battaglia di Mohács (1526) la maggior parte dell’Ungheria venne conquistata dai turchi che occuparono il paese fino al 1686. 16 Nome comune tra i turchi; qui sta ad indicare l’occupazione ottomana.
Kedv s öröm röpkedtek, Halálhörgés, siralom Zajlik már helyettek. S ah, szabadság nem virul A holtnak véréből, Kínzó rabság könnye hull Árvák hő szeméből!
Oggi vi sono solo pietre, Là dove c’era gioia Ora vi sono soltanto lamenti. Ma dal sangue dei caduti Non sorse mai la libertà. Dagli occhi dei tuoi orfani Cadono lacrime della schiavitù.
Szánd meg Isten a magyart Kit vészek hányának, Nyújts feléje védő kart Tengerén kínjának. Bal sors akit régen tép, Hozz rá víg esztendőt, Megbűnhődte már e nép A múltat s jövendőt!
Abbi pietà, Dio, dell’Ungherese Sbattuto dai disastri Stendi su di noi la mano protettrice Su un mare di dolore. Chi ha subito la sorte avversa Goda alfine anni migliori Questo popolo ha già scontato Il passato e il futuro.
NEMZETI DAL Versi di Sándor Petıfi “Nella sua poesia è tutto il sole della puszta selvaggia, è il fremere del cavallo ungherese, è il fuoco dell’ungherese vino fiammante, è la bellezza formosa delle fanciulle ungheresi (…) ma soprattutto egli ama e canta la libertà, la libertà di tutti i popoli: in questo è l’uomo del quarantotto come il Mameli. Peccato che anch’egli come il Körner, e forse per imitazione del Körner, vagheggi con gioia un po’ troppo selvaggia le ‘rose rosse’ del campo di battaglia”: queste le parole che Carducci dedicò a Petőfi Sandor, poeta e patriota ungherese1. Petőfi Sandor (Kiskőrös 1823 – Segesvár 1849) fu l’eroe simbolo della Rivoluzione del 1848/49. Rappresentò l’ala più radicale e “giacobina” del movimento. All’aprirsi delle ostilità, Petőfi si unì al generale polacco Józef Bem, che in Transilvania stava guidando gli Ungheresi che 1
Giosuè Carducci, A commemorazione di Goffredo Mameli, 1872, sta in Studi, saggi e discorsi, Zanichelli, Bologna, 1898.
combattevano contro le truppe asburgiche, prima di essere sconfitto dall’esercito zarista. Morì il 31 luglio 1849, a 26 anni, nella battaglia di Segesvár. Il suo corpo non fu mai ritrovato. “Nemzeti dal” (letteralmente “Canto nazionale”) è uno dei canti più cari agli Ungheresi; fu declamando questi versi in piazza Vörösmarty che Petőfi infiammò gli animi dando di fatto inizio alla Rivoluzione: era il 15 marzo 18482. La data è una delle più importanti festività civili ungheresi.
Talpra magyar, hí a haza! Itt az idő, most vagy soha! Rabok legyünk vagy szabadok? Ez a kérdés, válasszatok! A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
In piedi, o magiaro, la patria chiama! È tempo: ora o mai! Schiavi saremo o liberi? Scegliete! Al Dio dei magiari Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
Rabok voltunk mostanáig, Kárhozottak ősapáink, Kik szabadon éltek-haltak, Szolgaföldben nem nyughatnak.
Schiavi fummo finora3: Gli antenati nostri che vissero E morirono liberi, sono dannati, Non hanno pace in questa terra / schiava.
A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
Al Dio dei magiari Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
Sehonnai bitang ember, Ki most, ha kell, halni nem mer, Kinek drágább rongy élete, Mint a haza becsülete. A magyarok istenére
È un briccone colui Che teme la morte se bisogna morire, Colui che preferisce vivere da vile All’onore della patria. Al Dio dei magiari
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Dalla scalinata del Museo Nazionale Pál Vasvár lesse invece il poema al gruppo “Gioventù di Marzo”. 3 Sembra di sentire echeggiare il Noi fummo per secoli calpesti e derisi di Mameli.
Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
Fényesebb a láncnál a kard, Jobban ékesíti a kart, És mi mégis láncot hordtunk! Ide veled, régi kardunk! A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
Più lucente è la spada che la catena, Meglio si adatta al braccio; E tuttavia una catena portammo! Eccola, l’antica nostra spada! Al Dio dei magiari Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
A magyar név megint szép lesz, Méltó régi nagy hiréhez; Mit rákentek a századok, Lemossuk a gyalázatot! A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
Bello sarà di nuovo il nome magiaro, Degno della gran fama antica; Laviamo la vergogna Che i secoli vi impressero! Al Dio dei magiari Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
Hol sírjaink domborulnak, Unokáink leborulnak, És áldó imádság mellett Mondják el szent neveinket. A magyarok istenére Esküszünk, Esküszünk, hogy rabok tovább Nem leszünk!
Dove s’innalzano le nostre tombe S’inchineranno i nostri nipoti, E proferiranno i nostri sacri nomi Con una benedicente preghiera. Al Dio dei magiari Giuriamo, Giuriamo che schiavi Mai più saremo!
OLASZORSZÁG Versi di Sándor Petıfi Più di una volta Italia e Ungheria si sono trovate nel corso dei secoli a condividere le vicende della storia, in particolare nel corso del secolo XIX. Era dunque quasi inevitabile che il “Poeta” per antonomasia della terra magiara, Petőfi Sandor, si ispirasse alle vicende d’Italia. “Olaszország” (che in ungherese significa semplicemente “Italia”) celebra appunto il risveglio quarantottesco degli Italiani, cui Petőfi guarda con fraterna solidarietà1. L’andamento della composizione, romanticamente ispirato, “epocalmente retorico”, esprime a piena voce la passione del poeta-patriota: Petőfi parla dell’Italia, ma in fondo pensa alla sua Ungheria. Da tutta l’Europa volontari e patrioti accorsero in soccorso dei rivoluzionari ungheresi per combattere contro quel che rimaneva della Santa Alleanza; tra questi una nutrita Legione italiana: questo componimento testimonia appieno lo spirito “internazionalista” che animò le battaglie di quegli anni.
Megunták végre a földöncsuszást, Egymásután mind talpon termenek. A sóhajokból égiháború Lett, s lánc helyett most kardok csörgenek. S halvány narancs helyett a déli fák Piros vérrózsákkal lesznek tele A te dicső szent katonáid ők, Segítsd őket, szabadság istene!
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Infine hanno smesso di strisciare2, Uno alla volta si alzano in piedi. I sospiri di guerra del cielo Si sono mutati: non catene ma spade ora tintinnano. Gli alberi del sud non più di / arance Pallide, ma di rose sanguigne / saranno carichi. Sono i tuoi santi gloriosi soldati, Aiutali, dio della libertà!3
Non poche sono state le voci che dall’Italia si sono alzate a ricordare la lotta degli ungheresi: Oggi d’un altro sonito / Echeggia il bel paese / É il disperato randolo / Del gemito Ungherese, / Che grida al cielo e agli uomini / «Un popolo morrà». Giovanni Florenzano, La fame ungherese; sta in Canti di Giovanni Florenzano, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1869. 2 Il riferimento è agli Italiani; si sentono echeggiare i versi dell’Inno di Mameli: Noi siamo nei secoli calpesti e derisi…
Nos, elbizot hatalmas zsarnokok, Orcáitokrul a vér hova lett? Orcátok olyan kísértetfejér, Mikéntha látnátok kisértetet:
Tiranni potenti e superbi, Sui volti dov’è il vostro sangue? Avete facce pallide, spettrali, Come chi ha visto un fantasma;
Azt láttatok, valóban, megjelent Előttetek Brutusnak szelleme A te dicső szent katonáid ők, Segítsd őket, szabadság istene!
E davvero l’avete visto: vi è apparso Lo spirito di Bruto4. Sono i tuoi santi gloriosi soldati, Aiutali, dio della libertà!
Aludt Brutus, de már fölébrede, S a táborokban lelkesítve jár, Mondván: “ez a föld, honnan elfutott Tarquin s amelyre halva hullt Cézár; Előttünk meghajolt ez óriás, S ti a törpéknek meghajoltok-e?” A te dicső szent katonáid ők, Segítsd őket, szabadság istene!
Dormiva Bruto, ma s’è destato, Corre sui campi a svegliare gli eroi: “Questa è la terra da cui fu cacciato Tarquinio e dove cadde Cesare5; Si chinò davanti a noi un gigante; Vi inchinerete davanti a dei nani? Sono i tuoi santi gloriosi soldati, Aiutali, dio della libertà!
Eljő, eljő az a nagy szép idő, Amely felé reményim szállanak, Mint ősszel a derűltebb ég alá Hosszú sorban a vándormadarak; A zsarnokság ki fog pusztulni, és Megint virító lesz a föld szine A te dicső szent katonáid ők, Segítsd őket, szabadság istene!
Arriverà l’epoca grande e bella Verso cui volano le mie speranze Come d’autunno le lunghe file Di uccelli migratori verso cieli sereni Cadrà allora la tirannide Tornerà a fiorire di colori la terra. Sono i tuoi santi gloriosi soldati, Aiutali, dio della libertà!
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Gli ultimi due versi di ogni strofa, quasi una litania, si ripetono col tono di un’invocazione religiosa. 4 Bruto: personaggio della storia antica, marito di Lucrezia, tra i protagonisti della cacciata di Tarquinio il Superbo, ultimo dei re di Roma. 5 Cesare: Giulio Cesare; per quel che riguarda Tarquinio cfr nota 3.
GARIBALDI CSÁRDÁS Nel cortile del Nemzeti Muzeum, il Museo Nazionale di Budapest, c’è un busto di Garibaldi: si tratta di un “privilegio” concesso – per quel che si sa – a pochi personaggi non ungheresi 30 ed è la riprova dell’amore che i magiari nutrono per l’Eroe dei due mondi. L’iscrizione sul piedistallo “La Nazione Ungherese a Garibaldi” segnala le radici comuni della lotta per l’indipendenza dei due paesi e l’aiuto reciproco nelle lotte (nelle vicinanze del Parlamento, a Garibaldi é stata intitolata una via). Parlando di Lajos Kossuth, abbiamo ricordato del sogno coltivato dallo statista magiaro per coinvolgere Garibaldi nel progetto politico dell’indipendenza ungherese 31: Sorgi - il Magiàro e il Dàlmata Gridano a te vendetta – Liberator dei popoli All’armi, all’armi affretta. scrisse Giovanni Florenzano, invocando l’intervento di Garibaldi 32. A partire dal 1848-49, cominciano a militare nelle file garibaldine volontari provenienti soprattutto da Ungheria, Polonia e Francia; ma non solo: seppure in misura minore, tra le camicie rosse si contarono anche inglesi, bavaresi e prussiani, cechi, slavi meridionali, rumeni, greci e addirittura qualche russo e qualche turco. Le formazioni garibaldine sin dalle origini furono a modo loro, come si direbbe oggi, “multietniche”: la camicia rossa divenne così la divisa che univa uomini di varia origine, di diversa estrazione nazionale, tutti consapevoli di lottare, con Garibaldi, per un ideale comune: quello della libertà, dell’unità e dell’indipendenza nazionali. Pur senza “forzare” i fatti e indulgere in un’interpretazione antistorica, bisogna riconoscere che la presenza fra le file garibaldine di tanti volontari non
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Tra i pochi “privilegiati” ricordiamo il bresciano Alessandro Monti, comandante della Legione italiana che combatté a fianco degli ungheresi nella campagna del 1849.
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Si veda in proposito Lukacs Lajos, Garibaldi e l'emigrazione ungherese 1860-1862, Mucchi editore, Modena 1965. 32
Giovanni Florenzano, A Giuseppe Garibaldi a Caprera; sta in Canti di Giovanni Florenzano, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1869.
italiani testimoniò una sorta di coscienza europea, coniugata appunto attraverso i comuni valori di libertà e di indipendenza dei rispettivi popoli. Garibaldi csárdás kiskalapja, Nemzetiszín szalag lobog rajta. Nemzetiszín szalag lobog rajta, Kossuth Lajos neve ragyog rajta. Letörött a bécsi torony gombja, Ihatnék a Garibaldi lova. Szaladj, kislány, húzzál neki vizet, Garibaldi a csatába siet. Garibaldi csárdás kis kalapja, Kossuth Lajos neve ragyog rajta. Lova után mennek a huszárok, Hírök-nevök járja a világot.
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Sul cappellino di Garibaldi, Sventola il nastro tricolore. Vi sventola il nastro tricolore, Vi splende il nome di Kossuth Lajos. Il pomo della torre di Vienna si è rotto, Il cavallo di Garibaldi ha sete. Corri, fanciulla, attingi per lui l’acqua, Garibaldi sta correndo in battaglia. Sul cappellino di Garibaldi, Vi splende il nome di Kossuth Lajos. Gli ussari seguono il suo cavallo, La loro fama percorre il mondo.